L’intervista

La ‘Primadonna’ che cambiò la storia

Nel 1966 una 17enne si oppose al matrimonio riparatore. Nel film di Marta Savina, Claudia Gusmano è Lia, ed è tutte le Franca Viola che si ribellano

In concorso nella categoria ‘Young’
21 novembre 2023
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“Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. Ovvero: c’è stato un tempo in cui la Legge italiana dichiarava estinto il reato di stupro per chi se n’era reso colpevole se lo stesso si dichiarava disponibile a sposare la vittima, generalmente minorenne. Il cosiddetto ‘matrimonio riparatore’ era voluto soprattutto dalla famiglia della vittima, per ripristinare l’onore perduto della giovane non più ‘illibata’, che se non avesse acconsentito alle nozze, sarebbe stata per sempre una ‘svergognata’. L’abrogazione di questa norma, l’articolo 544 del codice penale, si deve a una giovane siciliana.

‘Io non firmo, per me puoi andare in carcere’

In concorso nella categoria Young, ‘Primadonna’ (‘The Girl From Tomorrow’) è il bel lungometraggio d’esordio di Marta Savina, che la storia di Franca Viola – la prima donna a ribellarsi al matrimonio riparatore – già l’aveva raccontata nel pluripremiato cortometraggio ‘Viola, Franca’ (2017). Ad accompagnare ‘Primadonna’ a Castellinaria è stata ieri la brava Claudia Gusmano, che nel film è Lia, una versione più universale di Franca, come ci dirà lei tra poco, ma la storia quella è. La storia di una 17enne prelevata con la forza dagli scagnozzi del boss del paese insieme al fratellino (poi rilasciato), stuprata dall’autoproclamatosi promesso sposo e costretta a unirvisi in matrimonio. “Non si disturbano i carabinieri per una fuitina”, dice don Zaina (Paolo Pierobon), parroco di paese che il giorno dopo benedirà l’unione, previa firma per annullare “questa denuncetta” (il sindaco), la denuncia per stupro sporta da Lia.

“Io non firmo, per me puoi andare in carcere”, dice la ragazza a Lorenzo (Dario Aita): sorretta dal padre Pietro (Fabrizio Ferracane) e dall’avvocato Orlando (Francesco Colella), Lia affronterà un processo che, sebbene 16 anni più tardi (l’abrogazione della norma avverrà nel 1981, lo stupro sarà riconosciuto reato “contro la persona” e non “contro la morale” solo nel 1996), cambierà comunque l’Italia per sempre.

Claudia Gusmano, c’è una mantra in ‘Primadonna’, soprattutto nelle parole della mamma di Lia: ‘Non sta bene’. Da siciliana, guardando a quella Sicilia, che effetto le fa?

Lavorando sul personaggio non ho pensato agli anni 60. Ho guardato dentro di me e sono andata a trovare tutti quei momenti della mia vita in cui mi sono sentita dire, con le parole e con i gesti, “non sta bene”, espressione che temo funzioni ovunque, anche da voi. Io cerco sempre di tornare a me stessa ogni volta che posso, cosa molto difficile da fare in un’epoca, quella in cui viviamo, nella quale devi dimostrare di essere performante al 100 percento, elargire emozioni a tutti senza mai chiederti che cosa vuoi e chi sei. Penso che lavorare su Lia mi abbia riportata a me ragazzina, quando mi sono chiesta per la prima volta proprio cosa volessi fare, come volessi esprimermi. Credo che se non avessi fatto l’attrice sarei finita molto male (ride, ndr).

A parte il contesto, dunque, come ha lavorato al personaggio? Ha incontrato Franca Viola?

Non ho avuto il piacere di incontrarla, credo che sia una persona molto riservata e lo comprendo. La prima cosa che ho fatto è stato ripulire i miei occhi dal tutte le esperienze fatte, perché ho più anni di quelli che ha il personaggio e mi serviva avere un pensiero più semplice, pronto a sorprendersi. Ho conosciuto la storia di Franca nel 2014, quando Marta Savina mi volle come protagonista di ‘Viola, Franca’. Studiai tutto quel che fu possibile studiare, con la regista andammo fino ad Alcamo, a camminare sulle stesse sue strade.

Per il film, il percorso è stato diverso. Non ho lavorato sul personaggio originale, perché la regista voleva che la storia di Franca fosse quella di più donne insieme. Il modo più efficace, pertanto, è diventato tornare a me, ritrovare il mio quotidiano. Come davanti a un quadro che si ha paura di rovinare, il non essere più riferita direttamente alla sua figura mi ha permesso di ‘sporcarla’. È nato così un nuovo personaggio che non era più quello realmente esistito, benché raccontassimo un fatto di cronaca che ha cambiato la storia degli uomini e delle donne in Italia.

L’ha cambiata anche se dal 1966, anno dei fatti, la legge sul matrimonio riparatore in Italia è stata abrogata soltanto nel 1981…

Sì, e ancora viviamo tanti strascichi. Lungi da me demonizzare l’uomo, anche perché questo film non dà colpe a nessuno, sono tutti vittime di un sistema: però, quale donna non ha mai visto travisato un suo “no”? Anche oggi, che sono una donna di 38 anni, se dico “sì” posso sembrare una poco di buono e se dico “no”, per qualcuno in realtà voglio dire “sì”, dunque starei solo facendo la donna ‘per bene’. Credo che anche dall’altra parte, nonostante io sia in assoluto per una parità dei diritti che purtroppo non c’è, non credo sia un bel vivere per quell’uomo al quale si richieda di essere sempre prestante e a disposizione, e non parlo dal punto di vista sessuale ma in ogni senso, parlo dell’uomo che piange e viene visto come un debole, o l’uomo che non può fare le faccende di casa o accudire i figli perché sono cose che fa una donna.

Perché ‘non sta bene’….

Sì, sono dinamiche ancora presenti e hanno tutte lo stesso seme. Gli esseri umani che esprimono se stessi, in ogni caso, sono la cosa più bella in assoluto.

Il matrimonio riparatore pare essersi ‘evoluto’ in femminicidio, il modo più definitivo di cancellare un’onta, quella insopportabile dell’essere lasciati. Penso al caso di Giulia, la ragazza uccisa in Italia nei giorni scorsi.

Esprimere opinioni pubbliche su questo argomento è molto delicato. Io credo si debba fare un gran baccano nei silenzi delle nostre case, dove vivono donne maltrattate, e anche qualche uomo, in un silenzio che viene considerato normale. Ho anche paura della violenza dell’antiviolenza, del modo in cui questi fatti vengono comunicati e resi ancor più dolorosi. La rabbia non è mai giustificata, benché sia un sentimento umano. Il grande errore di comunicazione è invece parlare di femminicidio associandolo alla parola ‘amore’ e nel caso di Giulia, quello del suo assassino è tutto tranne che amore, è considerare la vita dell’altro ‘niente’, nella totale assenza di base empatica umana.

Quanta empatia c’era sul set di ‘Primadonna’, invece?

Quella di una grande squadra. Si è trattato solo di stabilire un paio di colori e poi sono nate centinaia di sfumature. Il cast era fortemente voluto, ci siamo sentiti liberi di sperimentare, di creare qualcosa di personale, sempre diretti da Marta. Sentirsi voluti è bello, credo sia anche la forza delle relazioni umane. Molti dolori nascono quando ti trovi in contesti nei quali senti di non essere voluta appieno, e in quei casi bisogna andare via.

C’è un’altra donna che vorrebbe interpretare in futuro?

Ce n’è una che ahimè non ho interpretato e nemmeno mi hanno chiamata per il provino, maledetti! (ride, ndr), perché l’attrice è stata scelta in una fascia d’età molto più bassa. In Italia, tranne casi come ‘Primadonna’, se non hai l’età anagrafica dei personaggi rischi di non fare nemmeno il provino, e invece sarebbe bello se ci permettessero di fare il nostro lavoro, che è trasformarci. Il mio personaggio del cuore è Modesta dell’‘Arte della gioia’ di Goliarda Sapienza, il mio romanzo preferito. Valeria Golino l’ha fatto diventare una serie che presto uscirà e io non vedo l’ora di vederla. Ma resto affezionata a Lia perché dietro c’è una storia vera e ti fa sentire di avere una missione comunicativa importante. Una mia insegnante di teatro mi diceva sempre che il pubblico non deve stare mai comodo sulle sedie, e quando vedi film come ‘C’è ancora domani’, come ‘Io capitano’, ti dici che vale sempre la pena di vivere in questo Paese.

Ha altre esperienze di cinema giovane, come quello di Castellinaria?

Prima di Bellinzona, il mio unico incontro col cinema giovane è stato il desiderio di andare al Giffoni Film Festival. Ero giovanissima, mi sorteggiarono, ma mia madre mi impedì di partire perché ero troppo piccola. Quella sera le dissi che sarei diventata un’attrice e ce l’avrei portata io, al Giffoni. Faccio un appello al Giffoni Festival: fatemici tornare!

Il sogno di diventare attrice nasce lì?

No, l’ho deciso a 14 anni, dopo avere visto il Cyrano di Anna Mazzamauro a teatro. Lo so che è una di quelle cose che si raccontano nei libri, ma per l’emozione mi venne un febbrone a quaranta...