Il comitato iniziativista ha consegnato alla Cancelleria dello Stato le sottoscrizioni raccolte. ‘Basta avvantaggiare imprenditori disonesti’
È grande e condivisa la soddisfazione espressa dal comitato d’iniziativa che stamattina a Bellinzona ha consegnato quasi 13mila firme alla Cancelleria dello Stato per un salario minimo sociale. Per la riuscita dell’iniziativa popolare costituzionale – lanciata lo scorso 29 ottobre da Ps, Pc, Pop, Giso, Verdi e dai sindacati Vpod, Unia e Syndicom – ne bastavano 10mila. «Considerando anche la pandemia, il periodo delle festività e i mesi invernali è sicuramente un risultato molto chiaro, che dimostra che nella popolazione questo tema è particolarmente sentito in maniera trasversale tra persone che votano tutti i partiti o magari non votano perché deluse dalla politica attuale», commenta Laura Riget, copresidente del Partito socialista. L’iniziativa persegue due obiettivi. Da una parte mira ad alzare il salario minimo alla soglia che corrisponde alle prestazioni complementari Avs-Ai, quindi ad almeno 21,50 franchi orari, ancorandolo alla Costituzione. «Una somma non estremamente alta, ma si tratta del massimo permesso dagli spazi di manovra giuridici a livello cantonale», considera Riget. Dall’altra parte si prefigge di togliere la possibilità di deroga alla sua applicazione per i settori in cui è in vigore un Contratto collettivo di lavoro (Ccl). Possibilità questa sfruttata lo scorso autunno dall’associazione/sindacato TiSin che ha stipulato con alcune ditte del Mendrisiotto contratti che contemplano retribuzioni orarie ben al di sotto del minimo legale. «Le vicende legate allo pseudo-sindacato leghista TiSin hanno dimostrato ancora una volta l’importanza di migliorare la legge attuale per garantire veramente un salario minimo sociale a tutte le lavoratrici e i lavoratori del nostro cantone», afferma la copresidente socialista, che aggiunge: «Il fatto che questa iniziativa sia sostenuta in maniera compatta dai partiti di sinistra e da tre sindacati è un buon auspicio anche in ottica della votazione. Nel frattempo mi auguro che si crei anche una discussione in senso ampio sul mercato del lavoro in Ticino».
Anche per Giangiorgio Gargantini, segretario regionale del sindacato Unia Ticino, il bilancio della raccolta firme è decisamente positivo: «È sempre un esercizio interessante prima di tutto perché mette a contatto con la popolazione e permette di sviluppare il dibattito. Inoltre il numero di sottoscrizioni è molto alto, ben al di là di quanto necessario». Secondo il sindacalista la modifica di legge è necessaria innanzitutto per togliere l’opportunità che è stata data «in maniera sciagurata» di derogare ai Ccl. «Al momento in cui l’iniziativa dei Verdi (accettata in votazione popolare nel 2015 ed entrata in vigore il 1 dicembre scorso, ndr) era stata presentata abbiamo detto chiaramente che sarebbe stata pericolosa. Siamo stati cattivi profeti, visto quanto successo con lo pseudo contratto collettivo TiSin - Ticino Manufacturing». Spiegando come anche in altri cantoni, ad esempio nel Giura, siano previste possibilità di derogare, Gargantini evidenzia come però «mai nessuno si è inventato un sindacato per poterlo fare. È successo solo in Ticino, ciò significa che tale opzione non deve essere data». Alla domanda se 21.50 franchi orari siano un salario dignitoso, il segretario regionale Unia risponde un chiaro “no”: «Non permette di vivere dignitosamente in Ticino, ma dal punto di vista giuridico è il massimo possibile. Quindi il minimo che si possa fare è tendere a questo massimo – commenta –. Ce lo chiedono i ticinesi, i lavoratori e le lavoratrici, e pure il Tribunale federale che nella sua recente decisione di rifiuto del ricorso presentato da 11 ditte ticinesi scrive di aver già avallato le stesse modalità di calcolo per il Canton Neuchâtel».
Le considerazioni di Alberto Togni, membro della direzione del Partito comunista, vertono sul fatto che «è inaccettabile che una parte di padronato si permetta di arricchirsi sulle spalle dei lavoratori lasciando poi allo Stato il compito di andare a coprire sotto forma di aiuti sociali quella parte di salario che non viene retribuita al lavoratore». Anche secondo Togni occorre lanciare un dibattito sul tipo di mercato del lavoro che si vuole nel cantone: «Si tratta di scegliere tra un’economia dove il lavoratore ottiene un giusto compenso senza che lo Stato debba tappare i buchi, e una fatta di aziende che si insediano nel territorio solo per poter sfruttare la manodopera a basso costo e addirittura sostituirla con lavoratori d’oltre frontiera costringendo inoltre le giovani generazioni a cercare lavoro altrove». Leonardo Schmid, membro di comitato del Partito operaio popolare, dal canto suo sottolinea come l’iniziativa dia anche una mano «a quei sindacati che portano avanti un discorso di negoziazione collettiva per andare verso l’alto invece che a quelle pseudo organizzazioni sindacali che vanno a sostegno del padronato». Sempre sul discorso delle scappatoie aziendali, Samantha Bourgoin, co-coordinatrice dei Verdi, dichiara come «dopo la prima proposta di salario minimo presentata, si è reso necessario un miglioramento della legge visto che in Ticino abbiamo degli ex alleati che si sono inventati degli escamotage». A spiegare il motivo del ricorso a un’iniziativa popolare è Fabrizio Sirica, copresidente del Ps: «Nonostante i tentativi di agire a livello di Gran Consiglio, opposto a noi c’era un blocco di altri deputati, tra cui Plr e Ppd, che abbiamo interpellato ma non hanno voluto risolvere la situazione a livello parlamentare. Per questo è stata necessaria la militanza che è scesa in campo nella raccolta firme». Un appunto infine sulle tempistiche: «Non possiamo permettere che i partiti borghesi tengano ancora in ostaggio un tema fondamentale per i ticinesi e che trascorrano ancora quasi 10 anni per l’applicazione – dice Sirica –. Dovremo fare tutta la pressione possibile affinché si rispettino i termini legali per dare seguito a questa raccolta firme».