Quindici pagine, redatte dall'avvocato Filippo Gianoni, con cui si contesta l'uso del referendum finanziario obbligatorio sulle misure di compensazione
Adesso è ufficiale: ErreDiPi, la rete a difesa delle pensioni dei dipendenti pubblici, ha inoltrato ricorso al Tribunale federale sul referendum finanziario obbligatorio (Rfo) deciso dal parlamento sulle misure di compensazione votate dallo stesso a seguito della diminuzione del tasso di conversione. La missiva è partita ieri sera direzione Losanna.
Il motivo di questo ricorso è spiegato dal portavoce di ErreDiPi Enrico Quaresmini alla stampa: «Siamo ben contenti che il Gran Consiglio le abbia accettate, ma immediatamente dopo ha scelto di sottoporle al Rfo. E ci sono due pareri discordanti: il giurista del Consiglio di Stato dice che non c'è la base per procedere con il Rfo, il giurista del Gran Consiglio dice invece di sì. Noi chiediamo ci sia chiarezza, e lo facciamo tramite questo ricorso che chiede l'effetto sospensivo: non si può votare finché non si dirime la questione se si tratti di una spesa nuova o di una spesa vincolata».
Il ricorso, una quindicina di pagine, è inoltrato da undici membri di ErreDiPi, tra cui i granconsiglieri dell’Mps Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi. Che si sono affidati all’avvocato bellinzonese Filippo Gianoni, docente universitario e uno dei massimi esperti in Ticino nel campo del diritto amministrativo: in passato è stato pure deputato al parlamento cantonale per il Ppd (ora Centro). Una lunga e vasta esperienza come giurista e come politico.
Alla Prima Corte di diritto pubblico del Tf Gianoni chiede l’annullamento della decisione del Gran Consiglio di assoggettare la modifica della Legge sull’Ipct, ovvero l’introduzione delle misure di compensazione, al referendum finanziario obbligatorio. Ai giudici di Mon Repos chiede anche – come spiegato da Quaresmini – di concedere al ricorso l’effetto sospensivo, affinché sino alla sentenza di merito del Tf non possa svolgersi il referendum obbligatorio con conseguente chiamata alle urne della popolazione.
Secondo i ricorrenti, la decisione del parlamento violerebbe “i principi stabiliti dalla giurisprudenza del Tribunale federale in materia di spese vincolate e nuove”. Spese vincolate e spese nuove, una distinzione importante. “Tenuto conto che le misure comportano una spesa rimane da stabilire se essa sia vincolata – e in quanto tale sfuggirebbe al referendum finanziario obbligatorio – o nuova – soggetta invece al Rfo”, si ricorda nel ricorso redatto dall’avvocato Gianoni.
Secondo la giurisprudenza, prosegue il legale, “le spese si considerano vincolate se sono prescritte da una legge in linea di principio e nella loro portata o se sono assolutamente necessarie per l'adempimento dei compiti amministrativi previsti dalla legge. Una spesa è inoltre vincolata quando si deve presumere che gli aventi diritto di voto abbiano approvato, con un atto legislativo di base precedente, anche le spese che ne derivano, se era prevedibile un fabbisogno corrispondente o se sono indifferenti le risorse materiali scelte per l'adempimento dei compiti assunti dall’Ente pubblico con il decreto legislativo di base. Tuttavia, anche se il ‘se’ è in gran parte determinato dal decreto di base, il ‘come’ può essere sufficientemente importante da giustificare la partecipazione del popolo tramite referendum. Ogni qualvolta l'autorità competente disponga di un margine di manovra relativamente ampio per quanto riguarda l'entità della spesa, il momento della sua esecuzione o altre modalità, si deve accettare una nuova spesa. In ultima analisi, è determinante stabilire – evidenzia Gianoni – se una spesa sia predeterminata da un decreto di base al punto da non lasciare più un margine di manovra significativo sul piano oggettivo, locale e temporale. In tal caso, si tratta di una spesa vincolata”. Conclusione: “Nel caso di specie, siamo manifestamente in presenza di una spesa vincolata e, in quanto tale, sottratta al Rfo”.
Per i ricorrenti “è manifesto che il prelievo dei contributi è già previsto nella legge di base – segnatamente all’art. 11 della Legge sull’Ipct – e che si tratta unicamente di aumentare i contributi di vecchiaia per neutralizzare principalmente gli effetti della riduzione dell’aliquota di conversione, ossia il tasso percentuale che trasforma il capitale accumulato in una rendita vitalizia”. Le misure di risanamento “sono vincolate alla legge base anteriore, approvata esplicitamente o implicitamente la quale fa altresì riferimento a norme tecniche che devono essere aggiornate. Inoltre, esse concernono spese che sono assolutamente indispensabili all’esecuzione di un compito che la legge conferisce”.
E ancora: “Con l’approvazione implicita della LIpct, sono state altresì approvate le conseguenze finanziarie, che erano perfettamente prevedibili, ritenuto che da anni – e comunque prima del 2012 – sono noti gli effetti dell’invecchiamento della popolazione con la riduzione degli assicurati e l’aumento dei beneficiari di prestazioni e la necessità di intervenire con misure di risanamento sulle casse pensioni e in particolare sulla riduzione del tasso di conversione per garantire un livello adeguato delle rendite: per i cittadini è indifferente con che mezzi è adempiuto l’obbligo assunto con la legge base. Dal punto di vista del Cantone, per le modalità di attuazione, non esiste alcun margine di apprezzamento, se non quello di intervenire sui contributi di vecchiaia e queste non rivestono un’importanza tale da determinare l’obbligo di sottoporre la spesa a referendum finanziario obbligatorio”. Non solo: “Nel confronto tra le varie casse pubbliche, l’Ipct è quella con i contributi ordinari (datore di lavoro e dipendenti) più bassi”.
E quindi “l’aumento dei contributi è dettato unicamente dalla necessità di una messa in linea con le altre casse. Pertanto, a torto e in violazione dei diritti politici dei ricorrenti, la modifica è stata oggetto della clausola di referendabilità obbligatoria”.