laR+ Pensiero

Nessuno è felice se tutti non sono felici

A Lugano si è tenuto il primo Happiness Forum, due giorni per ragionare, sostenuti dalla scienza, su cosa significa essere felici

(depositphotos)
21 giugno 2024
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Non c’è un solo modo per raggiungere la felicità. E di conseguenza non può esserci neanche un singolo modo per studiarla: ne è convinto K. “Vish” Viswanath, direttore del Lee Kum Sheung Center for Health and Happiness della Harvard University e curatore della prima edizione del Lugano Happiness Forum che si è tenuta lunedì e martedì al Lac, organizzato da Fondazione Ibsa per la ricerca scientifica e Città di Lugano. «Fare ricerca sulla felicità significa lavorare con la comunità e per la comunità: non posso imporre una mia definizione, dire alle altre persone cosa deve essere importante per loro ma dobbiamo lavorare insieme per definire il problema e trovare soluzioni condivise» ci ha spiegato Viswanath durante una pausa dei lavori. I due giorni del forum hanno ricalcato questa idea, proponendo una varietà di approcci e punti di vista, dalle scienze sociali alla biologia, dando a relatori e relatrici la possibilità di applicare il concetto di ‘felicità’ alle proprie discipline, vedendo come questa idea possa portare a ridefinire comportamenti individuali o decisioni politiche.

Una società giusta e felice

Tra i temi ricorrenti, messi in evidenza dai relatori e relatrici, è emersa l’importanza dell’equità. La felicità, come sentito più volte durante i due giorni del forum, non riguarda solo il singolo individuo, ma anche l’intera società. Viswanath, nel nostro colloquio, ha insistito in particolare sulle minori opportunità legate alle condizioni economiche, e su come la politica possa ridurle: «Le persone dovrebbero avere l’opportunità di poter scegliere e fare ciò che le rendono felici, senza dover per esempio dipendere dalla presenza o meno di disponibilità economiche. Bisogna garantire a ognuno le stesse opportunità di fare ciò che rende felici». Quanto riferitoci fa parte dei concetti discussi durante l’intervento del professore di Harvard, i cui obiettivi sono incentrati sul raggiungimento del benessere collettivo. Insomma, come riporta anche l’abstract della ricerca di Viswanath: ‘Un movimento per il benessere collettivo dovrebbe sforzarsi di essere inclusivo ed equo nel garantire che tutti i cittadini beneficino di politiche e pratiche che promuovano la salute in tutte le dimensioni: fisica, psicologica e sociale’.

«Alcuni identificano la felicità nel benessere soggettivo, mentre altri in un’emozione positiva, o nel raggiungere un obiettivo della vita, e così via. E va benissimo così: ognuno ha la propria opinione» ci ha spiegato Viswanath. «Personalmente sono felice quando posso rendere felici gli altri aiutandoli. Dico questo in quanto nella vita sono stato molto fortunato, nonostante tutte le sfide affrontate. Insomma, le persone mi hanno aiutato e di questo sono sempre grato».

Tuttavia, ha aggiunto, «come studioso della felicità, credo che la felicità debba essere perseguita in più modi, data la quantità di esseri umani proveniente da culture e contesti diversi». Attualmente Vish Viswanath sta portando avanti uno studio il cui obiettivo è quello di raccogliere il maggior numero di dati e informazioni in una scuola elementare dell’India, suo Paese d’origine. «In questo momento stiamo lavorando insieme a circa duemila bambini a cui vengono sottoposte diverse domande. Ad esempio chiediamo cosa significa felicità, soprattutto per bambini che crescono nelle baraccopoli, oppure domandiamo loro quanto sono legati alla scuola, ai loro genitori, alla comunità o ai loro amici. Cerchiamo anche di focalizzarci su quello che sono anche le loro emozioni, se si sentono sostenuti in caso di difficoltà. Non si tratta solo di andare a scuola. Sentono il legame. Chiediamo anche quanto sono legati ai loro genitori, ai loro vicini, ai loro amici». Queste domande permettono allo studioso e al suo gruppo di comprendere cosa è, o può essere, la felicità in luoghi in cui vi è un elevato stato di indigenza soprattutto da punti di vista sia cognitivi che comportamentali.

Solitudine e isolamento sociale

A condividere il palco insieme a Viswanath, durante la prima sessione del forum, è stata Julianne Holt-Lunstad professoressa di psicologia e neuroscienze e direttrice del Social Connection & Health Lab della Brigham Young University negli Stati Uniti. Holt-Lunstad, che presiede anche la U.S. Foundation for Social Connection e la Global Initiative on Loneliness and Connection’, studia in particolare le connessioni sociali, la solitudine e gli effetti sulla salute individuale e della popolazione. Nel suo intervento, Holt-Lunstad, ha sottolineato l’importanza e i benefici delle connessioni sociali che rappresentano un bisogno umano fondamentale: numerosi studi, alcuni condotti dalla stessa Holt-Lunstad, mostrano quanto siano preoccupanti gli effetti della mancanza di socialità – situazione, lo rilevano sempre diverse ricerche, in aumento –, e quanto i legami siano essenziali per il funzionamento dell’individuo, della comunità e della società.

Holt-Lunstad invita a non confondere la solitudine dall’isolamento sociale: «La solitudine è infatti una sensazione emotiva totalmente soggettiva, mentre quando si parla di isolamento si fa riferimento alla mancanza di una rete sociale di contatti. Infatti, si può essere isolati, ma non sentirsi soli e viceversa. I due concetti sono in relazione e abbiamo prove molto solide dei loro effetti sulla salute emotiva, mentale, cognitiva, fisica e sul benessere generale».

È insomma una questione di sviluppo e crescita. «Non vogliamo solo sopravvivere, vogliamo prosperare». Ma come comprendere quando la solitudine e l’isolamento sono il normale bisogno di uno spazio privato, e quando invece sono segno di un disagio? «Sentirsi soli è normale perché ci segnala che abbiamo bisogno di fare dei cambiamenti. L’importante però è essere in grado di riadattarci e di riequilibrarci, senza rimanere bloccati». Spesso a portare a questi cambi di rotta che provocano isolamento e solitudine sono eventi, più o meno sconvolgenti, nella vita di chi li subisce. Infatti, oltre a essere indipendenti dall’età di chi li vive, potrebbero essere dovuti a «un trasferimento in un’altra città, e quindi un allontanamento dalla propria comunità, l’opportunità di un nuovo lavoro o di un pensionamento, l’arrivo di un bambino o persino un figlio che lascia casa, un cambiamento di salute e molto altro». Questo elenco di eventi accidentali tocca un punto molto importante: la felicità non dipende solo dall’individuo, ma anche dagli accadimenti esterni e, soprattutto, dalla società. Lo si è visto, ha sottolineato Holt-Lunstad, durante la pandemia, quando «c’era qualcosa di esterno a noi stessi, su cui non avevamo alcun controllo, che influenzava il nostro isolamento sociale o la nostra solitudine». Più in generale « ci sono naturalmente tanti altri esempi, come il vivere in un quartiere poco sicuro o il non sentirsi a proprio agio nella comunità, isolandosi poi in casa propria dove invece ci si sente protetti. Bisogna quindi pensare a tutti questi fattori che contribuiscono a questo fenomeno, sia a livello individuale che all’interno di una comunità interpersonale».

L’incognita dei social media

Si è accennato al crescente isolamento sociale, del quale sono spesso incolpati i social media. Proprio nei giorni del forum, il chirurgo generale degli Stati Uniti, figura di riferimento per le questioni di salute pubblica, ha proposto l’introduzione di un avviso sugli effetti negativi dei social media, simile a quello da anni presenti sui pacchetti di sigarette. «Le prove in merito all’utilità dei social sono molto eterogenee e complesse, non è quindi facile dare una risposta diretta» ci ha spiegato Holt-Lunstad. «Ciò che sembra essere provato è il fatto che ci siano sia benefici che danni. Sicuramente vogliamo continuare a beneficiare degli aspetti positivi, ma soprattutto trovare un modo per ridurre al minimo i danni. È dunque possibile notare che i social da un lato facilitano la condivisone di idee e informazioni, mentre dall’altro danno la possibilità di tenersi in contatto con amici o familiari sparsi per il mondo mantenendone il contatto». Alla possibilità di mantenere relazioni e connessioni sociali online si abbinano, come detto, aspetti opposti in quanto, conclude con noi il suo intervento Julianne Holt-Lunstad, «spesso siamo esposti a discorsi molto negativi, oltre che a subire i danni della disinformazione». Il confronto sociale, inoltre, può anche essere fonte di infelicità, cosa che avviene quando si dà per scontato che le altre persone, proprio in base a ciò che pubblicano, siano più felici e realizzate di noi: l’immagine senza lati oscuri che le persone mostrano online può accrescere la sensazione di vivere in una società iniqua.

Impressioni di felicità

Ad ascoltare Viswanath, Holt-Lunstad e gli altri relatori e relatrici in questi due giorni di forum erano presenti molte persone. «Sono stata davvero felice di partecipare, nonostante non avessi consultato il programma. Ho molto apprezzato l’approccio multidisciplinare, con diversi tipi di esperti, conoscenze diverse e definizioni di felicità diverse. Sicuramente questi due giorni mi hanno invogliata a partecipare più attivamente alle attività culturali e nella realtà della mia comunità, sentendo anche l’urgenza di farlo insieme alla mia bambina» racconta una donna. Apprezzato da molti il fatto che oltre all’idea di felicità si sia trattato anche quello di benessere e come questi due concetti siano collegati. Anche se alla fine gli aspetti concreti a molti sono suonati familiari: come sostenuto da un altro partecipante, «molto di quello di cui si è parlato, seppur in una nuova ottica, non è nuovo e parlare di esercizio fisico, di comunità, di meditazione e delle sue influenze sul benessere e sulla felicità non è una novità».

Concludendo con la definizione personale di felicità, un’altra giovane partecipante ha detto che per lei «la felicità è uno stato mentale e fisico che si ottiene lavorando su se stessi, ma anche avendo un’ottica all’ambiente esterno». «Ci sono – ha concludo – dunque diversi fattori che influenzano quello che per me è la felicità e la sua ricerca, che è sicuramente una cosa proattiva, come discusso ampiamente in questi due giorni. Un aspetto che ho apprezzato molto è il consiglio di implementare nella propria vita, in modo anche più positivo, il senso di gratitudine».

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