L’Academy e l’industria cinematografica statunitense si rinnovano, e i premi conquistati da ‘Nomadland’ della sino-americana Chloé Zhao ne sono un primo segnale
Che cosa resterà, di questi Premi Oscar 2021? Certamente non la cerimonia in tono minore (rispetto agli standard dell’Academy, ovvio), divisa tra Union Station e Dolby Theatre a Los Angeles più videocollegamenti con altre città in giro per il mondo: l’atmosfera da party elegante senza troppo sfarzo ha i suoi perché, ma l’industria del cinema vuole ben altri modi per autocelebrarsi. Rimarrà il primo Oscar per il miglior film e la miglior regia a una donna asiatica? Questo sì, e prima di tutto perché ‘Nomadland’ di Chloé Zhao quel premio se lo merita tutto, ma non è solo questione di valore cinematografico, anche perché gli altri film candidati sono tutti, chi più chi meno, pregevoli. Le statuette a ‘Nomadland’ sono soprattutto testimoni del processo di rinnovamento dell’Academy, la cui composizione sta lentamente diventando maggiormente rappresentativa di tutte le realtà della società, e della maggiore apertura dell’industria cinematografica che ha accolto una giovane regista nata a Pechino. In questo è interessante andare a vedere quale sarà il prossimo film di Chloé Zhao: ‘Eternals’, un cinefumettone Marvel attualmente in postproduzione (dovrebbe arrivare, salvo nuovi rinvii, il prossimo autunno). Il che va ovviamente benissimo, solo che dovremmo tenerne conto quando si ripropone la retorica della “regista outsider”.
È suggestivo che ‘Nomadland’ abbia vinto l’Oscar per il miglior film battendo, tra gli altri, ‘Mank’ di David Fincher, biopic su Herman Mankiewicz (interpretato da Gary Oldman, anche lui candidato), lo sceneggiatore di ‘Quarto potere’ di Orson Wells. Curioso perché nel 1942 ‘Quarto potere’, considerato tra i migliori film di sempre, perse: i membri dell’Academy preferirono il bello ma tradizionale ‘Com’era verde la mia valle’ di John Ford. Gli Oscar 2021 non sono un’ammenda: vero che ‘Mank’ ha lo stesso sapore nostalgico del film di John Ford – con la Hollywood che fu al posto di una valle trasformata dall’industrializzazione –, ma anche ‘Nomadland’, per quanto ad altri livelli, guarda al passato: il film, nato da un reportage giornalistico di Jessica Bruder, racconta la storia di una donna che, rimasta vedova e senza lavoro, si mette a girare gli Stati Uniti a bordo di un furgoncino, un nomadismo figlio della crisi economica dei subprime, denunciando sì una realtà da molti ignorata ma con le sfumature dei cinema western, incluso l’eroismo dei protagonisti (in questo Ken Loach è più accorto).
Sempre a proposito dei tempi che cambiano: ‘Mank’ di Fincher guidava la classifica dei film con più candidature ma ha concluso la cerimonia con “solo” sue premi, più tecnici (migliori fotografia e scenografia) ma Netflix, produttrice di ‘Mank’, è comunque uscita soddisfatta dagli Oscar 2021: con sette statuette guida la classifica degli studios. Tra le sue produzioni vincitrici, l’interessante cortometraggio ‘Two Distant Strangers’ scritto da Travon Free e diretto da lui e da Martin Desmond Roe. La storia non è particolarmente originale, anzi è praticamente un sottogenere (‘Ricomincio da capo’ con Bill Murray; i due ‘Auguri per la tua morte’ con Jessica Rothe): uno strano loop temporale costringe il protagonista a rivivere sempre la stessa giornata; solo che qui a rimandare avanti e indietro nel tempo Carter James (il rapper Joey Bada$$) è l’uccisione da parte dell’agente di polizia Merk (Andrew Howard) con modalità che ricordano le purtroppo numerose uccisioni accidentali di neri da parte delle forze dell’ordine. Un modo intelligente per portare su schermo l’attualità.
Sempre di Netflix è il miglior cortometraggio d’animazione: ‘If Anything Happens I Love You’ di Will McCormack e Michael Govier; per i lungometraggi, scontata la vittoria di Disney/Pixar con ‘Soul’ di Pete Docter e Dana Murraydouble. Miglior film internazionale è il danese ‘Another Round’ di Thomas Vinterberg.
And the Oscar goes to…
Vuoi per i ritmi più rilassati della cerimonia in tempi di pandemia, vuoi perché comunque non trovarsi su un enorme palco ma in una stazione ferroviaria adattata ha il suo effetto, i discorsi di presentazione e di premiazione sono stati particolarmente leggeri, a tratti divertenti. Una splendida Rita Moreno ha scherzato sul successo di ‘West Side Story’ con cui l’attrice portoricana ha vinto l’Oscar per la miglior attrice non protagonista, e poco male se la cosa è forse uno spot per il remake diretto da Steven Spielberg. Harrison Ford per evidenziare l’importanza del montaggio ha letto alcuni appunti sulle prima versioni di un film apparentemente terribile (che poi si è scoperto essere ‘Blade Runner’ di Ridley Scott, e chi ha visto il director’s cut ha probabilmente in mente cosa si intende con “sequenze inutili”). La sud coreana Yuh-jung Youn, vincitrice come migliore attrice non protagonista, ha continuato a fare a pezzi ironicamente la platea proprio come il suo personaggio nel film ‘Minari’, ma alla fine ha perdonato tutti per la pronuncia sbagliata del suo nome. Bong Joon-ho, il cui ‘Parasite’ aveva vinto tre Oscar l’anno scorso, in collegamento da Seul ha presentato in coreano i cinque candidati per la miglior regia, interrogandoli su cosa significa dirigere un film per loro.
Dicevamo della serata in tono minore: ancora peggio la conclusione, che definire brusca è dir poco. Un anticlimax dovuto in parte alla decisione dell’Academy di non concludere la cerimonia con quello che tutti considerano il premio principale, quello per il miglior film, ma con le migliori interpretazioni: così dopo aver premiato Frances McDormand e Chloé Zhao in quanto produttrici di ‘Nomadland’, ecco di nuovo Frances McDormand quale miglior attrice protagonista – con tanto di ululato, un altro momento curioso di questi Oscar – e poi la delusione per il miglior attore. Il premio è andato a Anthony Hopkins per ‘The Father’, storia di un uomo affetto da Alzheimer: premio meritato ma inatteso. Dallo stesso Hopkins, che non era presente alla cerimonia, e soprattutto dai fan del favorito Chadwick Boseman, protagonista di ‘Ma Rainey’s Black Bottom’ morto per un tumore a soli 43 anni. Le proteste sui social media non sono ovviamente mancate.
Tra le delusioni anche ‘The Trial of the Chicago 7’: il film di Aaron Sorkin aveva iniziato la serata con sei nomination e l’ha conclusa come unico candidato al miglior film tornato a casa a mani vuote. Una sorpresa, considerando che era considerato un forte contendente per ‘Nomadland’. Altra delusione: ‘One night in Miami’, il debutto alla regia di Regina King aveva tre candidature ma su una in particolare le previsioni della vigilia si erano concentrate, quelle per la miglior canzone originale: ma mentre si scommetteva su ‘Speak Now’ di Leslie Odom Jr. e Sam Ashworthv il premio è andato a 'Fight for You' di 'Judas and the Black Messiah', con musica e testi di HER. Sempre ‘Judas and the Black Messiah’ è valso a Daniel Kaluuya l’Oscar per il miglior attore non protagonista.