Una condanna lieve rispetto a quella chiesta dall'accusa, per il 52enne colpevole di abusi fisici, mentali e sessuali nei confronti della moglie
Resterà in prigione per ancora tre mesi, dopodiché tornerà a piede libero il 52enne del Luganese, a processo da mercoledì, accusato e in parte condannato per diversi episodi di abusi e violenza domestica nei confronti della moglie. La Corte delle Assise criminali di Lugano ha infatti emesso nei suoi confronti una pena detentiva complessiva di 31 mesi, dei quali 16 sospesi per cinque anni, e ai quali vanno sottratti i 12 già trascorsi in carcere. Le accuse a suo carico – ipotizzate dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, che aveva chiesto una pena di 8 anni e 11 mesi interamente da scontare – erano violenza carnale ripetuta, coazione sessuale ripetuta, tentate lesioni gravi, lesioni semplici e coazione. L’uomo è stato prosciolto dalle imputazioni più gravi, ossia violazione carnale, coazione sessuale (salvo un episodio), e tentate lesioni gravi, «non perché noi crediamo che lei non abbia commesso questi reati – ha precisato il presidente della corte Marco Villa –, ma perché dalle informazioni fornite dall’accusa non è stato possibile ritenerla colpevole oltre ogni ragionevole dubbio».
Nel corso della mattinata l’avvocato della difesa David Simoni, concludendo l’arringa cominciata ieri sera, aveva chiesto che la pena non fosse superiore ai due anni, e che fosse interamente sospesa. Simoni si era infatti appellato alla mancata credibilità della vittima, e alla contraddittorietà delle dichiarazioni da lei rilasciate in corso d’inchiesta. Una posizione in parte condivisa dalla Corte. Villa ha affermato infatti che «è innegabile che le dichiarazioni non siano state univoche. La Corte non esclude che la contraddittorietà sia stata giustificata, ma non sono state fatte le necessarie domande di chiarificazione». La pp ha già dichiarato che verosimilmente ricorrerà in Appello.
La colpa dell’uomo è stata giudicata grave, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo. Oltre alla pena detentiva già menzionata, la Corte ha predisposto un trattamento ambulatoriale per curare i disturbi psicologici ed emotivi dell’uomo, una misura alla quale l’uomo dovrà aderire per cinque anni, il massimo previsto dalla legge. «I reati, anche se ridotti, sono oltremodo odiosi – ha commentato Villa –, soprattutto considerate le violenze reiterate, e il fatto che queste sono state compiute contro la moglie, violando la reciproca fiducia che dovrebbe stare alla base di qualsiasi relazione». Sempre per cinque anni, il 52enne sarà obbligato a mantenere una distanza di almeno 500 metri dalla moglie e dai luoghi da lei frequentati, oltre che evitare di avere alcun contatto con lei. Aderendo in parte alle richieste dell’avvocata Benedetta Noli, rappresentante della vittima costituitasi accusatrice privata, la Corte ha deciso che l’imputato dovrà versare alla moglie 9’700 franchi, 5mila come indennizzo per torto morale, e il resto per coprire le spese della struttura protetta dove si era rifugiata per scappare da lui. Il condannato dovrà infine pagare un conto salato per le spese legali, circa 50mila franchi, che comprendono le spese di giustizia, l’onorario dell’avvocato difensore e dell’accusatrice privata. «È stata omessa la frase di rito – ha detto Villa – ‘se e quando le sue condizioni finanziarie glielo permetteranno’, perché risulta chiaro alla Corte che l’imputato disponga già dei mezzi finanziari sufficienti per coprire queste spese».
Sembra dunque che la sentenza emessa dalla Corte – composta, oltre che da Villa, dai giudici a latere Fabrizio Monaci e Giovanna Canepa Meuli, come pure dagli assessori giurati –, sia stata perlopiù influenzata da supposte mancanze della tesi accusatoria. Stando a quanto detto dal giudice, l’atto d’accusa sarebbe stato eccessivamente vago, indicando ad esempio, in riferimento agli abusi sessuali, “un massimo di circa 17 volte”, oppure indicando “svariate volte” riferendosi agli episodi di coazione sessuale. «La Corte si è trovata in difficoltà – ha detto Villa –. I fatti non sono stati descritti dettagliatamente, perché secondo l’accusa questi abusi si sono svolti sempre nello stesso modo. Non è chiara la sequenza degli eventi, ed è mancata chiarezza sulle dinamiche di ogni circostanza su cui lavorare. Non è poi chiaro come mai, in questi supposti 17 eventi, siano stati inclusi anche i 5 che la vittima ha dichiarato essere consenzienti. Il fatto che lei abbia acconsentito a causa delle pressioni psicologiche è una conclusione a cui è giunta la pp, ma la vittima non lo ha mai detto».
Il 52enne è stato per contro condannato per lesioni semplici, perché stando alle sue stesse dichiarazioni, ha preso la moglie a pugni e schiaffi, sia in testa che sul corpo, oltre ad averle tirato i capelli fino a strapparli. È stato riconosciuto anche colpevole di averle causato diversi ematomi usando un manganello, comprovati dai reperti medici, la sera prima della fuga, cosa che ha portato a riconoscere anche il reato di coazione sessuale in una sola occasione, ossia il rapporto sessuale avvenuto la mattina successiva a questa aggressione. «Quella mattina ha accettato di fare sesso, chiaramente perché era un male minore rispetto a venir picchiata nuovamente» ha concluso il presidente.