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Covid-19 e case anziani, cosa ripensare per dignità ospiti

Presentati i risultati preliminari della ricerca condotta dalla Fondazione Sasso Corbaro sulle limitazioni nelle case anziani durante la prima ondata

Sala di Cristallo presso la casa anziani Serena per le visite agli anziani dei propri parenti durante emergenza Coronavirus COVID-19 (Ti-Press)
14 dicembre 2020
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Conosciamo sempre meglio il nuovo coronavirus: le caratteristiche della malattia che provoca, i possibili trattamenti e terapie. E anche le conseguenze – gli effetti collaterali, se vogliamo usare una terminologia medica – degli interventi non farmacologici quelle misure che costituiscono ancora adesso la misura principale per contenere il contagio ma che, se pensiamo soprattutto alle limitazioni dei movimenti, hanno un costo sociale e psicologico importante.

Per quanto riguarda la situazione nelle case anziani, confrontate durante la prima ondata con la sospensione delle visite agli ospiti, la Fondazione Sasso Corbaro in collaborazione con l’Università della Svizzera Italiana e l’Università di Lucerna ha avviato uno studio i cui risultati preliminari sono stati presentati oggi. “Proporzionalità e conseguenze delle misure di restrizione delle libertà personali nelle Case per anziani durante la pandemia di Covid-19. le famiglie che soffrono” l’eloquente titolo della ricerca condotta da Sheila Bernardi, Maddalena Fiordelli, Sara Rubinelli, Viviana Spagnoli, Roberto Malacrida e Graziano Martignoni.

Prima di vedere metodi e risultati, due parole – di Graziano Martignoni – sugli obiettivi: «Raccogliere documenti, informazioni per orientare e riorientare in vista di quel che sta già accadendo l’attività della case anziane nel rispetto della dignità dei residenti, del loro bisogno di libertà, del loro bisogno di non essere imprigionati per necessità di sicurezza». Perché se da una parte si può parlare di una buona resilienza da parte degli operatori delle case anziani e dei familiari degli ospiti, dall’altra è emersa la necessità di lavorare su quelle che Martinoni ha riassunto come le “tre c”: la comunicazione tra casa anziani e familiari, i contatti con gli ospiti da mantenere anche durante i momenti di chiusura, e i colloqui, gli incontri come modalità più preziosa per mantenere questi contatti.

Metodi e risultati preliminari

Due premesse sulla ricerca. La prima: si tratta di uno studio qualitativo e non quantitativo: l’obiettivo è cioè raccogliere idee, concetti, vissuti, non dati precisi su quanto le varie misure abbiano inciso sul benessere delle persone coinvolte. La seconda: la ricerca si è concentrata sugli operatori delle case anziani (medici, infermieri, animatori, direttori) e sui familiari degli ospiti; più delicato il lavoro di ricerca degli ospiti che però Graziano Martignoni spera di poter avviare successivamente, una volta conclusa l’analisi di questa prima fase (e pubblicati i risultati su una rivista scientifica).

In collaborazione con l’Adicasi, l’Associazione dei direttori delle case per anziani della Svizzera italiana, sono stati raccolte 44 interviste: 16 a operatori, 8 a direttori (ma queste ultime non sono ancora state analizzate) e 20 a familiari, prestando – ha spiegato Sheila Bernardi – particolare attenzione ad avere interlocutori più vari possibili per raccogliere più esperienze diverse. Gli argomenti toccati in queste interviste, realizzate tra giugno e agosto, riguardano principalmente le misure restrittive applicate nelle varie fasi della pandemia e la comunicazione tra casa anziani e familiari e tra ospiti e familiari.

Che cosa ha significato quindi la pandemia? Per gli operatori, un aumento del carico lavorativo ed emotivo, ai quali si è comunque riusciti a fare fronte; per i familiari si parla perlopiù di preoccupazione e sofferenza. Giudizi discordanti per quanto riguarda la comunicazione tra casa anziani e familiari, tempestiva e trasparente per alcuni, insoddisfacente per altri.

Interessante la parte riguardante la comunicazione tra familiare e ospiti, sia durante il periodo di chiusura, sia durante la fase successiva con postazioni di incontro, separatore in plexiglas  e orari limitati. Limitazioni, soprattutto le prime, giudicate proporzionate dai familiari: le criticità sono emerse sulle “modalità alternative” di contatto, come gli strumenti per la comunicazione a distanza. Utili ma, si legge nel riassunto, non in grado di “sopperire alla mancanza di contatto fisico e di accompagnamento nel fine vita del residente”.

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