Dal primo provino per Damiano Damiani fino a ‘Il pittore di cadaveri’, con il quale è oggi a teatro: a colloquio con l’attrice italiana
Avevamo incontrato Ornella Muti nella sala d’attesa dell’aeroporto di Berlino, noi tornando dalla Berlinale, lei da una serata ‘Cinema for Peace’ organizzata durante il Festival, dove aveva tenuto un discorso, e con lei alla serata c’erano Uma Thurman, Pussy Riot, Sir Christopher Lee e Catherine Deneuve, per promuovere la pace attraverso il cinema.
Ci eravamo dati un appuntamento per un’intervista, visto che in aeroporto era circondata da fans, soprattutto giovani che le chiedevano un selfie insieme, e lei disponibile non ha negato il piacere. Poi è incominciato un inseguimento tra i suoi impegni a teatro e il suo piacere di essere nonna.
Finalmente l’intervista, e la prima domanda è, banalmente, sul cinema, sul fare cinema e sul vederlo; lei, sorridendo risponde: «Fare cinema mi appartiene ed è magia, sogno, speranza, è identificazione, e la stessa cosa avviene quando lo vedo, quando divento spettatrice. Prima di debuttare, avevo allora 14 anni, non andavo tanto al cinema, mi piacevano i cartoni animati, i film Disney, ma soprattutto mi aveva colpito il ‘Romeo e Giulietta’ di Franco Zeffirelli, con attori giovanissimi come Giulietta, Olivia Hussey, che aveva sedici anni quando girò quel film».
Chiediamo a Ornella Muti come è stato il suo incontro con il cinema, lei ricorda e risponde: «Avevo accompagnato mia sorella Claudia, più grande di me, a un provino per ‘La moglie più bella’ di Damiano Damiani, ma mi scelsero proprio perché avevo l’età del personaggio, che era Franca Viola, la prima donna siciliana che nel 1965 si è ribellata al dogma del finto rapimento, che sarebbe sfociato nel matrimonio riparatore. Con incredibile coraggio, disse: “No, io non mi sposo e andate tutti al diavolo!”. Non fu semplice. Ero accompagnata da mia madre durante le riprese, che si svolsero anche nella Gibellina colpita da poco dal terremoto». Lei si presentò col suo nome Francesca Rivelli: l’hanno cambiato perché esisteva già una famosa attrice di nome Luisa Rivelli? «Si, fu per quello, e Damiano Damiani scelse il dannunziano Ornella Muti, unendo nomi da ‘La figlia di Iorio’ e ‘Il Piacere’».
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Nel 1975
Ornella Muti è stata protagonista indiscussa del cinema italiano tra gli anni 70 e 80 dello scorso secolo: cosa ha voluto dire per lei? «Ho avuto la fortuna di aver preso per la coda il grande cinema italiano, quello dei grandi registi e dei loro eredi. Non era già più il cinema di Fellini e Visconti, ma erano restati – insieme ai nuovi registi – i loro grandi direttori della fotografia, già nel primo film avevo avuto Franco Di Giacomo. È fondamentale il direttore della fotografia, capisce il tuo volto e con pochissimo riesce a illuminarlo. Oggi si usano obiettivi 40/50mm fissi, allora si usavano i 90 e i 100mm, si fotografava al cinema, il viso era accarezzato. Oggi si corre, non c’è tempo per le carezze, si affonda nella povertà del linguaggio cinematografico. E lo stesso vale per i costumi: c’erano Tirelli e Anna Mode, oggi si va a caso, magari seguendo le indicazioni di uno sponsor. Per non dire delle scenografie, che costano tanto: meglio gli effetti speciali...».
Ma non in tutto il mondo il cinema di oggi è come quello italiano: «Certo, penso alla qualità del cinema francese, le nostre storie sono remake dello stesso film, c’è povertà d’idee, ma il cinema francese è sostenuto anche dallo Stato, da noi nessuno sostiene i film normali, quelli che si dovrebbero vedere al cinema; le sale sono invase dal cinema americano, e nessuno pensa al piacere che ti dà un film normale, quando si spegne la luce in sala. Io che faccio tanto teatro, amo qualche volta sedermi davanti a un grandissimo schermo al cinema, mentre attraversando l’Italia con la mia compagnia mi accorgo dalle finestre aperte che ogni casa ormai ha un mega-schermo, che impedisce di pensare, di vedere uno spettacolo insieme ad altri».
Leo Medvedev’s Archive
A Mosca nel 1985
Ornella Muti incontra un regista molto speciale e soprattutto non semplice come Marco Ferreri nel 1976 per ‘L’ultima donna’, nel 1981 per ‘Storie di ordinaria follia’ e poi, nel 1984, per ‘Il futuro è donna’. Com’è stato il vostro rapporto? «Inizialmente è stato un rapporto molto faticoso, abbiamo subito litigato, e in ‘L’ultima donna’ mi dirigeva l’aiuto regista; poi, a film concluso, lui disse: “Quella stronza è venuta bene”. Poi le cose tra noi sono migliorate. Il fatto è che lui mi trovava troppo disneyana. Anche Mario Monicelli mi vedeva disneyana, ed entrambi mi volevano con un’altra tensione, più donna forte, dura, ma io sono e resterò disneyana, per sempre, mi piace sognare i sogni. Ferreri aveva le sue fantasie ed erano crude e polemiche, arrivavano allo stomaco».
Lei è riuscita a rifiutare uno 007, mostrando di saper scegliere i film da fare: guardando alla sua nutrita filmografia, quali sono i film che ha amato recitare? «‘Il viaggio di Capitan Fracassa’ di Ettore Scola, ‘Flash Gordon’ di Mike Hodges e ‘Io e mia sorella’ di Carlo Verdone», risponde senza esitare. «Ma il lavoro più gratificante per me è stato comunque ‘Cronaca di una morte annunciata’ di Francesco Rosi, tratto dall’omonimo romanzo di Gabriel García Márquez. Abbiamo girato in Colombia, sentivo l’odore di Márquez nella foresta, lungo il fiume, in ognuno dei luoghi dove abbiamo girato. Mi sentivo viva, nel film, lo rifarei. È che mi piacciono le novità, i posti nuovi, essere personaggio di quei luoghi».
Tra i luoghi che ha frequentato c’è stato anche il Festival di Sanremo. Ci interrompe: «È stato denigrante, Sanremo è un festival all’insegna del niente, dove ogni realtà è o diventa fiction, dove assente è l’Italia. Noi non siamo quello che ci mostra questo Festival, noi abbiamo delle radici cui siamo ancorati, noi non siamo quel buonismo finto». Tempo di teatro, ora in scena con ‘Il pittore di cadaveri’ di Mark Borkowsky per la regia di Enrico Maria Lamanna: come si trova sulle assi del palcoscenico? «Molto bene, mi aiuta molto la presenza di un regista attento e intelligente come Lamanna e questo mi aiuta ad affrontare un testo così impegnato». Le promettiamo di andare a vedere lo spettacolo. L’intervista è finita. Voci infantili la chiamano: Francesca Rivelli alias Ornella Muti è anche una nonna felice.