Con Nicoletta Mongini facciamo il punto della mostra che il Museo Novecento di Firenze ha dedicato alla ‘collina dell’utopia’
Il Monte Verità di Ascona è oggi uno dei centri culturali del cantone, forte di un passato di "collina dell’utopia" e di un presente di arte e incontri internazionali (come i Congressi Stefano Franscini del Politecnico di Zurigo). Ma se geograficamente il Monte Verità guarda verso Sud, il legame – e i nomi dei fondatori e primi frequentatori del luogo lo confermano – è piuttosto con la Mitteleuropa: eppure troviamo, a Firenze, una mostra dedicata al Monte Verità. ‘Back to nature’ ha aperto lo scorso novembre al Museo Novecento e si chiuderà nelle prossime settimane e, tracciando un primo bilancio di questa iniziativa, Nicoletta Mongini – cocuratrice dell’esposizione e responsabile cultura della Fondazione Monte Verità – parla di un’esperienza «particolarmente interessante: il Museo Novecento di Firenze ci ha garantito una grande visibilità anche grazie alle altre esposizioni in corso e da novembre a febbraio ci sono stati oltre 25mila visitatori». Monte Verità ha così raggiungo un pubblico nuovo: «Monte Verità non è un riferimento per il pubblico italiano: chi lo conosce è per via di Harald Szeemann e quindi parliamo di persone che frequentano il mondo dell’arte». Gli altri «o non conoscono questa storia oppure, come ho constatato in alcuni casi, non hanno la consapevolezza che Monte Verità sia ancora adesso attivo e che ospitasse un complesso museale». L’interesse si è manifestato «sia nelle numerose richieste di informazioni, da materiale informativo agli orari d’apertura, sia negli approfondimenti che la stampa ci ha dedicato».
Questa mostra, ha spiegato Mongini, doveva essere parte di un progetto più ampio che avrebbe dovuto coinvolgere anche altre istituzioni ticinesi, «Poi con il blocco legato alla pandemia tutto è stato rimandato a data da definirsi e Sergio Risaliti, il direttore del Museo Novecento – che conosce Monte Verità perché aveva collaborato con Harald Szeemann ed è anche molto vicino al mondo della danza e quindi anche alla figura di Laban, – ci ha proposto di realizzare una mostra dedicata a Monte Verità».
Come avete deciso di strutturare l’esposizione?
C’è una parte più dedicata all’architettura, all’abitare il Monte Verità, a una riflessione sui primi anni: la comunità vegetariana, analizzando quanto i fondatori di Monte Verità spesso ricordati semplicemente come "balabiott" ma che in realtà erano dei visionari, degli anticipatori che 120 anni fa parlavano di alimentazione vegetariana, con tutte le riflessioni etiche che ne derivavano, parlavano di femminismo, di parità tra i generi, di rispetto dell’ambiente… Tutti temi ancora all’ordine del giorno, spesso problemi non risolti.
Abbiamo poi dedicato una parte ai ritratti al alcuni personaggi che hanno abitato la storia di Monte Verità. Con una lunga timeline che parte dall’anarchia in Ticino – una delle motivazioni per cui i fondatori di Monte Verità si fermarono in questo luogo e decisero di realizzare il loro progetto – fino ai giorni nostri con l’inaugurazione del padiglione Elisarion.
Poi un focus sulla danza e su Laban con anche alcuni filmati d’epoca grazie agli Archivi Rsi.
Un’immagine se non completa, quantomeno varia di Monte Verità.
Di Monte Verità e di quello che in quegli anni è successo in Ticino: complici le ragioni storiche – la neutralità elvetica di fronte a una situazione europea turbolenta – la Svizzera è stata meta di molti intellettuali, di anarchici, di artisti che hanno deciso di cercare rifugio in questo Paese. Il Ticino, il Mediterraneo della Svizzera, è stato teatro di diversi laboratori di pensiero, espressione di utopie e di progetti che forse non sono così noti.
Il titolo, ‘Back to nature’, riassume tutto questo?
Era il primo obiettivo dei fondatori di Monte Verità: erano seguaci della Lebensreform e decisero di mettere in pratica questo loro progetto che, nell’ottica della "riforma della vita", cercava una terza via alternativa al capitalismo e al comunismo. Una risposta a quello che stava succedendo in Europa: l’industrializzazione, l’alienamento, l’inquinamento sia spirituale sia ambientale, la presenza sempre più rilevante di elementi artificiali che modificavano i veri valori dell’individuo. Per loro era necessario tornare alla verità originaria, all’essenza dell’uomo, cosa che avrebbero potuto fare tornando a un rapporto quotidiano, diretto e necessario con la natura. Vivere dei prodotti della natura, riscaldandosi con il sole, vivendo senza abiti per godere dei benefici della natura…
Sono previste altre iniziative in Italia?
In sede l’anno scorso abbiamo organizzato una residenza di quattro artisti – due svizzero-tedeschi e due italiani – che hanno proposto una lettura di Monte Verità lavorando insieme. Per quanto riguarda attività "fuori porta", ci sono dei progetti che sono però ancora da confermare e quindi non posso ancora parlarne. Quello che sicuramente ci sarà, tra qualche mese, è una conferenza a Venezia nell’ambito di un lavoro che Enrica Borghi ha svolto all’Arsenale. In quella sede sarà presente Monte Verità soprattutto per quanto riguarda i temi della natura e dell’ambiente, alla base del lavoro di Borghi.