L'anno che è passato e il febbraio che sta arrivando. Delle polemiche si è detto, ora è tempo di spettacolo (chiamarlo Festival sarà riduttivo)
(Prologo – Domenica 10 febbraio 2019) Mentre su Sanremo calano le prime ombre della sera (grazie, Nick Carter) lasciamo la Riviera dei Fiori con il mare negli occhi e ‘Soldi’ nelle orecchie, certi che il Marocco-pop ci accompagnerà almeno sino all’anno prossimo. È alla cassa dell’area di servizio di Castellaro Nord che ci danno, insieme alla rustichella, la definizione che avevamo cercato per una settimana intera: «A me non è che il Festival m’interessi tanto – dice Alex, impiegato di Autogrill s.p.a. che ha il ghigno di chi ha capito da dove arriviamo – e poi le canzoni sono quelle che sono. Comunque non so che anno fosse, mi ricordo solo che era notte fonda; a un certo punto vedo le luci delle volanti della Polizia, entrano dei tizi vestiti di blu. Ho pensato “Avrò mica sbagliato un cappuccino per uno importante?”. Poi entra questa bionda esagerata. Ho capito che era Pamela Anderson – la tentazione di chiedere da cosa l’avesse capito è grande – e mi son detto: “Belìn, ma tutto questo casino per una brioche?”».
(Primo febbraio 2020, Autogrill Valleggia Nord) Ecco cos’è il Festival: “Belìn, ma tutto questo casino per una brioche?”. Parafrasando il critico musicale David Hepworth, Sanremo è come il rock, “musica che puoi prendere sul serio solo se consideri il divertimento una faccenda seria, che è poi una delle cose che distingue i fan del rock dalla gente normale”.
Inizia così, per noi giornalisti che abbiamo soltanto questa settimana per sentirci importanti (cit. Ultimo, domenica 10 febbraio 2019, che in alcuni, molti, specifici casi non ha tutti i torti), noi giornalisti pronti a raccontare ai nostri affezionati lettori la settimana del Settantesimo Festival della Canzone Italiana, il Festival di Rita Pavone sovranista, del rapper che istiga al femminicidio, del direttore artistico che si scusa per aver detto che le vallette sono scelte perché carine, come se non fosse così dai tempi dagli anni 50 e fino alla fidanzata di Valentino Rossi. Il Festival di Rula Jebreal sì, ma che non parli di politica, per volere della politica. Questo e tutto il resto che seguirà da qui a sabato 8 febbraio, quando i riflettori si spegneranno e nessuno vorrà più sentir nominare la parola ‘Sanremo’.
Come José Mourinho dopo il triplete, ‘Fammi andar via’ deve aver pensato Claudio Baglioni, in linea con una delle sue più belle canzoni. Dopo i due festival dei record e una conduzione all’insegna di tanta musica e poche chiacchiere (al posto delle quali, in mancanza d’altro, si è cantato ancor di più), la manifestazione canora sulla quale ruota l’intero bilancio della tv di Stato è passata nelle mani di Amadeus, che non ha il gusto di un musicista, ma di un dj, e sebbene oggi i dj ‘suonano’, non è la stessa cosa.
Nell’Italia delle partenze e dei ritorni, del tutti contro tutti e poi tutti con tutti, nell’Italia del valzer e l’Italia del caffè, l’Italia del cinepanettone in cui l’italiano si riscopre d’un tratto accogliente, l’Italia che se non ti è piaciuto ‘Tolo Tolo’ allora sei un fascista ma anche un comunista, nell’Italia in cui la classe politica non ha bisogno di un film che la ritragga in tutti i suoi difetti perché da anni fa già del cinema di suo, nell’Italia di Barbara Alberti (“Uomo bastardo!”) al Grande Fratello Vip e anni di femminismo in vacca, l’Italia delle pupe e dei secchioni, degli Uomini e delle Donne, il Festival della Canzone che peggio di quanto sopra non è torna a prendersi baci e sputi da destra e da sinistra come da tradizione, una volta che il Paese ha superato il vero calvario di questo 2019 appena concluso, che non è stata la scissione tra Renzi e il Pd ma quella tra Tommaso Paradiso e i The Giornalisti, il gruppo con due articoli. Ora Tommaso (Paradiso) è ufficialmente un cantante solista e sul fatto che i The Giornalisti si sarebbero estinti (concetto che rimanda alla precarietà di un’intera categoria) non c’era bisogno di metterci il naso come faceva il santo (in Paradiso). Il Tommaso terreno, che lascia la band via social “per non essere frainteso”, è la sorpresa di questo Festival. Perché non c’è.
Si scherza, l’Italia ha altri problemi. Ma questa è solo musica leggera, e citando a destra e a manca, “la dobbiamo cantare”.
È stato l’anno di Mahmood. “Il ragazzo che ha vinto” (cit. Ultimo che arriva secondo) è andato a un passo dal vincere pure l’Eurovision Song Contest, fiera dell’elettronica. Ma Ultimo è stato più forte dei pronomi, dei giochi di parole e dei the giornalisti (minuscolo, noi), prenotando stadi sold out e riconquistandosi la nostra fiducia. Sanremo lo abbraccerà – così come con Zucchero, si dice – sul palco allestito in Piazza Colombo, un dehors che ha rubato altri parcheggi in città.
È stato l’anno di ‘scivolascivolascivola’, nell’inverno della Penisola spazzata dal vento del Salmo, anche svizzero (il rapper visto in Piazza Grande e che, più coerente di altri, a Sanremo ha servito il gran rifiuto preferendo, tra i santi, San Siro); l’estate ha premiato Jovanotti, in spiaggia col suo tour ecosostenibile (alla fine, tutti con scopa e paletta a ripristinare i lidi) e intonato (ma limitatamente alla stagione).
Nel 2019 il Boss ha compiuto settant’anni, lui che a Sanremo, nell’anno della ‘Terra dei cachi’, cantò ‘The ghost of Tom Joad’ scansando l’intervista di Pippo Baudo; Tina Turner di anni ne ha compiuti ottanta, lei che a Sanremo c’è andata spesso e non è riuscita a scansare le interviste di Pippo Baudo. In inverno si è spento il re del cheek-to-cheek Fred Bongusto, per ricordare all’Italia che celebra il nulla musicale di Al Bano e Romina – qui per cantare l’inedito ‘Raccogli l’attimo’, autore Cristiano Malgioglio, non si sta più nella pelle – cose bellissime come ‘Tre settimane da raccontare’, bella ancor più della ‘Rotonda sul mare’ e altri pianobaristici successi.
Nel 2019 è successo anche che l’auspicata convivenza tra parenti dell’Ariston – il Festival della Canzone Italiana e il Premio Tenco, ritenuto il cugino intelligente – è andata in frantumi quando la signora Tenco si è dissociata dal premio che porta il nome del marito, morto nel 1967 non si sa come (vedi Ticino7 dello scorso venerdì): colpa di Achille Lauro che ha cantato ‘Lontano lontano’ per inaugurare il Premio Tenco 2019, con gli amanti dell’astrattismo a gridare al capolavoro e Luigi dalla tomba, una volta finito di rivoltarsi, a chiedere di essere riesumato per dirgliene quattro di persona all’Achille, rapper romano che torna sullo stesso palco con ‘Me ne frego’, titolo del ‘Mein Kampf’ di Benito Mussolini (non bastava l’effige di San Francesco come avatar) che darà pane a noi the giornalisti (che abbiamo soltanto questa settimana per sentirci importanti).
In questo Settantesimo in cui anche la signora Bardotti, moglie d’illustre autore, vuole ritirare il premio per il miglior testo, indignata per quelli di Junior Cally, non ci saranno Alessio Bernabei, Giovanni Caccamo e Marco Carta, assolto dal furto di magliette senza che la sua carriera ne abbia tratto beneficio. Ultimo evento della stagione 19-20: noi della ‘Regione’ siamo tornati a Sanremo, e forse un giorno qualcuno ci chiederà spiegazioni.