Intervista alla neuroscienziata Sarah-Jayne Blakemore, vincitrice del Social Research Prize, su comportamenti rischiosi e approvazione sociale
Nei manuali di neurobiologia sui quali aveva Sarah-Jayne Blakemore studiato negli anni Novanta, c’era scritto che il cervello smette di svilupparsi con la fine dell’infanzia. Oggi Blakemore è professoressa di psicologia e neuroscienze cognitive all’Università di Cambridge, dove guida il Developmental Cognitive Neuroscience Group, e sa che quanto è scritto in quei libri non è vero.
«Il cervello continua a svilupparsi anche dopo, durante l’adolescenza» ha spiegato, nelle scorse settimane, in una conferenza tenuta all’Università della Svizzera italiana, in occasione della consegna del Social Research Prize promosso dall’Associazione Ciao Table in collaborazione con il Servizio pari opportunità dell’Usi.
Dopo la laurea, Blakemore ha studiato malattie mentali come la schizofrenia che si sviluppano nei giovani adulti. «Perché sintomi come il sentire le voci nella testa o la paranoia estrema iniziano nella tarda adolescenza? Cosa c’è nel cervello adolescente? All’epoca non si sapeva praticamente nulla sullo sviluppo del cervello negli adolescenti e così ho deciso di riorientare la mia ricerca». Non è solo una questione scientifica: nelle conferenze che Blakemore tiene periodicamente si parla di mielinizzazione e di neuroplasticità, ma anche dei fattori che guidano il comportamento degli e delle adolescenti che non è necessariamente così irrazionale come può sembrare alle persone adulte.
Professoressa Blakemore, che cosa è l’adolescenza? Parliamo di uno stadio dello sviluppo come gli altri o avviene qualcosa di diverso, rispetto all’infanzia?
È sicuramente uno stadio dello sviluppo, del cervello e della mente, ma è molto diverso dall’infanzia. Ci sono comportamenti e processi cognitivi che caratterizzano gli e le adolescenti e che non ritroviamo né durante l’infanzia né nell’età adulta. Non parliamo quindi di una continuazione lineare dell’infanzia.
La ricerca neuroscientifica degli ultimi vent’anni ha dimostrato che in quel periodo il cervello subisce uno sviluppo importante e diverso da quello che avviene durante l’infanzia: durante l’adolescenza avviene una sorta di riorganizzazione dei circuiti cerebrali.
La pubertà segna in maniera relativamente chiara l’inizio dell’adolescenza. Più sfumata la questione della fine…
Sì, l’adolescenza veniva definita come il periodo che va dalla pubertà, con i cambiamenti fisici e ormonali che iniziano grosso modo tra i 9 e i 13 anni, e si conclude quando si raggiunge un ruolo stabile e indipendente all’interno della società. È una definizione che intuitivamente ha senso, ma presenta grandi differenze a livello individuale per quanto riguarda l’inizio, con una finestra anche di sette anni, e grandi differenze culturali su quando si è considerati adulti indipendenti.
Per questo da alcuni anni la maggior parte dei ricercatori nel mio campo definisce l’adolescenza semplicemente in base all’età: si è adolescenti tra i 10 e i 24 anni ed è un dato in linea con quanto sappiamo sullo sviluppo del cervello.
Quali sono le caratteristiche dell’adolescenza?
Ci sono molte caratteristiche, ma l’area su cui si concentra la ricerca riguarda l’assunzione di rischi: è certamente il comportamento che più preoccupa noi adulti e riguarda ad esempio il fumo, il binge drinking, le droghe o la guida pericolosa. Tra l’altro non parliamo solo di adolescenti umani: anche animali come topi e ratti quando sono adolescenti – un periodo che dura circa 35 giorni – tendono all’impulsività, ad agire senza pensare e anche a farsi influenzare da coetanei e coetanee per paura di essere esclusi. L’adolescenza non è quindi un’invenzione delle società occidentali, come alcuni pensano.
Ha accennato all’influenza di coetanei e coetanee. Quanto è importante?
È molto importante per comprendere l’atteggiamento verso il rischio durante l’adolescenza, perché la maggior parte di questi comportamenti rischiosi avvengono quando l’adolescente è in compagnia di amici e amiche, non quando è da solo o da sola.
Possiamo pensare a questo comportamento come guidato da una avversione al rischio sociale: per evitare di essere socialmente esclusi, si segue il gruppo e si è quindi più propensi a mettere in pericolo la propria salute o a finire nei guai con la legge.
Questo ruolo delle persone coetanee è assente prima dell’adolescenza?
Non è completamente assente ma è molto più basso: bambine e bambini sono più influenzati da quello che i genitori dicono e fanno piuttosto che dai coetanei. Poi gradualmente si è sempre più interessati ad amici e amiche.
E da adulti?
Siamo tutti influenzati dalle altre persone: ci sono settant’anni di ricerca in psicologia sociale che mostrano come il nostro comportamento, le nostre abitudini e le nostre azioni siano influenzate dalle altre persone. Ma questa influenza è particolarmente forte durante l’adolescenza, più che in età adulta.
Nasce da qui la difficoltà, da parte delle persone adulte, nel comprendere il comportamento di chi è adolescente?
Per una persona adulta può sembrare irrazionale, quando un o una giovane inizia a fare solo quello che il suo gruppo di amici e amiche fanno o dicono di fare, soprattutto se parliamo di comportamenti pericolosi. Ma quello che accade, in realtà, è una parte davvero importante dell’essere adolescenti: il punto centrale dell’adolescenza è attraversare questo lungo periodo di sviluppo per arrivare all’autonomia. E per farlo, devi avvicinarti a chi ha la tua stessa età e conquistare l’indipendenza dalla famiglia.
È un comportamento razionale, che ripeto ritroviamo anche negli animali non umani, ma che può essere difficile da accettare per una persona adulta.
Queste ricerche sul cervello adolescente pensa possano essere di aiuto a genitori ed educatori?
Penso di sì: sapere come cambia il cervello, e come questi cambiamenti si traducono nel comportamento, può aiutare a superare la frustrazione di fronte ad atteggiamenti apparentemente incomprensibili.
E le autorità? Se penso ad alcune campagne sociali, in cui fondamentalmente vediamo un adulto dire ‘la droga fa male’, non sembra esserci molta consapevolezza delle caratteristiche del cervello adolescente.
Capisco cosa intende. Gli studi suggeriscono che il modo migliore per influenzare positivamente il comportamento degli e delle adolescenti è il coinvolgimento diretto, facendo gestire da loro le campagne. Che si tratti di iniziative contro le droghe, il bullismo o il fumo, se fatte direttamente dagli e dalle adolescenti saranno più efficaci perché, come detto, l’adolescente è suscettibile all’influenza dei coetanei.
Non c’è bisogno di un adulto che dica loro che le droghe fanno male, perché lo sanno: sono consapevoli dei rischi ma decidono che, per avere l’approvazione dei coetanei, vale la pena rischiare. Per questo il modo migliore per cambiare il comportamento durante l’adolescenza è intervenire sull’ambiente sociale, sulle dinamiche del gruppo.
Concluderei con un tema molto sentito: l’utilizzo dello smartphone fa male al cervello degli adolescenti?
Beh, non lo sappiamo esattamente. Il cervello dell’adolescente è molto plastico, il che significa che è modellato dall’ambiente in cui l’adolescente sta crescendo e quando parlo di “ambiente” mi riferisco a tutto: quello che si mangia, la casa dove si vive, il quartiere, quanto esercizio fisico si fa… Tutte queste esperienze durante la crescita avranno un’influenza sul modo in cui si sviluppa il cervello. E i social media e gli smartphone fanno indubbiamente parte di questo ambiente: è quindi molto probabile che abbiano un impatto non trascurabile sul cervello in via di sviluppo. La vera domanda è se questo impatto sia positivo o negativo, solo che la risposta è molto complessa con aspetti positivi e aspetti negativi oltre a differenze di età – ricordo che l’adolescenza è un periodo relativamente lungo – e di genere.
Se pensiamo al periodo della pandemia, sono stati l’unico modo in cui ragazzi e ragazze potevano continuare a comunicare tra di loro: senza smartphone e social media i lockdown sarebbero probabilmente stati, per la salute mentale degli adolescenti, ancora più dannosi di quello che sono effettivamente stati. Ma abbiamo anche ricerche che mostrano una correlazione tra utilizzo dello smartphone e una cattiva salute mentale.
Il tema è complesso e dobbiamo tenere conto che ci sono molti fattori di stress, nella vita degli e delle adolescenti, forse molti di più di quanti ce ne fossero trent’anni fa, penso ad esempio alle pressioni in ambito scolastico o alle incertezze sul futuro legate ad esempio alla crisi climatica: i social media amplificano queste preoccupazioni e le aggravano perché non c’è via di fuga, gli algoritmi ti propongono di continuo queste cose.
Questo comunque non riguarda solo gli adolescenti.
No. Anche per una persona adulta può essere difficile staccarsi da un social media che ti propone di continuo contenuti attraenti, perché basati su quello che hai già visto e con cui hai interagito in passato. Ma per l’adolescente il cui cervello è in via di sviluppo, in particolare in regioni come la corteccia prefrontale che controlla il comportamento e impedisce di fare cose inappropriate, è ancora più difficile autoregolarsi.