Il direttore del Dfe commenta i dati del Consuntivo (-58,2 milioni) e guarda al futuro: ‘Serve unione d’intenti sulle priorità che si vogliono realizzare’
«Sono cifre negative, ma direi che considerando il contesto in cui si sono realizzate possiamo essere soddisfatti nel vedere che la crisi pandemica ha inciso meno negativamente di quanto pensato all’inizio». Commenta così il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta, a colloquio con la ‘Regione’ i 58,2 milioni di deficit con cui il Cantone chiude il Consuntivo 2021, in rientro quindi rispetto ai -230,7 milioni messi a Preventivo.
Piccolo sospiro di sollievo, ma in una situazione che resta negativa.
È chiaro che rimane un disavanzo che va riassorbito, il governo ha ribadito che entro il 2025 bisognerà affrontare questo rientro graduale verso il pareggio anche perché lo Stato ha bisogno, e lo ha dimostrato la crisi pandemica, di avere le necessarie riserve da mettere in campo nel caso di necessità.
Cosa la preoccupa maggiormente in prospettiva?
In questo momento c’è la necessità di trovare un’unione d’intenti. Oggi la sfida principale è trovare una convergenza sulle priorità che si vogliono realizzare rinunciando ad altri aspetti che non sono ritenuti prioritari. Bisogna riuscire a fare queste scelte: l’obiettivo che abbiamo dinanzi è importante, ma raggiungibile e superabile.
Come si spiega il fatto che moltissimi Cantoni hanno ‘girato’ in cifre nerissime e il Ticino, sebbene abbia migliorato rispetto al Preventivo, arranca ancora?
Appena prima dello scoppio della pandemia eravamo in un periodo dove lo Stato aveva ritrovato l’equilibrio finanziario ed era ripresa la volontà di portare avanti nuovi oneri, che spaziavano dalla sicurezza all’educazione, alla socialità, al trasporto pubblico, all’ambito fiscale. Si era spinto sull’acceleratore, poi è arrivata la pandemia e ora questi oneri supplementari dobbiamo riuscire a gestirli riportando in equilibrio i conti dello Stato. Poi il Ticino, soprattutto nella prima ondata, è stato colpito in maniera molto più importante rispetto ad altri Cantoni, e questo ha pesato sia sulle spese, sia sugli introiti. Tanti elementi che insieme portano a questa situazione, ma in confronto alle previsioni cupe di inizio pandemia sappiamo che abbiamo davanti un percorso che con la giusta volontà di trovare una convergenza si può percorrere.
Vero, le entrate straordinarie hanno aiutato. Ma da cosa deriva un miglioramento così marcato rispetto alle previsioni da lei stesso definite cupe?
Ci sono più aspetti da rilevare. Da un lato il nostro tessuto economico diversificato ha saputo reagire bene, dall’altro l’efficacia degli aiuti pubblici messi in campo che rispetto ad altri Paesi sono stati rapidi e hanno aiutato a mantenere un buon apparato produttivo pronto a cogliere il rilancio. Poi sicuramente il fatto che la pandemia ha colpito in maniera importante, ma subito dopo questa fase acuta della crisi vi è stata una ripresa, e in quella fase più acuta la gente ha speso meno per poi aumentare i consumi quando sono cadute delle restrizioni.
Citate esplicitamente la guerra in Ucraina come fonte di preoccupazione a livello di congiuntura. Quali sono i maggiori timori per l’economia ticinese?
Per certi versi quello che sta succedendo all’economia potrebbe fare anche più male di quanto vissuto con la pandemia. Perché oggi possiamo dire che con la pandemia abbiamo vissuto periodi d’interruzione dove sono seguiti periodi di rimbalzo e crescita economica. Ora assistiamo a cambiamenti, a determinati aumenti di prezzi di materie prime ed energia che assumono caratteristiche strutturali, quindi in questo senso la speranza è quella che si ritorni a una situazione di normalità dove ci sia più certezza sull’evoluzione futura. In questo senso sarà importante che l’apparato produttivo rimanga il più possibile intatto perché aiuta a cavalcare la ripresa appena questa si prospetta.