Prima nazionale per la nuova coproduzione del Lac: ‘De Gasperi: l'Europa brucia’ di Angela Dematté e Carmelo Rifici in scena venerdì 8 e sabato 9 marzo
A poco più di un mese dal debutto al Teatro Sociale di Trento, arriva a Lugano ‘De Gasperi: l’Europa brucia’, coproduzione del Lac diretta da Carmelo Rifici con protagonista Paolo Pierobon, affiancato sul palco da Giovanni Crippa, Emiliano Masala, Livia Rossi, Francesco Maruccia. Lo spettacolo andrà in scena nella Sala Teatro venerdì 8 e sabato 9 marzo. Ne abbiamo parlato con l’autrice del testo, la drammaturga Angela Dematté.
Inizierei dal titolo, anche se so che nasce da un’idea del regista Carmelo Rifici…
Sì, il titolo è un’idea di Carmelo ma lo approvo, quindi posso parlarne anch’io (ride, ndr).
Perché, quindi, un riferimento così diretto all’Europa in uno spettacolo dedicato a un politico che ha vissuto una fase così cruciale della storia d’Italia?
Certamente De Gasperi è legato alla storia dell’Italia democratica, ma è anche considerato uno dei padri fondatori dell’Unione europea: fu lui, insieme a Schuman, Adenauer e altri ad avere l'idea di una Europa unita ed è proprio a questa idea di Europa che ci richiamiamo. Il titolo inoltre contiene questo verbo, bruciare, che è ambiguo, può essere sia positivo sia negativo: da una parte rimanda alla passione, all’emozione, dall’altra alla distruzione. L’Europa brucia per la passione dei suoi ideali o perché rischia la distruzione: il titolo rimane così, sospeso, evitando di esaurirsi in una definizione univoca.
Lo spettacolo si concentra sugli ultimi anni di vita di De Gasperi. Perché questa scelta?
Lo spettacolo è cronologico, parte dall’estate del ’46 e si conclude con il funerale di De Gasperi, nel ’54: sono gli anni in cui l'Italia comincia la sua storia democratica e si comincia a pensare alla possibilità di una Unione europea. Soprattutto, sono gli anni del Patto atlantico, della nascita della Nato e della dipendenza dagli Stati Uniti dell’Italia e dell’Europa occidentale, e questo è un aspetto centrale dello spettacolo: volevamo parlare di questa alleanza, di questa dipendenza, per parlare anche di quello che sta accadendo oggi.
‘De Gasperi: l’Europa brucia’ guarda al passato per meglio comprendere il presente oppure affronta direttamente l’attualità?
No, tutto quello che portiamo in scena è collocato nel periodo storico di cui abbiamo parlato, dal ’46 al ’54, e si basa sui discorsi di De Gasperi e di Togliatti e su altro materiale d’archivio, frutto di un intenso lavoro di ricerca che non sarebbe stato possibile senza l’assistenza di Valentina Grignoli. Ma il modo in cui trattiamo questo materiale, come accostiamo questi discorsi, come li rendiamo vivi crea dei “cortocircuiti di conoscenza” che possiamo fare perché sappiamo come noi siamo finiti oggi, nel bene e nel male. Nello spettacolo prendiamo questo materiale storico e lo riportiamo alla memoria inserendolo in un contesto immaginario in cui diventa qualcosa d’altro: se prendi un discorso politico e lo fai emergere da un sogno, da un'utopia oppure da una un'immagine di tempesta, quel discorso parla di un futuro che noi sappiamo essersi realizzato o di un sogno che non è diventato realtà.
Le parole di De Gasperi che ascoltiamo nello spettacolo sono quindi tutte, o quasi, autentiche.
Direi che le parole che usa De Gasperi sono sue per il 70%. Noi abbiamo inventato le scene in cui emergono queste parole: i dialoghi con la figlia, l’incontro con Palmiro Togliatti, quello con l'ambasciatore americano e il dialogo con questo ragazzo di Matera che è un personaggio immaginario, una figura onirica che ci serve per far emergere il dilemma di questo benessere che sta arrivando e che scavalcherà l'iniziale ideale di libertà.
È stato difficile dare vita a quel materiale d’archivio?
In realtà parliamo di materiale che è già vivo, perché la politica, all’epoca, era piena di passione perché dalla politica dipendeva la vita stessa. Dalla politica dipendeva se il tuo concetto di libertà e di umanità si identificava con il Partito comunista o con la Democrazia cristiana, non era questione di regolamenti o direttive. Lavorare con queste passioni politiche è stato molto bello e il pubblico lo sente, sente quella passione, sente che quei dialoghi, quei confronti hanno portato a essere quello che siamo.
E il pubblico svizzero, che ha un’altra storia e guarda all’Europa con occhi diversi, sentirà comunque suo questo spettacolo?
Penso che anche un americano o un cinese possano vedere questo spettacolo e capire che c‘è di mezzo un confronto di ideali, un confronto di posizioni umane. Lo spettacolo è molto emotivo e va al di là dell'appartenenza nazionale: siamo di fronte a un’idea di politica che non è solo italiana o solo svizzera. Quando De Gasperi dice che noi facciamo la politica per il popolo e crediamo nel popolo, crediamo che la persona debba emergere dalla massa, non parla solo dell’Italia o dell’Europa, parla di tutta l’umanità.
Del resto, se andiamo a vedere il Riccardo Terzo di Shakespeare, anche se di quella vicenda sappiamo ormai poco, ci appassionammo alla storia di quest’uomo. E similmente il pubblico finora si è molto appassionato di fronte a De Gasperi che affronta un momento storico complesso, cerca di gestirlo e rimane travolto dagli eventi.
Mi sembra di capire che De Gasperi sia una specie di eroe tragico. Ma ci serve davvero rappresentarlo così? Penso alla citazione, per quanto scontata di Brecht: sventurata la terra che ha bisogno di eroi.
Credo che l’avrebbe pensata così anche De Gasperi. Una delle cose che ci siamo detti con il direttore della Fondazione De Gasperi, Odorizzi, è proprio che sarebbe triste limitarsi alla nostalgia verso un uomo così. Certo, di fronte alla statura umana di De Gasperi un po’ di nostalgia viene, ma c’è anche la consapevolezza che ci sono delle decisioni che sono frutto di un ideale e poi ci sono delle forze che sono frutto di rapporti di potere. C’è la nostalgia, ma c’è anche lo stare attenti perché nei meandri della bontà si può nascondere la trama di potere e ogni atto, soprattutto se si è un politico, porta a delle conseguenze. Non posso dire che Prometeo non dovesse portare il fuoco all’umanità, non posso dire che De Gasperi non dovesse costruire le case e non dovesse chiedere i soldi agli americani, ma bisogna capire come da quello si è arrivati al capitalismo sfrenato che abbiamo visto e che vediamo ancora oggi.
Immagino sia stato difficile per gli attori, e in particolare per il protagonista, confrontarsi con parole realmente pronunciate da uno statista come De Gasperi.
Portare in scena questa prole è stato certamente molto impegnativo ma devo dire che c’è stato l’intervento di un bravissimo regista, Carmelo Rifici, che ha guidato tutta questa operazione, lavorando con gli attori e non solo perché ha seguito anche la scrittura. È stato un lavoro complesso, per la regia, per i collaboratori della regia e come detto per il gruppo di attori che si fa carico di questa responsabilità in modo molto eroico, con rigore e profondità. In particolare Paolo Pierobon, che è il protagonista, non imita semplicemente De Gasperi ma entra in questo percorso interiore.