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Boom di tax free a Como. Rampoldi: ‘Ci vuole la zona franca’

In soli cinque mesi gli acquisti esentasse nella città lariana sono aumentati del 31%. La Società commercianti del Mendrisiotto si dice preoccupata

Una convenienza difficile da sconfiggere
(Ti-Press)
8 luglio 2024
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Sono passati pochi mesi da quando in Italia è stata abbassata la soglia di spesa per accedere alle agevolazioni del tax free, riducendola da 155 a 70 euro. E nonostante questa misura sia stata introdotta solo a febbraio, a Como si è già potuto constatare come la possibilità di poter scorporare l’Iva dai propri acquisti sia stata molto apprezzata dai visitatori provenienti da Paesi fuori dall’Unione europea. Come riferito dal quotidiano ‘la Provincia’ di Como – che riporta i dati forniti da ‘Global Blue’, società di rimborso fiscale per lo shopping turistico –, a partire dal 1° febbraio gli acquisti tax free nel capoluogo lariano sono aumentati del 31%, arrivando a costituire il 4%, in termini di volume, di questo genere di compere nell’intera penisola. Facile presumere che larga parte degli acquirenti provengano dalla Svizzera, se non proprio dal Ticino, anche perché a essere più gettonato è proprio il settore degli alimentari.

Una situazione che rischia di esacerbare ulteriormente la già difficile situazione dei venditori ticinesi, in particolare quelli del Mendrisiotto, che si ritrovano a dover competere con i già bassi prezzi comaschi, resi ancor più attrattivi dalla possibilità di scorporare l’Iva. E mentre i negozianti di Como festeggiano, che ne è di quelli momò? Lo abbiamo chiesto a Davide Rampoldi, presidente della Società commercianti del Mendrisiotto (Scm).

Un aumento del 31% in soli 5 mesi è una cifra importante. Come viene vissuta la situazione alla Scm?

Da un lato questa notizia spaventa, dall’altro ci si poteva attendere questo incremento. Devo dire che c’è preoccupazione tra i commercianti, perché è chiaro che l’impatto è forte. Di mezzi noi purtroppo non ne abbiamo molti, se non cercare di fare in modo che il cliente resti da noi attraverso la qualità del servizio. Chiaro che è difficile, perché sappiamo che la gente va dove conviene, o dove pensa che convenga: bisogna dire che a volte non è tutto oro quello che luccica. Una famiglia che fatica ad arrivare alla fine del mese la capisco che trovi più conveniente andare in Italia per comprare i beni più elementari, ma su tanti altri prodotti non è poi tutto così conveniente. È chiaro che, ripeto, siamo sensibili. Il turismo degli acquisti c’è, e dobbiamo accettarlo.

Come vi state muovendo?

Come Federcommercio avevamo scritto una lettera al Consiglio di Stato che per il momento è rimasta un po’ lettera morta. Abbiamo sollecitato una risposta per capire se ci si vuole muovere per fare qualcosa. Poi sappiamo che il margine di manovra è sempre relativo, soprattutto nei Cantoni, però bisogna spingere verso Berna per fare in modo che si prendano delle misure.

Che genere di misure?

Io spero che la Confederazione e i Cantoni si chinino sul problema, intervenendo in modo mirato sull’economia locale. Lo so che è un’utopia, ma continuo a nutrire speranza per una zona franca nelle regioni di confine, senza la quale il commercio, soprattutto quello al dettaglio, andrà a sparire a causa della forte pressione. Ribadisco il concetto: si pensi veramente a una zona franca esente Iva, o quantomeno con dei vantaggi fiscali, almeno per cinque anni. So che è un’idea utopica, lo ripeto, e che la Confederazione mai vorrà implementarla, ma secondo me è l’unica via per risolvere il problema. I malati è meglio curarli fintanto che sono curabili, non quando sono morti, perché io di rianimazioni ne ho viste poche. Nel senso che se l’economia del territorio si ‘asciuga’, poi è molto difficile farla ripartire.

Oltre agli alimentari, quali sono i settori più colpiti?

Penso soprattutto ai settori del tessile e delle calzature, anche se in realtà siamo tutti sotto pressione. Forse solo l’elettronica sta reggendo il colpo. Per fortuna, però, sentendo anche le situazioni di Lugano e Locarno, sembrerebbe che i turisti facciano comunque degli acquisti in Ticino, anche se sono casi, soprattutto quello locarnese, un po’ a sé stanti. Per noi Comuni di confine la situazione è sempre stata altalenante, nel senso che c’erano vantaggi a comprare in Svizzera e altri vantaggi a comprare in Italia, mentre ora la situazione è completamente sbilanciata. Poi c’è anche da dire una cosa: io abito a Chiasso e quando parlo con i miei dirimpettai, dall’altra parte della frontiera, sento che di comaschi che consumano e comprano a Como ce ne sono ben pochi. Oggi hanno la fortuna di avere un ‘over tourism’, come dice il sindaco, ma Como è diventata carissima anche per gli svizzeri, cioè inavvicinabile per gli italiani, non stanno bene. Solo per il frontaliere va bene, ma resta una città cara.

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