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I tempi dell’anima con il filosofo Luca Vanzago

Giovedì conferenza online organizzata dall’associazione Athena con l’autore di ‘Breve storia dell’anima’

23 febbraio 2021
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Dalle tradizioni prefilosofiche greche ed ebraiche alle filosofie del Novecento alle neuroscienze: è un viaggio lungo e complesso, quello che Luca Vanzago, docente all’Università di Pavia, compie nel suo ‘Breve storia dell’anima’ (Il Mulino 2009), saggio dedicato a un’idea che è ancora attuale, come spiegherà domani, giovedì 25 febbraio, alle 20.30 in una conferenza virtuale organizzata dall’associazione culturale Athena. Info: www.athenacultura.com. Per assistere alla conferenza: us02web.zoom.us/j/81695953092.

Luca Vanzago, parliamo di un’idea che ha avuto moltissime accezioni: perché un approccio storico per studiare una simile varietà di forme?

Perché credo che sia fondamentale avere la cognizione della profondità storica delle questioni. Si poteva partire da un esame della situazione presente, ma occupandomene più approfonditamente – il mio campo di indagine è soprattutto la filosofia contemporanea – mi sono reso conto che spesso troviamo questioni che in realtà sono state già ampiamente discusse in passato. Solo che sono riformulate, magari in maniera apparentemente molto lontana, trasfigurate in modo tale che oggi non si riconoscono più. Non voglio dire che ciò avvenga per ignoranza, anche se a volte lo è.

Bisogna tenere presente la continuità profonda delle questioni. Faccio un esempio solo: il rapporto tra anima e corpo, o tra mente e corpo come diventa da Cartesio in poi. Bisogna comprendere la continuità e naturalmente anche le differenze, chiederci come e perché sono cambiate le idee sull’anima. Nel caso di Cartesio, ad esempio, si è passati da anima a mente perché nel frattempo c’è stata la rivoluzione scientifica che ha cambiato tutto.

Se con la scienza cambia tutto, perché parlare di anima, termine che oggi rimanda alla dimensione religiosa?

Il tema dell’anima è tornato più o meno consapevolmente alla ribalta – dico più o meno consapevolmente perché magari non ci si accorge che è quello il problema – quando si è giunti a una società che potremmo definire post-secolare, nella quale non è più dato per scontato che la religione non abbia un ruolo nella nostra società. Le religioni, e più in generale i temi spirituali, sono stati “sdoganati”: si è usciti da quel dogma che riduceva la religione a mitologia. Le religioni rivelate possono essere ritenute miti, ma ciò non toglie che – anche oggi, forse soprattutto oggi – le persone hanno delle esigenze che le religioni cercavano in qualche modo di canalizzare.

Possiamo fare a meno di certe forme religiose, però non possiamo fare a meno di rispondere a certe domande. E quando si considera l’anima non nei termini generici ai quali siamo abituati, ma la consideriamo, come già facevano alcun Greci, come un colloquio di sé con sé, come qualcosa che ha a che fare con sé stessi, una riflessività che è insieme identità e differenza, si capisce perché oggi siamo di nuovo bisognosi di questo genere di riflessione.

Le neuroscienze ci dicono che è tutto cervello, ma il sistema nervoso non parla a sé stesso, l’anima sì. Questo spiega perché tanta parte delle neuroscienze attuali si interroga sulla coscienza. Il che riapre la questione dell’anima, se naturalmente ascoltiamo quello che la parola anima ha davvero da dire e non la prendiamo troppo alla lettera. Anima è una parola composita e tornare all’esperienza filosofica e non solo filosofica antica e medievale ci fa vedere quante diverse accezioni di anima sono state immaginate e in qualche modo sono ancora adesso presenti, anche se come detto spesso implicitamente.

C’è ancora spazio per un discorso filosofico sull’anima o, parlando di mente e coscienza, il tema è diventato di competenza della scienza?

Non credo che la filosofia non possa più parlare perché c’è la scienza, anzi: mai come oggi la scienza ponga problemi filosofici, soprattutto per quanto riguarda le neuroscienze e le scienze della vita che mettono in questione la scienza in senso classico, galileiano-seicentesco di spiegazione meccanicistica del mondo. La vita, intesa in senso ampio, pone un problema a questo modello perché non è solo meccanismo: le scienze stesse si pongono problemi che sono filosofici e allora la filosofia – intesa non come disciplina ma come abito di pensiero – viene chiamata in causa. Inevitabilmente ci sono scienziati che diventano filosofi: faccio un esempio su tutti, Antonio Damasio è un famoso neurobiologo che si è reso conto che se si usano determinati schemi mentali, peraltro comuni nella sua disciplina, non si capisce niente. La sua non è la posizione prevalente, anzi è considerato un po’ un outsider, ma è la dimostrazione che alcuni scienziati si rendono conto che occorre rivedere le basi sulle quali si opera. E questa revisione delle basi è ciò che io intendo con filosofia.

Ci sono elementi comuni in questa lunga storia dell’anima, un filo rosso che accompagna la riflessione in questi tre millenni?

Fondamentalmente due. Il primo è l’idea che l’anima abbia a che fare con la vita, una vita che magari sopravvive alla morte del corpo. È un grandissimo tema che si sviluppa nell’Antichità: la riflessione sull’anima comincia infatti col chiedersi se qualcosa sopravvive al corpo. Prima quello che chiamiamo anima era sinonimo di respiro, restando quindi nella dimensione della vita corporea.

L’altro grande tema che come un filo rosso percorre tutta la storia è quello dell’anima come riflessione su di sé, come colloquio con sé. Riflessività che è intravista da Socrate e Platone e che prende vie molto diverse e interessanti con il messaggio cristiano. Un passaggio fondamentale, ma spesso trascurato, è quando Agostino riprenda e trasformi temi della filosofia greca perché si deve uniformare a un messaggio rivelato che i greci non avrebbero mai accettato. Agostino deve uniformare i Vangeli alle categorie greche e lo fa in maniera geniale perché inserisce la dimensione del tempo, assente nei Greci. Da lì sempre più anima – o quello che oggi chiamiamo con altri termini ma che fondamentalmente è l’anima – e tempo sono connessi: tutta la riflessione novecentesca si basa su questa idea di temporalità.

Perché la temporalità è così importante?

Quando si comincia a mettere in connessione anima e temporalità cadono tante cose. La parola coscienza, a differenza di molte parole del vocabolario filosofico, non è greca, i Greci non hanno un concetto analogo, anche se ci sono delle anticipazioni. Coscienza, conscientia, è un sapere connesso al sapere stesso, una meta-cognizione. Fondamentale è la riflessione agostiniana che si articola ulteriormente fino ad arrivare a quello che David Chalmers definisce lo “hard problem” delle neuroscienze, la coscienza. La coscienza non si spiega, non si riesce a capire come la materia più o meno vivente produca coscienza.

Questo perché continuiamo a parlare di una cosa che forse non è una cosa e non può essere analizzata con le categorie della scienza classica. È questo il senso di tutta la mia riflessione: bisogna tornare a chiedersi di che cosa parliamo quando parliamo di coscienza.