Piazza/Concorso

Il cinema, il pubblico e la legge

L’ammirevole rigore formale di ‘El auge del humano 3’, di Eduardo Williams, e tutto il resto che ‘Lousy Carter’ di Bob Byington non ha

Gli amici di ‘El auge del humano 3’, che vagano tra Taiwan, Sri Lanka, Perù
10 agosto 2023
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Quanto è importante il pubblico per un film? Sembra una domanda banale. Certo, è importante il pubblico per un film, ma più a fondo: quanto pubblico serve per un film? Ed ecco che il tema si fa più interessante, e in parte riflette quello della musica e della letteratura, e … infatti, ci sono cantanti che riempiono stadi e altri che non vogliono andar oltre un pub, e tutti sappiamo che la poesia è meno letta della narrativa.

Succede anche con il cinema e in concorso, qui a Locarno, si è concretizzata questa dualità. Da una parte c’era ‘El auge del humano 3’ del regista e artista argentino Eduardo Williams, e dall’altra ‘Lousy Carter’ dello statunitense Bob Byington. È subito da dire che entrambi hanno già partecipato in altri anni al Festival, con successo: Eduardo Williams, con ‘El auge del humano’, nel 2016 ha vinto il Pardo d’oro nella sezione Cineasti del Presente al 69esimo Festival, mentre Bob Byington è stato vincitore del Premio Speciale della Giuria a Locarno 65, nel 2012. Quello che bisogna spiegare è che mentre Williams parla di questioni tecniche, usa una macchina con la tecnologia 360° e nella ripresa a 360° lo studio delle luci e della posizione del cameraman sono aspetti molto importanti, perché tutto ciò che circonda la macchina da presa è coinvolto nell’inquadratura. Poi, l’argentino non si serve completamente di attori professionisti, non scrive una sceneggiatura perfetta, ma lascia spazio a sé stesso per inventare e cambiare.

Williams ha un’idea di Cinema, non di vendere cinema, cosa che invece è alla base del modo di far film di Bob Byington, sceneggiatura ferrea al 95% con pochissimo spazio di manovra per gli attori. Quindici giorni per girare tutto, mentre l’altro se ne va in giro per il mondo a cercare immagini, a cercare di stupirsi. Certo uno, l’americano, uscirà in sala, non avrà gli incassi di Indiana Jones, ma è quella la strada; l’argentino uscirà arricchito dall’esperienza e il suo film comincerà il giro di piccoli circuiti, di quella nicchia di pubblico che non ha paura del cinema.

Umani senza confine

‘El auge del humano 3’ si snoda attraverso Taiwan, Sri Lanka, Perù, seguendo diversi gruppi di amici che vagano in un mondo di volta in volta oscuro, piovoso e ventoso e, al contrario, luminoso, sereno e solare. Il loro dire dell’amore e della vita, il loro sentirsi panicamente immersi in questo nostrano universo che è la Terra su cui viviamo, il come non riconoscerci umani senza confine e tre paesi, con le loro voci non sono che un coro che abbaglia. Il rigore formale di Williams è da ammirare, lo stesso; la sua è una proposta frustrante fin dall’inizio, inutile cercare una trama, un senso, ci si deve solo immergersi non pretendendo ma accettando, come un novello Lucio Fontana sulle immagini fa tagli che feriscono. Ed è solo viaggiando insieme che si raggiunge il cielo, in quel panorama indimenticabile che regala una zona inabitata tra le montagne del Perù.


Bob Byington (sx) e David Krumholtz

Maschi bianchi

‘Lousy Carter’ di Bob Byington è invece ambientato a Austin e la maggior parte delle riprese si è svolta al Baker Center. Byington ha dichiarato a The Austin Chronicle: “Gli uffici erano vuoti a causa della pandemia, quindi abbiamo gestito il posto e lo abbiamo utilizzato per quasi tutte le nostre riprese”. La trama è presto detta. Etichettato come un fannullone dalla sua ex, un fallimento da sua madre e un guscio di sé stesso dal suo migliore amico, Lousy Carter (David Krumholtz), fatica a trovare qualcuno dalla sua parte. A complicare tutto gli dicono che ha sei mesi di vita. Pieno di debiti e gettato alla deriva in un campus universitario senz’anima, Carter sta spiegando ‘Il grande Gatsby’ in un antipatico corso di laurea quando una delle studentesse (Luxy Banner) gli offre un’ultima possibilità di vivere il sogno. Naturalmente la banalità dell’assunto non ha miglior sviluppo, il film è imbarazzante fino all’ultima scena quando una pistola in chiave western chiude una vicenda che non aveva niente da dire. Certo siamo negli Usa, addirittura nel Texas e le armi sanno chiudere ogni discussione, e non è civile. Il direttore artistico di Locarno Giona A. Nazzaro aveva dichiarato a Variety: “’Lousy Carter’ è uno dei primi film che abbiamo selezionato. È una commedia che la dice lunga sui modi in cui i maschi bianchi devono ripensare chi sono, soprattutto in relazione a ciò che sta accadendo nel mondo, e alle idee di genere e corpi e così via”.

Ieri in Piazza Grande

Nora la testarda

In Piazza si è visto ‘Première affaire’ di Victoria Musiedlak, un film interrante, nonostante qualche intoppo narrativo. La regista francese confeziona un thriller a doppia mandata, con protagonista una giovane avvocata penalista, Nora (una brava, ma forse troppo trattenuta Noée Abita). Ha 26 anni e vive ancora in casa con i genitori; sono algerini da trent’anni in Francia, hanno una cultura, una tradizione, lei a 26 anni è ancora vergine. Arriva il primo caso, la sorprende in discoteca: un ragazzo ha ucciso una adolescente perché ha litigato con sua sorella. Per lei è il passaggio dalla teoria universitaria alla pratica. Fatica a comprendere il lavoro che deve fare, crede di trovare un appoggio in un ispettore di polizia che segue il caso, lui la aiuta a risolvere il primo problema (non sarà più vergine) e poi torna felice da moglie e figli. Ma lei è testarda, entra in quel mondo crudele e lo colpisce con crudeltà portando fuori dal carcere l’assassino per un cavillo. Sua madre la detesta, ma ha capito che quello sarà il suo lavoro. La regista conosce la delicatezza del tema, ma difendere i colpevoli fa parte del gioco democratico, talvolta con dolore.