Recuperare e preservare il passato: ‘Promemoria’, mostra allestita alla Fondazione Matasci e dedicata a cinque esponenti della ‘generazione di mezzo’
La bella rassegna allestita negli spazi della Fondazione Matasci vuol ricordare cinque artisti appartenenti alla cosiddetta ‘generazione di mezzo’, nati cioè tra il 1917 e il 1928 per cui negli anni 50 approdano alla maturità in un contesto cantonale di grande movimentazione sia socio-economica che artistica. Si tratta dei sottocenerini Felice Filippini (1917-1988), Giuseppe Bolzani (1921-2002), Sergio Emery (1928-2003) cui si accompagnano il gambarognese Edgardo Ratti (1925-2018) e il brissaghese Claudio Baccalà (1923-2007). Salvo quest’ultimo, gli altri hanno tutti una formazione, più o meno diretta, di matrice sostanzialmente lombarda: muovono quindi da un comune retroterra culturale e artistico da cui poi si diramano le loro strade alla ricerca della loro propria identità.
Lo attestano in mostra una quarantina di opere, di proprietà della Fondazione, in gran parte mai esposte, mentre il titolo ‘Promemoria’ palesa a chiare lettere l’intento sotteso e cioè di “recuperare il passato, salvaguardare quanto rischia di cadere nell’oblio per conservarne la memoria e impedire la dispersione del patrimonio” artistico cantonale. Che è poi la funzione per cui è nata la Fondazione con la sua vasta biblioteca e con il suo ‘Deposito’ cioè l’archivio delle opere. Grazie infatti al lavoro di conservazione e archiviazione dei materiali raccolti, alla pubblicazione di documenti o cataloghi, essa è un punto di riferimento e luogo della memoria che viene riattivata, come in questo caso, attraverso brevi rassegne a più voci in dialogo fra loro che ricostruiscono una scheggia del nostro passato. In questo senso essa svolge un ruolo fondamentale e necessario non solo per la conoscenza dell’operato degli stessi artisti, ma anche come punto di intermediazione tra la storia artistica del cantone e i diversi attori del mondo dell’arte: dagli storici dell’arte ai collezionisti, dai curatori di mostre al pubblico interessato.
Veduta d’insieme della sala dedicata a Edgardo Ratti
La rassegna apre con l’ultima sorprendente produzione pittorica di Edgardo Ratti, datata 2008 e rimasta poi relegata dopo la sua morte. Mentre nelle sue pitture precedenti a prevalere era il brusio legato alla varietà dei soggetti, al formicolio dei segni, alle vibrazioni atmosferiche o al grigiore dei paesaggi invernali, in questa sua ultima fase pittorica la figurazione paesaggistica o figurativa scompare del tutto per lasciare spazio a una pittura astratta molto controllata, fatta di grandi silenzi e di pochi elementi geometrici carichi di simbologia: paesaggi della mente senza più traccia di gestualità corporea, rarefatti e in dialogo per via delle loro reciproche rispondenze interne.
Ben diversa è la pittura tonale, vibrata e atmosferica, di Giuseppe Bolzani, che risale però a decenni prima quando muovendo in solitaria, in un dialogo sempre più intenso con la natura, individua il suo ‘motivo’. La ceppaia è infatti per Bolzani quel che sono bottiglie e vasi per Morandi: un soggetto per costruirci attorno una composizione d’arte, per attivare un processo di ricerca che metta in relazione tutti gli elementi formali del dipinto. Ma non si tratta di mera ricerca formale perché quel ceppo, che appare aggredito dai muschi, deteriorato dal tempo, è comunque quanto rimane di una vita: l’evidenza della precarietà con cui l’artista si confronta e nella quale si specchia.
Qualcosa di affine, ma ancora una volta molto diverso, si trova pure in non poche opere di Sergio Emery degli anni 70 che pongono la questione della funzione dell’arte per rapporto alla natura (sempre più fragile!) o al fatto stesso di vivere, e con quali mezzi esprimerlo: problematiche che indurranno l’artista a servirsi anche di oggetti extrapittorici come morsetti, cerotti, candele, terra e innesti nei cicli delle Serre, delle Erbe o degli Ex-voto. Tornerà poi al grande canto di una pittura dinamica e gestuale, caratterizzata dall’incisività ritmica del segno improntata ai colori bassi del suolo: per dare visione di una bellezza tormentata, di una terra martoriata dentro cui si specchia anche il sentimento del vivere.
Figura poliedrica, eclettica e controversa di scrittore e artista, Filippini fu personaggio di indubbio rilievo culturale: responsabile dei programmi della radio, saggista e traduttore, autore di opere teatrali e drammi radiofonici oltre che pittore prolifico. Partito giovanissimo con una pittura poetica e antinovecentista, dove già si avvertivano chiari i segni di certo espressionismo nordico, si è poi spostato verso temi e forme che aprivano su una modernità europea caratterizzata da un’insolita virulenza espressiva: dove alla persistente idea della morte cercano di fare da contrappeso le passioni, gli amori, la musica, le nozze… temi ricorrenti del pittore visibili anche in mostra.
Claudio Baccalà è invece un pittore autodidatta vissuto sulle pendici del Ghiridone che, poco più che ventenne, si mette a dipingere d’istinto su temi e con soluzioni formali tutte sue. Seguirà poi un lungo cammino di crescita sia artistica che individuale: come dimostra la sua serie Gli uomini veri “quelli che fondono – scrive – il loro spirito colla luce; il loro corpo con l’universo. Essi sono l’uomo Cristo dei cristiani, l’uomo Buddha dei buddisti, l’uomo libero degli yogi e l’uomo vero dei Taoisti”. Una pittura che va oltre l’aspetto estetico per caricarsi di significati etici ed esistenziali.
Edgardo Ratti, Senza titolo, acrilico su tela, cm 100 x 100