Aspettando il 7 e 8 luglio, un salto indietro nel tempo con Jacky Marti alla prima edizione di un festival che ha pure vinto un Grammy
È andata così. Nell’ottobre del 1978, dopo due anni di rodaggio fatti di apprezzati concerti nell’Aula Magna di Trevano, Jacky Marti, giovane giornalista con la fissa per il jazz, condivide con l’amico Andreas Wyden l’idea di dare vita a un festival nel centro di Lugano; il municipale Aurelio Longoni si rivela disponibile verso i due giovani, inesperti ma motivati; lo spaventano però i concerti dal vivo, teme che in città arrivino “i drogati”, che poi “si mettono a dormire al Parco Ciani”; prima ancora, si chiede: “Ma tutti questi artisti: chi li conosce?”. Jacky gli ribalta la domanda: “Lei quali artisti conosce?”. E Longoni: “Quello lì, che quando suona la tromba gli si gonfiano le guance…”. Detto fatto: tre mesi dopo, Dizzy Gillespie, quello che gli si gonfiavano le guance, arriva al Palacongressi; cinque mesi dopo, arriva il primo Estival.
Il giovane giornalista oggi è meno giovane ma sempre innamorato della musica e di una manifestazione di cui si sente «un po’ il padre, e la Città di Lugano il padre adottivo», parole sue dalla conferenza di presentazione dell’edizione alle porte. Un padre adottivo che c’è sempre stato, soprattutto ora che Estival è riemerso dal buio grazie alla Città, che da quest’anno fa le veci di quegli sponsor defilatisi da un paio d’anni, ‘complice’ (ma forse anche un po’ ‘scusa’) la pandemia.
Jacky Marti – Mister Estival, o Estival Jacky, i soprannomi ce li giocheremo tutti – dice che per parlare delle origini della sua creatura bisogna tornare con la memoria al Giurassico, e che quando ci pensa gli vengono in mente «quanti sogni, quanti ideali avevo, quanta energia e voglia di fare». Appassionato di musica come tutti quelli della sua generazione, ha lavorato sin da giovanissimo in radio, dove conduceva ‘Radio gioventù’ e anche un programma insieme ad Andreas Wyden, l’altro padre di Estival, oggi defilatosi, ma che non fa mancare il suo supporto a distanza. Il programma si chiamava ‘Studio Pop’, andava in onda di domenica sera ed era «l’unica trasmissione che proponeva ‘l’altra musica’, come la chiamavo io, in un palinsesto nel quale ancora imperversavano Claudio Villa e Nilla Pizzi. Noi eravamo relegati alle undici di sera, ma con un nostro affezionato pubblico».
Jacky il giovane, che già aveva intervistato Paul McCartney fresco di divorzio dai Beatles, i Pink Floyd e i Deep Purple, un bel giorno decide di organizzare un concerto: è il 1973 e nell’Aula magna di Trevano suona Roy Harper (ottant’anni da poco), conosciuto proprio per l’aver cantato con i Pink Floyd…
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Franco Ambrosetti, primo luglio 1992
«In quegli anni c’era una incredibile voglia di musica, e alle nostre latitudini non c’era nulla», dice Jacky. «Nel 1975 ero ancora uno sprovveduto: organizzai un grande evento all’Artecasa; mi chiamarono gruppi da tutte le parti e io li ingaggiai tutti, senza poi sapere che farmene». A Lugano arrivano Kevin Ayers, Il biglietto per l’inferno, gruppo di rock progressive italiano, e un trio con Wyden ancora in versione musicista: più di 5mila persone, tutto gratuito. Poi, un pomeriggio, seduto in Piazza della Riforma col fido Wyden e altri giovani che si lamentano del fatto che in Ticino non succede mai nulla, che per andare ad ascoltare la musica bisogna emigrare a Zurigo o Montreux, Marti e Wyden si dicono: “Se qui non succede niente, facciamolo succedere noi”. E l’Aula magna di Trevano diventa sede dei primi happening: «I musicisti costavano poco, era un periodo nel quale il jazz era in crisi; in giro c’era solo rock e potevi avere grandi jazzisti a prezzi non alti: Archie Shepp, Elvin Jones, Don Cherry, Abdullah Ibrahim che ancora si chiamava Dollar Brand, l’Art Ensemble of Chicago con Lester Bowie...».
I nomi ci sono, ancora non esiste il concetto di sicurezza e nella sala da 400 posti arrivano fino a 800 persone: perché non fare di tutto ciò un festival? Perché solo a Montreux? «Trovammo due grandi alleati», ricorda Jacky: «Demetrio Poggioli, presidente delle feste del lago, che ci prese in simpatia e contribuì con 10mila franchi, all’epoca tantissimi. Poi Eugenio Foglia, direttore dell’ente turistico, e qualche donatore privato con qualche centinaia di franchi a testa; io ci misi di mio, rinunciando a comperarmi lo scooter, e con un budget molto limitato facemmo il primo Estival».
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Chet Baker a Lugano, 2 luglio 1980
Il palco scoperto, il ‘logo’ con l’ombrellone, il contrabbasso e la sedia a sdraio, ideato dal Mario Del Don. Un Estival piccolo – aperto da due giovanissimi Guido Parini e Giorgio Meuwly – ma con grandi nomi: Dexter Gordon, Woody Shaw, Joe Henderson, Franco e Flavio Ambrosetti, che sino alla fine degli anni 60 avevano contribuito a organizzare il Festival jazz di Lugano. Un Estival già di stelle e retto da tanti amici: «Pio Bordoni, per esempio, fondatore del Cisa, che andò a prendere Dexter Gordon in auto alla Malpensa». Solo un anno dopo, il colpo Chet Baker: «Un amico che stava in Olanda mi disse che Baker viveva lì; non aveva un gruppo stabile, così gli mettemmo a disposizione una band di musicisti italiani, con i quali in seguito avrebbe suonato». Tra di essi, Nicola Stilo al flauto e alla batteria un giovane Tullio De Piscopo.
Estival viaggia spedito sino al 1985, anno della grande svolta, quando Benedetto Bonaglia, capo della cultura a Lugano, scomparso in novembre, dice qualcosa come: “Abbiamo il dovere di aiutarvi, ma anche il diritto di essere parte in causa”. È così che la Città diventa per qualche anno l’organizzatrice di Estival, che passa da due a tre serate, con tre gruppi per sera: «Siamo diventati adulti. Sono arrivati Bobby McFerrin, Miriam Makeba, Astrud Gilberto, che è morta da poco, e tutti gli altri, da Keith Jarrett a Ray Charles a Miles Davis». Mister Estival vuole dare una dimensione extra cittadina al suo evento, e a Lugano si aggiungono appendici estivaliere ad Agno, Montagnola, Melide («Un anno persino alla Romantica, perché piovve a dirotto»), Tesserete per parecchi anni e Mendrisio, per una ventina di edizioni; arriva l’Orchestra della Svizzera italiana, per farsi conoscere da un pubblico diverso da quello delle sale da concerto (esibendosi in maglietta ben prima del ‘be-connected’), insieme a grandi nomi nell’originale connubio jazz-sinfonica; arrivano la tv, le Estival Nights al Cittadella, e per alcuni anni ‘Aspettando Estival’, con i migliori gruppi locali.
Splendore, grandi banche, grandi sponsor. «Poi è cambiata la congiuntura economica, è arrivato il Covid e nel 2020 lo sponsor principale, pressoché senza preavviso, ci ha detto basta». La storica manifestazione agonizza, si ferma. Il resto è storia degli ultimi due anni: Jacky non molla e trova un prezioso alleato nel vicesindaco Roberto Badaracco: l’Estival da una sera sola nel 2022, nell’ambito di Blues To Bop, con la PFM, i Gipsy Kings (quelli originali) e i giovani brasiliani della Banda dos Curumins; il ritorno in grande stile i prossimi 7 e 8 luglio, con Ben Harper, Gilberto Gil e Stanley Clarke tra i nomi di punta.
Keystone
Gilberto Gil a Estival, 11 luglio 2002
È un patrimonio televisivo di musica impressionante quello di Estival Jazz, negli anni in cui la Rsi ha trasmesso in diretta i concerti. A Comano potrebbero pubblicarli, come fecero per i concerti di musica italiana tempo fa, una bella serie con Dalla, Bennato, Pino Daniele, Vanoni, Vecchioni, Jannacci, Mia Martini. Potrebbero stamparci dei dvd, se non fossero oggetti ormai vetusti. Qualcuno ancora lo fa: a maggio, la PFM ha attinto dalle registrazioni di Estival per pubblicare ‘The Event’, il resoconto dell’esibizione dello scorso anno. «I diritti sono della Rsi, ma abbiamo sempre lasciato la possibilità agli artisti di utilizzare la registrazione per la realizzazione di cd e dvd».
È così che Estival, nel 2010, vinse un Grammy Award. ‘75’ di Joe Zawinul, tratto dall’edizione 2007, vinse l’anno dopo il massimo riconoscimento dell’industria discografica statunitense, l’equivalente dell’Oscar per il cinema, come ‘Best contemporary jazz album’. Jacky: «Per tradizione, il Grammy viene dato all’artista e all’ingegnere del suono, che allora era Wladi Turkewitsch. La statuetta (a forma di piccolo, grazioso grammofono, ndr) la spedirono a me per posta; me la tenni per tre giorni, credo di averci anche dormito insieme una notte, e poi, correttamente, la consegnai a Wladi, che immagino l’avrà ancora in casa. È bello leggere sul disco “Art director: Jacky Marti”. Sì, il disco è di Joe Zawinul, ma vuoi mettere la soddisfazione?».
Ti-Press
Joe Zawinul, 15 luglio 2001
Dalla prima edizione a oggi, Jacky, com’è cambiato il mondo del jazz? «Oggi è diverso. Grandi star non ce ne sono quasi più, ma ci sono grandissimi musicisti. Mai come oggi al mondo c’è tanta gente che suona bene, grazie alla tradizione, alla conoscenza, alle scuole, alla formazione. Però le grandi star fanno più fatica a emergere, e quando emergono scompaiono anche più in fretta. E oggi i bravi costano». Estival è nato con una domanda: «Lo facciamo solo per i puristi del jazz? Sì, magari per la nicchia sarebbe diventata una grande esclusiva, ma ci siamo detti che bisognava avere il coraggio di aprire a tutti i generi, perché non esistono barriere architettoniche musicali, perché quando abbiamo cominciato, il mondo era già cambiato e gli stili già si mescolavano. Ricordo Lester Bowie, mio caro amico, che nei primi anni Ottanta mi diceva: “È normale contaminare: io vado a suonare a New York e quando sono in macchina sento Nile Rodgers con gli Chic perché il tassista ha la radio accesa; vado in albergo e la tv trasmette i Rolling Stones. Sono bombardato da suoni, colori, ispirazioni, è evidente che la mia musica ne risenta. I confini stereotipati sono crollati”.
Ti-Press
Martha Argerich, 30 giugno 2015
Estival ha ospitato Miriam Makeba, ha aperto alla world music, ad artisti africani, sudamericani. E strizzato l’occhio al rock: «Lo confesso, mi sono portato anche gli artisti che amavo da adolescente: Steve Winwood, Eric Burdon, Jethro Tull, e il blues, con Buddy Guy. Abbiamo spaziato. Non era tanto il genere a contare, ma la qualità, penso a Martha Argerich nella serata di tango con Bachalov. C’è stato tutto, molto, e anche se il jazz non è mai mancato, soprattutto nella prima parte della serata, spaziare è stata la chiave del successo, io credo».
Estival Jazz è sempre stato gratuito, anche nei momenti più difficili della sua storia. «Sì, ci abbiamo pensato a far pagare un biglietto. Magari con 5 franchi a persona mi sarei costruito una villa. Ma io e Andreas avevamo un lavoro come giornalisti e nessun problema per vivere. Era la passione, un hobby, ma eravamo anche convinti che la gratuità fosse la scelta migliore per diffondere l’amore per la musica, e per farla conoscere». Jacky riporta una vecchia indagine secondo la quale, a un certo punto, le città svizzere in cui si comperavano più dischi di jazz erano Montreux e Lugano: «Per anni la gratuità è stata la carta vincente, per questioni di attrattiva popolare. Anche la tv era interessata, e ci ha aiutati a propagandare il nome. Vai su YouTube, guarda quanti milioni di visite hanno i nostri video. Ci abbiamo messo anni a far capire cosa fosse Estival, che fosse altro da Blues to Bop».
Ti-Press
Elio e le Storie Tese, 11 luglio 2015
Quanto sia noto Estival nel mondo lo dicono i tanti aneddoti. Da una vecchia edizione: «In Piazza della Riforma mi ferma un turista americano: “Mi hanno detto che lei è l’organizzatore”, dice; “Complimenti, programma bellissimo! Se posso permettermi…”, e col dito indica il logo. “Avete dimenticato la lettera ‘F’…”». C’è anche l’afroamericano con la t-shirt di Estival incontrato da Jacky a New York. Aneddoti più strettamente musicali, ma anche umani, sono su ‘Il colore degli incontri’ (Fontana), libro (anche) fotografico: «Ricordo Archie Shepp che scese dal palco e, sempre suonando, s’incamminò per via Nassa; Dexter Gordon immobile in Piazza della Riforma, paralizzato dall’agorafobia; Astrud Gilberto che non voleva darci i diritti televisivi, e Andreas che la portò con sé in una passeggiata pseudoromantica sul lungolago per strapparle il sì. Potremmo scrivere un altro libro… ».
L’ultimo ricordo risale alla prima conferenza stampa di Estival, svoltasi lo stesso giorno – il 6 giugno – e nella stessa sala – quella municipale – in cui si è svolta quella di quest’anno: «C’era poca gente, era tutto molto più piccolo, anche se i quotidiani in Ticino erano ancora tanti. Eravamo alle prime armi, ma il successo è arrivato subito. Certo, il suono non era quello di oggi, soffrivamo di tante kinderkrankheiten, piccole malattie di giovinezza dalle quali con gli anni siamo guariti. Era tutto un po’ più goliardico, col tempo abbiamo imparato un mestiere, ma l’entusiasmo e la passione sono rimasti intatti».