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L’Uomo e il Clima, né coi negazionisti, né con gli attivisti

Un festival diffuso proporrà, da novembre, un racconto multidisciplinare sul riscaldamento globale. Ma per ora non si parlerà di cause e soluzioni

‘Sudario’, una delle opere che sarà esposta al Musec
(Gianluca Bonetti)
23 ottobre 2024
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È stato presentato il progetto L’Uomo e il Clima, un festival diffuso la cui prima edizione si terrà a Lugano e dintorni tra novembre 2024 e maggio 2025 con l’obiettivo di presentare al grande pubblico un racconto a più voci sul clima. Il programma prevede alcune esposizioni, un ciclo di proiezioni cinematografiche e una conferenza-spettacolo. L’idea, come presentata dall’ideatore di questo progetto Gianluca Bonetti, è uscire da quello che è stato definito “provincialismo meteorologico” che porta a confondere la temperatura odierna in Ticino con le condizioni climatiche globali; al contrario, alcuni degli eventi spingeranno sul “tempo profondo” che inquadra l’attuale clima terrestre in una storia non di anni o decenni, ma di migliaia se non milioni di anni con lo scopo di comprendere come l’attuale situazione climatica, finora ottimale per l’esistenza degli esseri umani, sia un’eccezione rispetto alle ere geologiche precedenti.

L’Uomo e il Clima è organizzato in collaborazione con Clara Caverzasio e con l’accompagnamento scientifico di Cristian Scapozza, responsabile del Centro competenze cambiamento climatico e territorio della Supsi.

Il progetto è ambizioso, in un duplice senso. Il primo riguarda chiaramente i partner e gli enti coinvolti in una iniziativa complessa che prevede molte attività in diverse sedi. L’Uomo e il Clima – le maiuscole sono d’obbligo perché, ci è stato spiegato, Uomo include sia gli uomini (con la minuscola) sia le donne, e vabbè – può infatti contare su un comitato d’onore con nomi importanti, dalle climatologhe Elisa Palazzi dell’Università di Torino e Sonia Seneviratne del Politecnico di Zurigo al filosofo della biologia Telmo Pievani all’ecoidrologo Andrea Rinaldo (recentemente intervistato da ‘laRegione’).

Al festival diffuso de L’Uomo e il Clima, come accennato, partecipano inoltre varie istituzioni: il Museo delle culture, dove si svolgerà dal prossimo novembre la mostra principale, intitolata anch’essa ‘L’Uomo e il Clima’, e poi il Museo cantonale di storia naturale, che da febbraio 2025 ospiterà un’altra esposizione, la Biblioteca cantonale di Lugano, la galleria Repetto e la Artphilein Library, oltre alla associazione Trame con cui si organizza il ciclo di proiezioni al LuxArtHouse di Massagno. Il programma del festival sarà presto disponibile sul sito uomoeclima.org.

I limiti dell’Uomo

Ma c’è anche un altro senso per cui L’Uomo e il Clima è un progetto ambizioso, per quanto forse il termine più adatto sarebbe un altro. Durante l’interminabile conferenza stampa di presentazione è stato più volte sottolineato l’approccio innovativo di questa iniziativa che, basandosi sulla narrazione multidisciplinare, permetterebbe di fare quello che non si è riusciti a fare in cinquant’anni di comunicazione sul clima. Il che – detto senza minimamente mettere in discussione il valore e la cura messi nelle varie iniziative che compongono il progetto – appare al contempo ingeneroso su quanto fatto finora da altri e irrealistico sugli obiettivi che si spera di raggiungere. Perché in realtà l’opinione pubblica è, tutto sommato, bene informata sul cambiamento climatico, sul fatto che le attività umane ne sono la principale causa, che alcuni effetti sono ormai irreversibili ma che si può ancora fare qualcosa e infatti praticamente tutte le indagini sulle preoccupazioni della popolazione vedono il riscaldamento globale tra le prime voci. Certo, è una consapevolezza distribuita in maniera diseguale e raggiungere le persone perplesse (o addirittura quelle scettiche) è la grande sfida della comunicazione sul clima, ma non si vede perché le varie attività di L’Uomo e il Clima – senza, di nuovo, metterne in dubbio la qualità – dovrebbero riuscire a raggiungere queste fasce della popolazione e non, come spesso capita alle iniziative di comunicazione sul clima, “predicare ai già convertiti”.

Il grosso problema rimane quello di trasformare questa consapevolezza in azioni, ma questo non sembra proprio essere uno degli obiettivi di L’Uomo e il Clima. Ora, criticare un progetto per qualcosa che non fa è spesso inopportuno e ad esempio non vale pena insistere sull’assenza, tra le varie discipline di questa narrazione composita, della letteratura: certo sarebbe stato interessante, visto anche il coinvolgimento della Biblioteca cantonale, riflettere se davvero il romanzo è inadatto a raccontare il cambiamento climatico, come sostiene l’autore indiano Amitav Ghosh nel bellissimo ‘La grande cecità’ (Neri Pozza, 2017). Ma, viste le ambizioni di L’Uomo e il Clima, stupisce un po’ che si insista sul “tempo profondo” ragionando sulle ere glaciali o sulle elevate temperature raggiunte nel Cretacico, trascurando il sistema produttivo che, dalla rivoluzione industriale in avanti, ha portato una parte dell’umanità a bruciare carbone e petrolio portandoci alla situazione attuale. Guardare ai milioni di anni di storia del clima terrestre indubbiamente aiuta a comprendere l’eccezionalità, e con essa la fragilità, di un periodo eccezionalmente favorevole per lo sviluppo delle società umane, ma se l’obiettivo è parlare di umanità e di clima, il discorso appare monco senza quel pezzo di storia.

Anzi, insistendo sulla scarsa conoscenza e consapevolezza da parte della popolazione il discorso sembra avvicinarsi alla strategia attuata dalle industrie petrolifere negli ultimi decenni: spostare l’attenzione da un sistema produttivo basato sulle energie fossili alle responsabilità individuali. Abbiamo fatto presente questi aspetti a Gianluca Bonetti – privatamente al termine della conferenza stampa, visto che dopo così tanti interventi non c’è stato tempo per le domande – e ci ha rassicurato: l’obiettivo di questa prima edizione è raccontare il fenomeno al grande pubblico, in futuro (Bonetti ha accennato al 2027) si discuterà anche di cosa fare e in quell’occasione «si parlerà anche di economia e di politica in maniera molto centrata, senza andare né a un estremo né all’altro». A quali estremi fa riferimento? «Agli attivisti e ai negazionisti» ha risposto Bonetti, certamente riferendosi solo ad alcune forme di attivismo e non a chiunque pensi che sia necessario fare qualcosa per evitare le conseguenze peggiori del riscaldamento globale. Ma di questo si parlerà, appunto, nel 2027.

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