Alloggio e 'benefit' per le lucciole a 120 franchi al giorno. Torna in aula il caso del bar La Rosa Nera di Chiasso
Offrire un 'pacchetto' di servizi a una prostituta – tra i quali l'alloggio – per 120 franchi al giorno è considerata usura? È questa, in sostanza, la domanda a cui ha dovuto rispondere la Corte delle assise correzionali di Mendrisio quest'oggi in aula. Quesito al quale aveva già dovuto esprimere un giudizio nel 2017, per gli stessi anni. Al centro della vicenda due imputati e un postribolo di Chiasso, il bar La Rosa Nera (che nel frattempo ha chiuso i battenti). Alla sbarra, davanti al giudice Marco Villa, sono comparsi una 44enne e un 60enne italiani – difesi dagli avvocati Stefano Genetelli e Sabrina Aldi – accusati di usura aggravata. Nell'aula del Tribunale penale cantonale, va detto, ci sono giunti per la seconda volta. Nel 2017, infatti, erano già stati giudicati (allora gli imputati erano 4) per questo reato oltre a promovimento della prostituzione. Il giudice di allora, Amos Pagnamenta, li aveva prosciolti dal reato legato al mestiere più vecchio del mondo, ma condannati per quello di usura. Impugnata la sentenza alla Corte di appello e di revisione penale, quest'ultima ha di fatto annullato la sentenza, rinviando l'incarto al Ministero pubblico. Da qui, dunque, l'esigenza di un nuovo dibattimento. I fatti risalgono al periodo tra il gennaio 2008 e il febbraio del 2010. Lasso di tempo in cui i due – si legge nel nuovo atto d'accusa stilato dal procuratore pubblico Daniele Galliano – avrebbero “sfruttato lo stato di bisogno e l'inesperienza almeno 278 ragazze“. Come? Sublocando alle ragazze alcuni appartamenti a Chiasso “applicando una pigione di 120 franchi al giorno per ragazza”. Insomma, con tariffe da usura. Una tesi che, anche oggi, i due hanno respinto. I loro legali lo hanno fatto anche a suon di calcoli, di sentenze già cresciute in giudicato e di analisi di mercato. Per l'accusa non ci sono dubbi, gli imputati «hanno sfruttato lo stato di bisogno delle ragazze: si parla di donne straniere, senza permesso, non conoscitrici delle lingua, giungevano in Svizzera come turiste. Ragazze socialmente deboli che accettavano la pigione di 120 franchi al giorno». Secondo l'accusa, dunque, gli imputati facevano leva sullo «stato d'illegalità e genere del lavoro» delle donne: esercitavano la prostituzione ma erano in Svizzera come turiste. Quanto fatto pagare era dunque «sproporzionato e gli imputati sapevano di commettere un reato perché in caso di controllo avevano detto alle ragazze di dire che la pigione era di 30 franchi». Si sono dunque macchiati di una «colpa di una certa gravità» ed è per questo che l'accusa ha chiesto (considerando comunque una violazione del principio di celerità, siccome i fatti sono stati commessi più di 10 anni fa) una condanna a 18 mesi sospesi per 2 anni nei confronti della 44enne, 15 mesi (sempre sospesi) per il 60enne.
Di diverso avviso, evidentemente, gli avvocati della difesa, i quali si sono battuti per il proscioglimento dei propri assistiti. «La tariffa richiesta alle ragazze – non tutte illegali, ha puntualizzato Stefano Genetelli durante l'arringa – non era sproporzionata rispetto alle prestazioni fornite. Quel che in realtà veniva offerto era un pacchetto comprensivo di tutte le prestazioni caratteristiche dei bordelli. Prestazioni supplementari, quali la pulizia, il vitto. Il locale dove esercitavano aveva un buon sistema di sicurezza. Inoltre gli appartamenti in cui soggiornavano erano provvisti di cucina». In aggiunta i paragoni di mercato, fatti con altri postriboli di Chiasso tuttora attivi: in uno di questi (i nomi sono stati fatti in aula) «per usufruire della struttura le ragazze pagano 125 franchi al giorno oltre ai 25 quali anticipo d'imposta destinata allo Stato. E non è inclusa la stanza dove dormono. In altri due postriboli di Chiasso alle ragazze che intendono prostituirsi vengono chiesti 150 rispettivamente 120 franchi senza includere l'appartamento o la camera dove dormono». Tesi abbracciata anche dall'avvocata Sabrina Aldi la quale, calcolatrice alla mano, ha analizzato le cifre arrivando a escludere, per quanto offerto, l'usura. Criticando, inoltre, il rapporto sulla quale si è basata l'accusa: «In realtà – ha detto – quanto proposto non è un contratto di locazione, di alloggio o di albergo, ma si riferisce all'esercizio della prostituzione nei bordelli. Bordelli che erano legali e che lo sono anche dopo che l'esercizio della prostituzione è stato dettagliato dalla nuova legge. Il mercato di paragone, è quello del prezzo di una camera di un postribolo» - ha evidenziato - non quello di una normale camera d'albergo.
Al quesito posto ha dunque risposto la Corte: per quattro ragazze è stata ravvisata l'usura. A questo è giunto il giudice Villa, il quale ha condannato i due imputati a una pena pecuniaria sospesa (30 aliquote giornaliere da 10 franchi l'una), accogliendo quindi parzialmente l'atto d'accusa. Corte che a sua volta ha fatto i calcoli e, potendo riferirsi a un lasso di tempo più piccolo rispetto a quello ritenuto nell'atto d'accusa, è arrivata alla conclusione che l'usura c'è stata. Ma, nella fattispecie in oggetto, solo negli appartamenti dove soggiornavano 3 ragazze contemporaneamente. Dai 120 franchi del 'pacchetto' la Corte ha quantificato ogni prestazione (affitto, lavanderia, sicurezza all'interno del locale, mezza pensione, pubblicità, eccetera) arrivando alla conclusione che in soli 4 casi è stata superata la soglia di guadagno del 35% per cento. A favore degli imputati, infine, il lungo tempo trascorso dai fatti e la violazione del principio di celerità.