La Corte delle Assise criminali di Lugano ha condannato a 30 mesi, in parte sospesi, un 63enne colpevole di atti preparatori di omicidio intenzionale
«Non conosceva l’uomo, ma il suo comportamento attesta che se non fosse stato fermato avrebbe proseguito con il suo intento omicida». A seguito della scoperta del tradimento della moglie, un uomo italiano 63enne di Lugano ha pianificato di ucciderne l’amante. Dopo il dibattimento tenutosi ieri, lunedì 22 luglio, la Corte delle Assise criminali presieduta da Amos Pagnamenta – giudici a latere Emilie Mordasini e Renata Loss Campana – lo ha condannato a 30 mesi di detenzione, dei quali 12 da espiare per aver commesso i reati di atti preparatori di omicidio intenzionale, infrazione alla Legge federale sulle armi, atti sessuali con fanciulli, pornografia, rappresentazione di atti di cruda violenza più altri reati minori di natura finanziaria.
Il tradimento della moglie ha provocato all’uomo, difeso da Benedetta Noli, un’instabilità mentale descritta anche dalla perizia psichiatrica che ha attestato “un disturbo misto della personalità”. Per il giudice «non c’è motivo di non credere che l’intenzione della donna di andarsene di casa gli abbia fatto mancare il terreno sotto i piedi. Nel primo periodo, da come attestato anche dalla moglie, era particolarmente provato e con intenti autolesivi». Un atteggiamento che con il passare dei giorni è andato scemando e trasformatosi in un intento omicida: «Già alcuni giorni dopo si è adoperato per rintracciare l’amante tramite dei dispositivi elettronici e pedinamenti – continua Pagnamenta –. Così come si è impegnato per cercare una pistola». Le ricerche di un’arma da fuoco all’inizio sono state un po’ infruttuose. Dapprima è stato vittima di una fregatura: sottobanco a Ponte Chiasso gli è stata venduta una pistola scacciacani. Poi ha riconsegnato quest’ultima in cambio di un fucile che, infine, sarebbe servito come pegno per la pistola, mai ricevuta perché fermato prima dalla polizia.
A questo riguardo la giustificazione data dall’uomo di cercare una pistola per suicidarsi non è stata credibile anche per le differenti versioni esposte in aula: «Ha mentito. Le finalità erano ben diverse. Ha tentato di propinare versioni discordanti. Inoltre dopo il primo periodo di sconforto, non emergono intenti suicidari. Se avesse voluto uccidersi lo avrebbe potuto fare con il fucile e non avrebbe tentato di barattarlo con una pistola che voleva con il numero di serie abraso». L’arma a canna corta serviva «a fare male all’amante della moglie. È più facile uccidere qualcuno con una pistola, rispetto a un fucile si può nascondere e a distanza ravvicinata è più maneggevole». Pagnamenta non gli ha neanche creduto quando ha affermato che voleva solo spaventare l’amante, perché «altrimenti lo avrebbe fatto con la pistola soft air che già era in suo possesso oppure con la scacciacani». La colpa di questo reato è comunque stata considerata medio-bassa poiché «i suoi piani erano ancora in una fase embrionale».
A suo carico, la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo avevo mosso anche l’accusa di coazione “per aver pedinato personalmente la moglie, geolocalizzata tramite due dispositivi elettronici nascosti nell’auto e ascoltato le sue conversazioni telefoniche tramite un’applicazione». Questo comportamento, stando all’atto d’accusa, ha portato “la moglie a evitare di uscire di casa e a limitare gli incontri con l’amante, consapevole della volontà del marito di identificarlo, come pure a impedire che quest’ultimo potesse incontrarla nel luogo di lavoro della moglie”. Il giudice, però, lo ha prosciolto da questo reato perché è stata la donna a modificare «i suoi comportamenti per non far capire chi fosse l’amante» senza ricevere pressioni da parte del marito.
La pena inflitta in parte sospesa per tre anni e con la carcerazione preventiva già scontata, porteranno l’uomo a trascorrere altri due mesi in cella. In seguito, come già in questi mesi, dovrà continuare un trattamento ambulatoriale obbligatorio per «un ritorno sicuro alla vita libera che lo porteranno a riprendere una vita regolare». Il 63enne rischiava anche l’espulsione dalla Svizzera, come da prassi per questo tipo di reato, ma è stato applicato il caso di rigore «dato che vive qui da quasi quarant’anni».