Il nuovo spazio ospiterà la collezione del museo e alcune esposizioni. Intervista al direttore Tobia Bezzola
Lo ‘Spartaco’ di Vincenzo Vela che guarda minaccioso le ‘Impronte di pennello’ realizzate da Niele Toroni nel 1987, per la prima inaugurazione di Palazzo Reali. Poco lontano un’opera del giovane ticinese Marco Scorti e una Deposizione lignea risalente al Trecento. Ai piani superiori troviamo poi Umberto Boccioni, Filippo Franzoni, Hans Richter, Giovanni Serodine, Jean Arp… è un allestimento tradizionale, ma ricco di sorprese, quello curato da Cristina Sonderegger per la “seconda casa” del Museo d’arte della Svizzera italiana che, dopo tre anni di ristrutturazione (curata dall’architetto Piero Conconi), rientra in possesso di quella che per anni è stata la sede del Museo cantonale d’arte. Poi, come si sa, il Lac, la decisione di Cantone e Città di Lugano di unire le forse (e le collezioni)… ma questa è storia del passato: per capire il futuro di Palazzo Reali, abbiamo incontrato il direttore del Museo d’arte della Svizzera italiana Tobia Bezzola.
Direi che sono due gli aspetti. Il primo, molto positivo per il museo, è avere una presenza permanente in centro, in una zona pedonale, dove c’è vita, dove la gente passa. Per questo abbiamo voluto creare, al pianterreno, una situazione molto permeabile, aprendo il cortile e permettendo il passaggio da via Canova a Piazza Manzoni.
L’idea è stata tenere il pianterreno libero, leggero, per ospitare eventi, presentazioni di libri, video: questo ci aiuterà molto a lavorare più vicino con il tessuto culturale di Lugano. Lo ritengo un aspetto molto importante perché al Lac abbiamo queste tre sale che sono molto belle ma sono anche un po’ isolate: non c’è la continuità di Palazzo Reali.
Presentare la nostra identità – perché l’identità di un museo è la sua collezione. Palazzo Reali ci dà la possibilità di presentare a un pubblico locale, nazionale e internazionale le ricchezze che si sono accumulate in questo territorio nel quale il museo – che è sempre un luogo fisico, non uno spazio virtuale – ha le sue radici.
Ma aumenta la nostra flessibilità: potremo meglio seguire le necessità delle opere. Palazzo Reali sarà l’ideale per progetti che al Lac sarebbe difficile allestire, penso ad esempio ai formati più piccoli che si perdono in quei grandi spazi.
No, quello che sarà fisso a Palazzo Reali sarà la collezione. Per il resto penso che dobbiamo evitare di avere un “ghetto ticinese”. Ma se guarda la programmazione dell’anno prossimo, vediamo una grande mostra di un artista ticinese, Paolo Mazzuchelli, sarà al Lac, mentre una mostra internazionale, di Skunk e Kender e che arriva dal Centre Pompidou, sarà a Palazzo Reali, perché si tratta di un’esposizione di fotografie che si adatta perfettamente a questi spazi.
Il criterio sarà sempre il contenuto artistico ed estetico, le esigenze date dalle opere.
Sì, evidentemente non si tratta di una collezione gestita da un museo nel corso di secoli, ma abbiamo opere di varia provenienza, soprattutto donazioni. Contesti che riflettono la storia artistica del territorio.
E abbiamo opere di indubbio valore: penso al grande quadro di Hans Richter, che occupa un posto nella storia dell’arte del Ventesimo secolo. Poi c’è tutta la tradizione locale, iniziando dalla pittura rinascimentale… il che, se pensiamo al contesto svizzero, rappresenta la particolarità, la singolarità del Ticino.
Le opere cambieranno: non siamo il Louvre o comunque un museo che storicamente e scientificamente ha costruito la propria collezione; non abbiamo un percorso storico che si presenta sempre uguale. Noi abbiamo dei nuclei, dei “punti forti” e come fatto adesso continueremo a valorizzare.
Si vedrà.
Questa è assolutamente una possibilità: potremmo fare sei mesi sulla fine del Ventesimo secolo, perché no?
Al momento l’unica decisione, dettata da motivi logistici, è che le mostre temporanee le faremo al secondo piano, mentre il primo piano sarà sempre per la collezione. Perché chiaramente rimane il problema che aveva già il
Museo cantonale d’arte: prima di fare una mostra bisogna portare fuori le opere della collezione.
Anche per questo è importante il lavoro che abbiamo fatto con Cristina [Sonderegger, ndr] e i colleghi, perché ci dà delle linee guida: abbiamo individuato questi nuclei – quelli che vediamo in mostra e altri ancora – e lavoriamo su questi: il dadaismo, l’astrazionismo, la pittura barocca, la pittura rinascimentale, punti forti sui quali lavoreremo in base alle nostre possibilità.
Sì, vari quartieri di Lugano, anche un po’ fuori, a Chiasso… richiede certamente uno sforzo. Ma è così anche per altri musei e archivi.
Probabilmente: ci sono tanti progetti, tante persone competenti ci stanno riflettendo. La necessità c’è: è forse un argomento meno interessante per il pubblico, ma per noi è fondamentale. E, come dice lei, magari un domani sarà possibile fare uno sforzo collettivo che ci permetterà di risolvere questi problemi.