cinema

Solo contadini e orologiai (anarchici)

Dal 18 maggio è nelle sale svizzere ‘Unrueh’ del regista Cyril Schäublin che racconta dei moti anarchici nelle fabbriche di orologi a fine dell’Ottocento

Josephine alle prese con il bilanciere
(Filmcoopi)
15 maggio 2023
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Siamo nella valle di Saint-Imier, nel Giura Bernese, è la fine del XIX secolo, quando anche in Svizzera soffiavano venti anarchici; quando gli operai si organizzavano, intessendo reti anche sul piano internazionale per solidarizzare, sindacare, lottare e rivendicare migliori condizioni di lavoro e vita (come non sentire nelle orecchie l’inno scritto da Eugène Pottier?).

A raccontare questo spaccato di storia svizzera è ‘Unrueh’ (tradotto: agitazione), film del 2022 diretto dal regista zurighese Cyril Schäublin, prodotto da Seeland Filmproduktion in collaborazione con Cinédokké e Srg Ssr, distribuito da Filmcoopi nelle sale svizzere dal 18 maggio, in Ticino nella versione originale in svizzero-tedesco, francese e russo con sottotitoli in italiano.


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In fabbrica

Il lungometraggio storico-drammatico ha ricevuto diversi riconoscimenti, fra cui l’Encounters Competition alla 72esima Berlinale come miglior regista, miglior film allo Jeonju International Film Festival, miglior fotografia al Beijing International Film Festival, Premio Fipresci alla Biennale.

Una metafora esistenziale

In poco più di un’ora e mezza con placida narrazione (a tratti didascalica), una squadra di attori non professionisti e le riprese alla sola luce naturale, Schäublin racconta la quotidianità di operaie e operai (ma pure di padroni e politici, che spesso sono una persona sola) di una fabbrica di orologi, divenuta – nel tempo – tradizione distintiva di un’intera regione. Nelle dodici ore al giorno di fatica, fra un controllo di produzione e rendimento e l’altro, i lavoratori si organizzano, discutono delle lotte operaie fuori dalla Svizzera e raccolgono fondi per gli scioperi della classe operaia di tutto il mondo. Fuori dalla fabbrica e di là della organizzazione e della contrapposizione fra padroni, politica e lavoratori, Schäublin mostra uno spaccato sociale di fine Ottocento, quando chi non pagava le tasse era estromesso dai locali pubblici e non poteva votare (le donne erano ben lontane da quel diritto), fra ricorrenze storiche e cambiamenti epocali anche in ambito tecnologico come la fotografia, il telegrafo, oltre all’orologeria. Una quotidianità non trasposta solo a parole e gesti, ma mostrata anche da riprese diremmo “grandangolari” dove i suoni divengono protagonisti. Il parallelismo fra la vita in fabbrica e l’esistenza umana è calzante.


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Dalla vicenda emergono due storie destinate a intrecciarsi, quella di Josephine Gräbli (Clara Gostynski) e Pyotr Kropotkin (Alexei Evstratov), ispirato a quello vero. La ragazza è un’operaia della fabbrica addetta alla produzione del bilanciere, il cuore meccanico dell’orologio, chiamato “Unrueh”: è grazie all’agitazione prodotta da questo componente che il meccanismo dell’orologio si mette in moto facendolo ticchettare e perciò funzionare. Come altre sue colleghe segue e partecipa al movimento anarchico e conosce Pyotr, un cartografo russo giunto nella regione per mappare il territorio avvalendosi della toponomastica popolare che definisce lì il suo impegno politico e la sua militanza. Nelle sue ‘Memorie di un rivoluzionario’ Kropotkin scrisse: “L’indipendenza di pensiero e di espressione che ho trovato nelle montagne svizzere del Giura attirava molto di più i miei sentimenti; e dopo aver soggiornato qualche settimana con gli orologiai, le mie opinioni sul socialismo erano definite. Ero un anarchico”.


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Lo spunto narrativo del film è in parte autobiografico: la nonna di Schäublin per anni ha lavorato come orologiaia addetta alla produzione del bilanciere, prima e dopo di lei altre donne della famiglia del regista hanno lavorato in quel settore. Il suo intento era raccontare quelle storie, ripercorrerne il tempo trascorso in fabbrica legandolo alla vicenda dei moti anarchici degli orologiai del XIX secolo – soprattutto evocandone gli ideali di cooperazione e solidarietà – nella Svizzera nordoccidentale, epicentro politico del movimento internazionale che in quell’epoca iniziava a combattere l’emergente nazionalismo e l’affermazione di un’economia capitalista, padrona del tempo e delle vite delle persone. Un meccanismo impiantabile con un poco di agitazione.