Scienze

Tumore alla prostata, terapia più efficace con la flora batterica

Dallo Ior di Bellinzona una ricerca sugli effetti del microbiota su uno dei trattamenti più utilizzati per la neoplasia. Intervista al professor Andrea Alimonti

8 ottobre 2021
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In salute come in malattia, il microbiota è sempre con noi: i batteri che vivono nel nostro intestino aiutano il corpo nelle sue funzioni biologiche, dall’assimilazione del cibo al funzionamento del sistema immunitario, e può anche aiutare o al contrario ostacolare alcune terapie. «L’assunzione di farmaci può portare alla cosiddetta “disbiosi”, una alterazione del microbiota in cui prevalgono batteri “cattivi” la cui attività è per noi dannosa» ci spiega Andrea Alimonti, professore all’Università della Svizzera italiana e responsabile del laboratorio di ricerca in oncologia molecolare all’Istituto oncologico di ricerca (Ior) di Bellinzona.

Il suo gruppo di ricerca, in collaborazione con l’Institute of Cancer Research di Londra, ha appena pubblicato sulla prestigiosa rivista ‘Science’ un lavoro su come il microbiota possa influenzare una delle terapie più utilizzate per trattare il tumore alla prostata, la deprivazione degli androgeni.

Il tumore alla prostata cresce grazie al testosterone: se si abbassano i livelli di questo ormone prodotto nei testicoli e nelle ghiandole surrenali, le cellule tumorali non crescono più. «È dagli anni Sessanta che si usa questa terapia con i pazienti che hanno un tumore alla prostata. Purtroppo una buona parte di questi pazienti a un certo punto diventa resistente al trattamento». Lo studio ‘Commensal bacteria promote endocrine resistance in prostate cancer through androgen biosynthesis’, pubblicato come detto su ‘Science’, riconduce questa resistenza alla flora batterica. «Abbiamo rilevato che in questi pazienti aumenta la presenza di alcune specie batteriche “cattive” che prendono dei precursori degli androgeni dagli alimenti e li trasformano in testosterone che entra in circolazione: in pratica con questi batteri l’intestino si comporta come un altro testicolo». Questa fonte addizionale di testosterone riduce l’efficacia della terapia.

Le possibili terapie

Si tratta della prima ricerca che mette in luce questo meccanismo, ma l’importanza di questo lavoro riguarda anche le possibili terapie. «Abbiamo dimostrato che, negli animali, una terapia antibiotica che elimina questi batteri “cattivi” aiuta la terapia di deprivazione degli androgeni. E ora le autorità britanniche e svizzere hanno approvato un protocollo sull’uomo, per verificarne l’efficacia». Non essendoci nuovi farmaci da sperimentare, l’approvazione definitiva di questa terapia potrebbe arrivare in tempi relativamente rapidi.

Gli antibiotici potrebbero quindi evitare l’insorgenza di questa resistenza, ma rischiano di eliminare anche parte della flora batterica “buona” e qui arriva una seconda strada aperta dello studio «tutta all’interno del microbiota» spiega Alimonti. «Non abbiamo solo trovato dei batteri “cattivi” che producono androgeni, ma anche alcuni “buoni” che inibiscono l’attività di quelli “cattivi”». L’idea è arrivare a produrre dei probiotici, in pratica una pillola da dare ai pazienti per far aumentare la presenza nell’intestino di questi batteri “buoni”. «Lo sviluppo di un probiotico è più semplice di quello di un farmaco, ma per farlo ci serve la collaborazione di un’industria farmaceutica, magari ticinese».

C’è poi una terza applicazione terapeutica. «Abbiamo preso dei campioni fecali da settanta pazienti sottoposti alla terapia e abbiamo scoperto che chi ha tre batteri “cattivi” non risponde alla terapia, mentre chi ha tre batteri “buoni” risponde meglio alla terapia. Analizzando il Dna abbiamo ottenuto l’impronta genetica di questi batteri e se i risultati saranno confermati da studi più grandi, un semplice test ci permetterà di prevedere chi risponderà alla terapia e chi no».

L’importanza del microbiota

L’importanza del microbiota è campo di studi relativamente recente e sempre più importante – la Fondazione Balzan ha da poco attribuito un premio alle ricerche in questo settore, andato allo statunitense Jeffrey Gordon – e sono numerosi gli studi che cercano di correlare alterazioni della flora batterica a varie condizioni. «L’oncologia – ci spiega Alimonti – è uno dei settori in cui questa ricerca è più sviluppata, con solide ricerche ad esempio su come il microbiota possa influenzare l’efficacia dell’immunoterapia. Questo perché, purtroppo, i tumori come anche le malattie infettive permettono di capire meglio se il microbiota ha un’influenza su una terapia, perché se questa non funziona il paziente rischia di morire in breve tempo. Un eventuale effetto sulla depressione o sull’autismo è più difficile da dimostrare». E lo stessa vale anche per un eventuale effetto preventivo del microbiota sull’insorgere di tumori: quello che la ricerca ha trovato è una relazione tra flora batterica e l’efficacia di una specifica terapia. «È possibile che ci sia un effetto preventivo dei batteri “buoni” sullo sviluppo di tumori alla prostata» ci spiega Alimonti. «È un aspetto che sarebbe interessante indagare, ma per allestire uno studio preventivo, quindi su grandi numeri e per un certo periodo di tempo, servono finanziamenti».