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Vent’anni della migliore Italia

‘Capolavori dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, mostra ‘intelligentemente occasionale’ ai Musei Reali di Torino fino al 2 marzo

Piero Dorazio, Composizione astratta, 1956 - Olio su tela, 113x162 cm
(Dorazio, Siae 2024)
2 gennaio 2025
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Si tratta certamente di un’esposizione particolare, qualcuno l’ha definita del tutto inedita, noi la diremmo “intelligentemente occasionale”: il che spiega pure alcune delle perplessità che porta con sé, anche per le modalità e il tono in cui si autopresenta. ‘1950-1970. La grande arte italiana. Capolavori dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea’, fino al 2 marzo ai Musei Reali di Torino, è in ogni caso una bella mostra, interessante e intrigante a un tempo (in quest’ottica il fatto che sollevi domande e perplessità è anche buona cosa), con opere davvero notevoli (il che va riconosciuto) presentate in un allestimento fatto per sorprendere e appagare il visitatore: sale buie con spot che illuminano e fanno risaltare le singole opere tutte di carattere museale provenienti dalla Gnam (vecchio logo per Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea) di Roma.

I primi a esserne consapevoli sono i curatori stessi che, fin dalle prime pagine in catalogo, giocano a carte scoperte: “L’idea di organizzare questa rassegna nelle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino – scrivono – è nata poco prima dell’estate dopo che fu finalizzata l’organizzazione della mostra ‘Il tempo del Futurismo’.

Fu chiaro, allora, che sarebbe stato necessario spostare circa trecento capolavori nei magazzini.” A dispetto dei tempi molto corti l’occasione era indubbiamente ghiotta, avviava inoltre “una virtuosa collaborazione istituzionale” tra Roma e Torino, città dell’Arte Povera, lasciando Milano sullo sfondo, e consentendo “l’organizzazione di una prestigiosa mostra natalizia.” La quale – scrive Renata Cristina Mazzantini direttrice della Galleria Romana e co-curatrice della rassegna torinese con Luca Barbero – “vuole mettere in luce la qualità, non sempre sufficientemente percepita, delle ineguagliabili collezioni della Gnam e porre al tempo stesso l’attenzione sul ruolo da protagonista che la Galleria rivestì nella costituzione del patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione, da Burri e Fontana fino a Pascali.”


Pino Pascali, Primo piano labbra, 1964

Assonanze ed echi

Distribuita in dodici sale, la rassegna sviluppa un avvincente percorso che propone confronti e dialoghi incrociati tra le opere esposte, un intrecciarsi di assonanze e di echi, di sperimentazioni linguistiche che danno idea della ricchezza e della varietà di stimoli e di aperture che hanno caratterizzato una stagione dell’arte, quella del dopoguerra, forse la più intensa e dibattuta della moderna storia artistica italiana. Pur nelle loro varie quando non opposte modalità espressive, quelle opere “testimoniano la vivace temperie culturale italiana maturatasi tra gli anni Cinquanta e Settanta, divisa tra le ancora laceranti ferite della guerra e l’entusiasmo necessario alla ricostruzione” che la Bucarelli – ‘leggendaria’ direttrice della Galleria dal 1941 al 1975 cui qui si rende omaggio – seppe cogliere e acquisire, non senza contrasti e opposizioni anche politiche, qualificandosi come insostituibile punto di riferimento nel dibattito artistico di quegli anni. Un dibattito storico-artistico e un contesto sociopolitico cui rinviano, per rapidi cenni, le schede che, sala dopo sala, accompagnano il visitatore e al quale sarebbe stato opportuno dare più spazio in catalogo.

A lasciare perplessi sono però l’iperbolico e altisonante titolo della rassegna e il tono con cui la si presenta in catalogo o nel comunicato stampa. Definire quella che si vede in mostra “la grande arte italiana degli anni 1950-1970”, in quanto “esalta i 21 artisti più rappresentativi che hanno animato quella stagione senza precedenti”, suona quasi come un far piazza pulita di non poche altre forme d’arte e artisti, anche di peso, che hanno operato in quegli anni portando avanti con coerenza la loro ricerca o una loro diversa idea di arte. In effetti, per importanti che esse siano, ‘storia e geografia dell’arte italiana’ sono assai più complesse e variate di quanto non appaiano in mostra. Che viene così inquadrata dalla direttrice della Galleria Romana: “La mostra è stata fortemente voluta e concepita secondo un disegno ben preciso, coerente con una visione curatoriale che mira a riportare la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea al centro del palcoscenico dell’arte italiana. (…). L’idea della mostra torinese vuol essere infatti una celebrazione della grande arte italiana del dopoguerra, dedicata ai ‘nuovi maestri’ della pittura e della scultura di quegli anni. Un’idea maturata con l’intenzione di dimostrare, confezionare e ‘brandizzare’ progetti espositivi volti a diffondere la conoscenza del proprio patrimonio. Tornando, in questo modo, a essere protagonista della scena artistica come produttore di contenuti culturali e cuore pulsante della promozione della creatività del nostro Paese, per riappropriarsi di un ruolo storico noto, negli anni forse affievolito.

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, eredità tramandata dai ‘patres’, è infatti nata con la missione di promuovere l’identità culturale e artistica del nuovo Stato unitario, attraverso l’acquisizione di opere dei migliori artisti viventi, che rappresentassero lo spirito del tempo.” Un tono orgogliosamente storico-nazionalistico in linea con la mostra sul Futurismo in essere in questi giorni.


Fondazione Manzoni
Piero Manzoni, Achrome - Lana di vetro, 1961