Il mago degli effetti visivi, vincitore del Vision Award, ha portato al Festival di Locarno il suo allucinante film ‘Mad God’
Quando si riceve un premio alla carriera, solitamente si portano con sé alcune opere rappresentative del proprio lavoro. Non così Phil Tippett, il genio degli effetti visivi che per il Vision Award ha presentato al Locarno film festival certo due celebri film della sua trentennale carriera – ‘Robocop’ e ‘Starship Troopers’, entrambi realizzati al fianco del regista Paul Verhoeven – ma anche ‘Mad God’, un lavoro al quale ha dedicato almeno diversi della sua vita e che è diventato tema di discussione nelle conversazioni tra giornalisti presenti al festival.
Non lascia indifferenti, ‘Mad God’: Phil Tippett ha realizzato, con cura estrema, un universo distopico e postapocalittico, un mondo sotterraneo popolato da creature fantastiche nel quale si avventura il misterioso personaggio dell’Assassino. Maestria tecnica che non è semplice virtuosismo, anche se certo il lavoro non è di semplice lettura, ricco come è di riferimenti filosofici e letterari.
‘Mad God’ è realizzato soprattutto in stop motion, la tecnica dell’animazione a passo uno di cui Tippett è maestro pur avendo lavorato anche con la grafica computerizzata. Gli abbiamo chiesto se si tratta di una scelta nostalgica. «No» ha risposto deciso. «Semplicemente mi piace lavorare in stop motion, mi piace l’effetto che si ottiene. Diciamo che è il mio modo di lavorare: ricordo che per ‘Dragonslayer’ (film del 1981 di di Matthew Robbins dal titolo italiano di ‘Il drago del lago di fuoco‘, ndr) dovevo realizzare alcune scene molto complesse, con creature molto grandi, molto più di quelle che vediamo in ‘Mad God’, e ho sempre bisogno di poter visualizzare le cose. Il punto di partenza è capire come devono essere le cose, che cosa c’è nella sceneggiatura, che cosa vuole il regista: da lì si parte per poi improvvisare».
Però dopo ‘Jurassic Park’ ha lavorato con le immagini generate dal computer: si dice che Steven Spielberg era insoddisfatto dal risultato dell’animazione in stop motion, è vero? «Sì: quelli della Ilm (Industrial Light & Magic, azienda fondata da George Lucas, ndr) gli proposero di realizzare i dinosauri con la grafica computerizzata e Steven disse che era quello che cercava. La mia prima reazione fu molto emotiva… era la fine dell’animazione in stop motion, cosa mi sarei messo a fare? Per me era come se mi avessero aperta una porta su un precipizio dicendomi di saltare senza paracadute». Poi? «Sono rimasto nel progetto perché alla fine le mie conoscenze e le mie competenze erano utili: nessuno lì conosceva i dinosauri come li conoscevo io. Steven ha avuto bisogno di qualcuno che supervisionasse gli effetti ed è stato progetto complesso: un nuovo team con cui lavorare, nuovi dinosauri da studiare, un nuovo modo di lavorare tra preproduzione, produzione e postproduzione. Ho imparato tante cose nuove, anche se non volevo lavorare con i computer».
Prima di Jurassic Park e dei computer, c’è stata la triologia originale di Guerre Stellari. Dell’Oscar vinto per il terzo capitolo, ‘Il ritorno dello Jedi’, si è già detto; Phil Tippett ha anche creato i Tauntaun, animali del pianeta di ghiaccio Hoth, per ‘L’impero colpisce ancora’ ma sue creazioni più note per la saga sono i personaggi degli scacchi olografici e soprattutto la taverna di Mos Eisley, con tutte quelle creature aliene. «George (Lucas, ndr) non era soddisfatto di quello che era stato girato in Inghilterra e quindi ha deciso di rifare tutta la scena. Mi ha chiesto di fare del mio meglio con quello che avevamo a disposizione e abbiamo realizzato nuove maschere, nuovi pupazzi. Non potevamo permetterci soluzioni troppo elaborate e George ha chiamato alcuni collaboratori a indossare quelle maschere. Per me le cose più semplici sono meglio è».
Poi la collaborazione con Paul Verhoeven. Si racconta che sia difficile lavorare con lui. «Paul è una persona amabile, ma forse perché la pensiamo alla stessa maniera, condividiamo lo stesso modo di lavorare. Per ‘Starship Troopers’ mi chiamava “il terzo regista” del film…». A proposito di ‘Starship Troopers’: non le ha dato fastidio avere i suoi effetti visivi incredibilmente realistici, a fianco di interpretazioni quasi dilettanteschi? «Quella è stata una scelta precisa di Paul, una decisione artistica: voleva sottolineare l’artificialità del film, il suo essere a suo modo simulato, finto e quindi ha scritturato attori giovani e sul set impazziva per avere la giusta recitazione».
Concludiamo l’incontro con la grafica computerizzata: è stato difficile adattarsi? «Ha rivoluzionato il settore, ha cambiato tutto e ci vuole tempo per allenare il cervello, per prendere confidenza con la tecnologia». In Piazza Grande ha accennato criticamente ai film della Marvel. Non le piacciono quegli effetti visivi? «Semplicemente non sono un tipo da film di supereroi: sono molto popolari, hanno successo, non c’è bisogno che io faccia commenti». E del remake di ‘Robocop’ del 2014? «Terribile, una cosa orrenda: hanno fatto tutto con il computer ma il risultato è una farsa».