laR+ Culture

Via dalla guerra e non solo: chi sono gli ex jugoslavi in Ticino

Lo studio ‘Un ponte tra i Balcani e il Ticino’ promosso dalla Fondazione Spitzer e condotto da Pietro Montorfani analizza la diaspora balcanica

Oggi in Ticino poco meno di un decimo dei residenti è di origine balcanica
(‘Un ponte tra i Balcani e il Ticino’)
3 maggio 2023
|

Quasi un decimo della popolazione residente in Ticino è di origine jugoslava. In numeri si tratta di circa trentamila persone, sommando gli stranieri residenti e gli svizzeri con passato migratorio, stando ai dati ufficiali raccolti nel 2021. «Ormai siamo quasi alla terza generazione», indica Pietro Montorfani, storico e curatore di uno studio, il primo, sul fenomeno della diaspora balcanica in Ticino.

‘Un ponte tra i Balcani e il Ticino’ è un progetto pluriennale promosso dalla Fondazione Federica Spitzer (in collaborazione con le città di Locarno, Bellinzona e Lugano e con il Servizio per l’integrazione degli stranieri del Dipartimento delle istituzioni), di cui la sessantina di pagine che vengono presentate oggi a Locarno sono l’anteprima di una più ampia ricerca, che dovrebbe sfociare in un volume storico e scientifico. Nella prima parte del suo lavoro – ‘Un ponte tra i Balcani e il Ticino. Storie di fuga dalla guerra, emigrazione e accoglienza’, aprile 2023 – Montorfani, dando voce alla diaspora balcanica nella Svizzera italiana negli anni Novanta, ha come scopo quello di «permettere ai lettori svizzeri di oggi di capire chi erano e chi sono quelle persone, che hanno iniziato ad affollare in massa i loro confini, chiedendo di essere accolti e aiutati». Dei fatti di quei tempi, dello sfaldarsi di una nazione, molti hanno ricordo; «però quegli eventi non erano finora stati analizzati». La fuga di coloro che, ancora negli anni del conflitto (1989-99) anche la stampa ticinese continuava a chiamare genericamente jugoslavi – mentre chi scappava dalla guerra si sentiva ormai quasi soltanto croato, serbo, macedone, kosovaro, montenegrino – ha avuto ripercussioni in tutta Europa «e la questione balcanica è tutt’altro che conclusa».

Per capire com’è e come si articola la presenza ex jugoslava in Ticino, Montorfani spiega di aver «ragionato per comunità. Analizzando quali associazioni sono state create; da quali Paesi provenivano le persone, dove oggi sono radicate e se in Ticino hanno avuto problemi di integrazione». Tra gli stranieri residenti, tolto il caso eccezionale degli italiani, la presenza maggiore è quella portoghese (7,3% del totale), seguita dagli immigrati di origine balcanica (6,8%) suddivisi in serbi (2%), kosovari (1,7%), croati (1,6%) e bosniaci (1,5%). Ma non c’è solo la fuga dalle guerre degli anni Novanta alla base della «significativa» presenza balcanica. I primi lavoratori jugoslavi – si legge nello studio – sono giunti in Ticino nel secondo dopoguerra, specialmente dagli anni Sessanta. “Personale qualificato attivo soprattutto nel settore sanitario (medici, infermieri, fisioterapisti). Non secondaria nemmeno la lunga consuetudine dei lavoratori stagionali, che tra gli anni Sessanta e il 2002, quando lo statuto è stato soppresso, ha visto avvicendarsi per nove mesi all’anno moltissimi jugoslavi attivi in particolare nell’edilizia e nell’albergheria (...). Non è un caso che, grazie a datori di lavoro come la Monteforno di Bodio, l’ospedale di Faido, il cantiere autostradale del San Gottardo, la presenza jugoslava sia cresciuta e si sia consolidata inizialmente in Leventina”. Leventina dove è nato il primo club jugoslavo in Ticino e dove è poi stata creata una squadra di calcio (FK Drina), dal nome del fiume che separa ma pure unisce Serbia e Bosnia, omaggio alla tradizione multietnica dei Balcani.

La maggior parte dei rifugiati di origine balcanica rimasti in Ticino – si evidenzia nella ricerca – hanno potuto “ricostruirsi con il tempo una vita di pace e serenità”; grazie “al loro impegno non meno che alla disponibilità del Paese ospite”. Alle ondate migratorie esito del susseguirsi delle guerre (tra Croazia e Serbia negli anni 1991-95, in Bosnia 1992-95 e in Kosovo 1998-99), le istituzioni e la società ticinesi “hanno risposto, in genere, in modo adeguato”. Per quanto la durata delle crisi abbia messo alla prova l’entusiasmo della popolazione, “l’abbraccio fraterno” anche dei ticinesi, “nel continuo risorgere di incomprensioni e razzismi, rimane un punto fermo nella nostra storia recente”.

Per la scelta delle voci da raccogliere, Pietro Montorfani ci spiega aver «voluto far parlare esperienze differenti tra loro». Troviamo così i racconti di chi, ad esempio, è fuggito al termine degli anni Ottanta, chi è scappato a guerra conclusa, chi ha un vissuto drammatico alle spalle e chi invece no, o ancora chi si è inserito nella realtà locale al punto da essere un noto politico o chi ha fatto memoria della propria esperienza migratoria.

‘Riconciliazione, la grande sfida’

È stato il conflitto vicino a noi più importante, dopo la Seconda guerra mondiale. E tanto basterebbe a spiegare la scelta del tema da parte della Fondazione Spitzer. Ma i motivi – ci dice Fulvio Pezzati, membro del Consiglio di fondazione – sono molteplici. «I rapporti del Ticino con i Balcani sono stati e sono rilevanti e la fase attuale, quella dell’integrazione e della riconciliazione, rappresenta una grande sfida».

Nell’ottica di fare memoria delle violente contese nella ex Jugoslavia, che hanno causato la fuga e l’emigrazione di molte famiglie verso la Svizzera, la Fondazione Spitzer si fa promotrice di una serie di iniziative, coinvolgendo anche le città di Locarno, Bellinzona e Lugano. Nel solco degli scopi che la Fondazione persegue da tempo, anche il progetto ‘Un ponte tra i Balcani e il Ticino’ «ha quale obiettivo la prevenzione dei conflitti e la riconciliazione delle popolazioni balcaniche, tra di loro ma anche tra loro e noi». Un’idea che prende spunto e «dà continuità al progetto ‘Lugano città aperta’, sfociato nella realizzazione del Giardino dei Giusti di Lugano».

Presentazione oggi a Locarno

La ricerca ‘Un ponte tra i Balcani e il Ticino. Storie di fuga dalla guerra, emigrazione e accoglienza’ è presentata a Locarno oggi alle 18 (sala Consiglio comunale). Interverranno Alain Scherrer, sindaco; Moreno Bernasconi, presidente Fondazione Spitzer; Pietro Montorfani, autore dello studio. Alle 20.30 al Palacinema tavola rotonda con Jovan Marianovic, direttore Festival del film di Sarajevo; Niccolò Castelli, direttore artistico Giornate del cinema di Soletta; Nicola Pini, presidente Ticino Film Commission; Fulvio Pezzati, membro Consiglio della Fondazione Spitzer. Segue la proiezione di ‘La terra interiore’ (The Land Within, 2022) di Fisnik Maxville, produzione svizzera e kosovara sui temi della memoria e del superamento dei conflitti.