Una 69enne ha indebitamente percepito 84mila franchi tra il 2012 e il 2018. La settimana scorsa era stata condannata la figlia per lo stesso reato
Una madre e una figlia, in sei anni, hanno percepito oltre 200mila franchi da prestazioni complementari, nonostante non ne avessero diritto. La settimana scorsa, la figlia 44enne era stata condannata alle Assise correzionali in Lugano a una pena pecuniaria sospesa, mentre oggi è toccato alla madre 69enne comparire davanti alla giudice Francesca Verda Chiocchetti. L’unica differenza rispetto al procedimento penale a carico della figlia è la somma di denaro truffata: la prima, tra marzo 2012 e il febbraio 2018, aveva percepito 129’500 franchi illegalmente, mentre la 69enne ha truffato l’istituto delle Assicurazioni sociali per un totale di 84’846 franchi.
Per la condannata odierna, la giudice ha confermato la pena proposta dalla procuratrice pubblica Caterina Jaquinta Defilippi e dall’avvocato Stefano Pizzola: una pena pecuniaria di 120 aliquote da 30 franchi, sospesa per due anni per i reati di truffa aggravata e di tentato inganno nei confronti delle autorità, per aver, contrariamente al vero, dichiarato di risiedere a Chiasso, con l’intento di ottenere il permesso C, pur vivendo in Italia da oltre cinque anni.
Nonostante il procedimento penale sia stato svolto con la formula del rito abbreviato, la giudice ha comunque voluto interrogare la 69enne per comprendere meglio la dinamica dei fatti dal punto di vista della più anziana. Il reato è strettamente legato a quanto commesso dalla figlia, poiché, a seguito della morte del marito e del conseguente stato emotivo compromesso da parte della 69enne, le due si erano trasferite da Chiasso in Italia. Nonostante ciò, fino al 2018, madre e figlia hanno continuato a beneficiare delle prestazioni complementari e della riduzione dei premi dell’assicurazione malattia, ben consapevoli che tali prestazioni erano condizionate alla loro effettiva residenza in Ticino.
A distanza di 13 anni dalla morte del marito, la donna è sembrata ancora turbata da quanto accaduto in quei fatidici giorni, a ridosso delle festività natalizie. Suo marito era andato a Zurigo per sottoporsi a un’operazione all’anca con l’intenzione di ritornare subito a lavorare, ma dalla Schulthess Klinik non fece più ritorno. «Insieme a mio marito sono morta anche io: ho passato un periodo di grande rabbia. Nessuno mi ha avvisato che stava male, arrivare e trovarlo morto è stato devastante», ha affermato la 69enne. In un momento che travalica dal processo, la giudice ha voluto esprimere la sua solidarietà e sottolineare alla donna di non sentirsi in colpa, perché «anche se in quel momento non eravate vicini, voi lo eravate comunque». Dopo questa parentesi umana, poco comune in un’aula penale, la giudice ha ritenuto di non espellere la donna dal territorio svizzero, poiché dal 2018 non ha più delinquito e perché, in Svizzera, ha comunque dei legami affettivi e di lavoro.