Il presidente del festival è soddisfatto dalla prima edizione di Giona Nazzaro. Ma i conti in rosso necessitano di un intervento
Le giurie hanno da poco consegnato i Pardi, quando incontriamo il presidente del Locarno film festival Marco Solari. Ma non è dei premi che vogliamo parlare, anche perché il «principio non negoziabile» della libertà, su cui Solari insiste molto, non riguarda solo il direttore artistico. «Libera giuria in libero festival e per questo a consegnare i premi non va più il direttore artistico che il palmarès lo subisce, non lo determina».
Nel rispetto di questa libertà, posso chiedere un giudizio ‘da presidente’ di questa prima edizione di Giona Nazzaro?
Rispondo partendo da una premessa. Ci sono due modi di scegliere un direttore artistico: il primo è quello di aprire un concorso. Il secondo è concentrarsi su una persona, incontrarla, parlare con lei, vedere come reagisce e se quella persona mi convince, e se accetta, allora è fatta, altrimenti si passa a un’altra persona. Ma mi deve convincere razionalmente, con la testa, e anche emotivamente, con il cuore, perché devo sentire che c’è sintonia, tra presidente e direttore. Così è stato con Irene Bignardi, con Frédéric Maire, con Olivier Père, con Carlo Chatrian e così è stato con Giona Nazzaro. E ha funzionato benissimo.
Con Lili Hinstin però si è fatto il concorso.
Dopo il grande salto di Carlo a Berlino, in molti hanno detto che, essendo il posto qui a Locarno molto ambito, sarebbe stato meglio fare un concorso. E così si è fatto: siamo partiti con una trentina di candidati, poi venti, poi dieci, poi sei, tante opinioni… Lili e Giona erano a parità e alla fine abbiamo, io compreso, deciso di puntare su una direttrice donna.
Poi c’è stato questo doloroso divorzio. Ma sono convinto che meno se ne parli meglio è, perché puoi sbagliare un matrimonio ma non puoi sbagliare il divorzio e se insisti certe ferite non si rimarginano più. A quel punto per me il compito è stato facile: mi sono concentrato su Giona e il consiglio d’amministrazione mi ha seguito.
Meno se ne parla meglio è, ma ha più volte riconosciuto i meriti artistici di Lili.
Sì. Questa è la fortuna di Locarno: ogni direttore, inclusi Giona e Lili, ha contribuito alla sua maniera al festival, a modo suo ha arricchito il festival, ha portato qualcosa di nuovo. Poi ognuno ha le sue preferenze e le sensibilità.
Mi pare di capire che il giudizio del presidente su Giona Nazzaro sia positivo.
Giona ha avuto intuizioni magnifiche e ha certamente la stoffa per lasciare un’impronta profonda al festival. Ma, per essere chiaro: il giudizio non spetta al presidente, spetta a voi giornalisti, agli specialisti, al pubblico. Io sento, ascolto, mi faccio un’opinione ma già dire quello che ho detto, che ha la stoffa giusta, è quasi troppo: io l’ho scelto, lo difenderò fino all’ultimo ma le decisioni artistiche sono sue, se fa degli errori li deve spiegare, se prende dei rischi li deve giustificare, se prende degli applausi sono tutti per lui, non per il presidente o per il consiglio.
Tornando a questa edizione, come è andata? Vero che già l’aver fatto il festival è un successo…
È forse l’unico merito che mi posso prendere: aver insistito sul ritorno in Piazza, in un momento in cui un esercito di gufi diceva che era impossibile e che avremmo solo perso soldi. Ho detto che a ogni costo avrei messo su lo schermo, anche se da Berna mi avessero autorizzato solo cinquecento persone a dieci metri di distanza e con la mascherina.
Perché un festival ibrido, online e in qualche sala, non è Locarno, è un evento su web come ce ne sono diecimila altri. Lo spirito di Locarno è un altro, è il dialogo, l’incontro, il vedersi in faccia, le vibrazioni tra il pubblico e le persone sul palco, la piazza sotto il cielo stellato.
I dati parlano però di un calo del 50% del pubblico.
Lo sapevamo: le cifre sono quelle. Ma non le definirei deludenti: è la metà del pubblico, ma quella metà è qui, la Piazza Grande vive. Io credo che con questa decisione abbiamo reso felice tanta gente: l’ho visto camminando per la città, magari è anche solo psicologico ma abbiamo abbattuto un muro, aperto la strada per superare le sofferenze, le malinconie, l’infelicità.
Il bilancio sarà comunque in rosso e dovrete attingere alle riserve. Con l’anniversario dei 75 anni in arrivo.
Questo è un punto molto importante. La politica cantonale ci ha dato fiducia accordandoci più risorse, ma per investire nel futuro, per guardare al 2030. Poi è arrivata la pandemia e il deficit che abbiamo adesso è dovuto unicamente alle restrizioni.
A Berna sono stati molto chiari: per questi casi c’è un fondo che copre l’80% del deficit, con il 20% a carico nostro. Ma la Confederazione interviene se interviene anche il Cantone. Siamo quindi nelle mani del Consiglio di Stato e forse pure del Gran Consiglio: potranno decidere di intervenire, oppure di lasciar perdere ma allora i soldi rimarranno a Berna. In quest’ultimo caso, noi dovremmo affrontare senza riserve finanziarie da una parte il compito, come da mandato del Gran Consiglio, di pensare al futuro del festival, dall’altra affrontare un 75º che – sobriamente, e lo voglio ripetere: sobriamente – andrebbe comunque sottolineato.
La forza del festival è anche la forza del presidente. Per questo molti chiedono una transizione che garantisca la necessaria continuità.
Con un sorriso, schivo l’oliva. Sono consapevole di quelle che sono le mie responsabilità, ma adesso tutte le mie forze sono concentrate sul 75º. Pensando a dopo il 75º, aggiungo una frase: “Poi si vedrà”.