Con Anne-Linda Camerini proviamo a capire come approcciarsi alla fruizione dei social di bambini e ragazzi, compito non sempre facile
Parliamo di social media, smartphone e internet con Anne-Linda Camerini, docente e ricercatrice all’Istituto di salute pubblica della Facoltà di scienze biomediche dell’USI a Lugano che ha ideato il sito www.mediaticino.usi.ch, nato con l’obiettivo di fornire informazioni riguardo i progetti di ricerca e di comunicazione realizzati dal suo gruppo di ricerca. Lo scopo è quello di capire meglio il ruolo dei media digitali nei confronti del benessere e nello sviluppo dei bambini e degli adolescenti in Ticino, ma anche al di fuori di esso. Nel sito si possono trovare diversi documenti scaricabili che affrontano argomenti inerenti alle problematiche di quelle età. Un aiuto per chi vuole approfondire, genitori e insegnanti, ma anche per gli stessi giovani.
Il primo progetto di ricerca – da cui ha preso il nome – era Mediaticino, uno studio iniziato nel 2014 che seguiva più di 1’000 studenti in Ticino per ben otto anni durante il loro passaggio dalla scuola elementare alle scuole superiori, coprendo così tutto il periodo adolescenziale. Vi figura anche il progetto Fns Agorà “Siete connessi?” svoltosi dal 2021 al 2022 che ha preso come riferimento i risultati della ricerca Mediaticino, lavoro che sottolinea l’importanza di un uso consapevole dello smartphone, specie tra bambini e adolescenti.
Quest’ultimo progetto di comunicazione, finanziato dal Fondo nazionale per la Ricerca scientifica (Fns) e in collaborazione con L’Ideatorio di Cadro, Lugano Living Lab e Ibsa Foundation, è stato gestito da Anne-Linda Camerini assieme a Laura Marciano dell’Istituto di salute pubblica.
Il tema “giovani e social” è molto attuale e molto dibattuto coinvolgendo medici, psicologi, insegnanti, addirittura legislatori, oltre ai primi attori, ragazzi e genitori. Ma oggi, cosa si intende per “social”?
Attualmente è un qualcosa di molto diverso dalle prime piattaforme come Facebook, che alla nascita era soprattutto inteso per connettersi in uno spazio e chattare insieme, contemporaneamente o meno, per interagire e stare in compagnia “social” tra pari, amici o familiari, oppure condividere un’opinione o uno scambio di idee, e avere a un certo punto una risposta, una reazione. Da allora c’è stata un’evoluzione e oggi l’aspetto “social” per come era inteso una volta, manca. Piuttosto è un insieme di tutto quello che uno desidera sapere e che gli viene in mente, una piccola finestra sul mondo, quasi la mini tv personale di ogni partecipante, con disponibilità di contenuti tra persone che però spesso non si conoscono tra di loro. È una fonte che genera, che condivide argomenti, temi, tesi, video e immagini, ma non c’è più l’aspetto di ottenere direttamente una reazione, un’interazione, o di parlare di un tema comune, ma semplicemente di condividere con altre persone contenuti divertenti, interessanti, di tutti i tipi, magari per seguire una moda. Ogni piattaforma si è tramutata in una specie di vetrina soprattutto per essere visti, cosa che rispetto agli albori contribuisce a cambiare il primitivo concetto di “social media”.
Con un clic attraverso i social si possono soddisfare curiosità e desideri e avere accesso all’intero scibile umano e gli adolescenti ne sono catturati, come tutti del resto. Interessante quindi sapere come si rapportano i giovani con la loro vita digitale e se, o quando, l’uso di smartphone e social diventa un problema o magari una dipendenza, e in tal caso che fare.
I social sono anche un mezzo per informarsi e pure per educare ma necessitano di un’educazione consapevole. Questo a tutte le età ma il momento più critico è quello in fase adolescenziale dove senza un controllo e una supervisione da parte dei genitori o a persone di riferimento ci si può imbattere in immagini o temi non adatti. Si tratta quindi di capire e identificare quali sono i contenuti e i potenziali rischi sulle piattaforme e mettere in guardia perché non tutto può essere adatto o finanche legale. Un compito educativo importante che deve considerare anche gli aspetti positivi come l’opportunità ottenere informazioni, supporto sociale o essere creativi.
Un compito importante dei genitori, della famiglia, un pensiero critico su cosa fare, cosa guardare, in cui si auspica che anche la scuola sia coinvolta, cosa che in parte rientra nei piani cantonali di studio.
Fin che sono piccoli i figli si gestiscono bene limitando gli orari e usando l’autorità. Il discorso si fa difficile quando crescono e vogliono più autonomia. Quindi, come può intervenire la famiglia? I genitori, o chi si assume il compito, può farlo in diversi modi.
È necessario disciplinare, non vietare. Si può semplicemente proteggere, regolando l’accesso a certe piattaforme, oppure permettendolo solo se si è accanto in modo da controllare cosa viene fatto per intervenire eventualmente sul momento. Oppure si possono usare letteralmente dei filtri e dei blocchi-tempo, in modo da tenere un controllo e alla prima manchevolezza intervenire con regole supplementari ed eventuali castighi. Il non trascurabile problema consiste nel fatto che spesso i genitori non conoscono, o non sono in grado di gestire questi freni, mentre i ragazzi imparano velocemente come raggirarli. Dovrebbe esserci quindi un cambio di paradigma con la “fiducia” che entra in gioco, passando dall’approccio del divieto a quello dell’accompagnamento attivo. L’accento va posto sul dialogo, relativo non solo ai contenuti, ma anche ai rischi connessi all’uso di internet e social, per far sì che i giovani utilizzino i media digitali in modo sicuro e responsabile. Devono essere in grado di valutare criticamente sia le informazioni che il loro stesso comportamento.
Cosa consiglierebbe dunque ai genitori?
Di tenere d’occhio i figli e di entrare in quello che nella letteratura scientifica chiamano una “mediazione attiva”, con il genitore che si interessa di cosa fa il figlio e cerca un dialogo: “Cosa stai facendo? Cosa ti preoccupa? Sai che devi fare attenzione, che ci sono certi rischi e spiegarli?".
È necessario mantenere il dialogo, essere sempre interessati alle loro scoperte mediali, nonché chiedere attivamente cosa li interessa al momento, proponendo di guardare assieme una serie o di fare una partita al videogioco preferito e parlarne, farsi sentire vicini e interessati, con l’obiettivo di accordare piano piano, gradualmente maggiori libertà man mano che crescono.
È chiaro che il compito non è facile, i genitori dovrebbero documentarsi, leggere, libri ce ne sono tanti, così come entrare nelle piattaforme per avere un’idea di cosa offrono. Da considerare anche che i ragazzi non trascurino altre attività di beneficio per il loro sviluppo, che dormano a sufficienza e che il loro tempo sia distribuito equamente tra scuola, sport, tempo libero e… media. In ogni caso, attualmente il tema “giovani e media” è al centro dell’attenzione, e della preoccupazione, a più livelli, tanto che a livello internazionale si sta valutando di limitare e vietare, puntando il dito verso le piattaforme. Il problema consiste nel fatto che non ci sono le stesse sensibilità e il medesimo atteggiamento alla libertà individuale.
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