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La vita come un film, ‘ma era in una bolla’

La difesa chiede una riduzione della pena al processo per truffa contro una 52enne italiana

I Minions
(Keystone)
5 giugno 2024
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Punta a una sensibile riduzione della pena, che non dovrebbe superare i 4 anni e mezzo, la difesa della 52enne a processo da martedì a Lugano per una truffa qualificata e altri reati, commessi nell’ambito di presunti finanziamenti a produzioni artistiche di alto livello, nonché per la compravendita di oggetti di lusso. La donna, una cittadina italiana, chiedeva denaro a conoscenti, prospettando la possibilità di forti guadagni. Dieci milioni di franchi le sono stati affidati da 41 persone, per un danno complessivo che è stato quantificato in circa 7 milioni. La sentenza delle Assise criminali di Lugano (presidente Francesca Verda Chiocchetti, a latere Aurelio Facchi e Chiara Ferroni) è attesa per venerdì mattina. La pubblica accusa, sostenuta dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, aveva chiesto una pena di 6 anni, oltre a 10 anni di espulsione dalla Svizzera.

Da Avatar II alle borsette

La storia si svolge lungo l'arco di ben 14 anni attraverso una fitta rete di relazioni che l'imputata, ben conosciuta nell'ambiente della cultura e delle produzioni artistiche, grazie anche alla precedente attività del padre, aveva tessuto nel tempo. Le vittime sono in pratica tutte persone conosciute o amiche, che convinte dal ‘blasone’ della 52enne, delle sue entrature nel mondo dello spettacolo, facevano conto di entrare in grossi business internazionali come la produzione dei film Avatar II, Minion o il mai realizzato La Variante di Lünenburg. La vicenda, ripercorsa martedì nella fase istruttoria, si è conclusa con l'arresto dell'imputata, l'17 aprile 2023: la donna si trova dunque in detenzione da oltre un anno, dapprima in carcerazione preventiva, e poi in esecuzione anticipata della pena.

La vergogna

Del resto, ha ammesso buona parte dei reati. L'avvocato difensore Demetra Giovanettina nel corso della sua arringa ha voluto da una parte ‘sfrondare’ l'atto d'accusa di parte delle imputazioni (quantitativamente, la cifra scenderebbe di un milione di franchi) dall'altro inquadrare sul piano psicologico l'agire della sua assistita. Un milione in meno, quindi attività illecita da 10 milioni. Ma conta anche l'aspetto soggettivo, che poi va a toccare quello giuridico, dove la 52enne è accusata di “truffa qualificata siccome commessa per mestiere”. In questi 15 anni, ha sottolineato Demetra Giovanettina, «non si può dire che non abbia fatto altro che la truffatrice» ha detto dell'imputata, che manteneva delle attività lecite nel campo della produzione di spettacoli, cioè proprio laddove sono, anche, maturati i reati. «Non ha mandato sul lastrico nessuno. Ha sfruttato il suo carisma, e una certa leggerezza dei suo conoscenti nel concedere soldi». Persone che, ha aggiunto, «potevano spendere senza guardare troppo per il sottile». Tant’è vero che diversi di loro non si sono nemmeno costituiti accusatori privati. «La ricerca di visibilità, di successo, era un fattore trascinante» in questa storia che per finire la ha resa «una bomba a orologiera, che una volta esplosa avrebbe fatto terra bruciata attorno a sè». «Mi vergogno di aver tradito amici e conoscenti» ha detto l’imputata al termine dell'udienza, pentendosi di aver inseguito «uno stile di vita sbagliato, fatto di apparenza e di sfarzo».

Cecità patologica

Pure le circostanze si sarebbero rivelate sfavorevoli. Il ritardo nell'uscita di Avatar II, se da un lato ha rimandato la resa dei conti verso i finanziatori dall'altro ha aggravato la situazione mantenendo in essere «un mondo farlocco portato avanti fino alle estreme conseguenze». La dimostrazione che si trovasse in una specie di ‘bolla si è vista, dice, nel suo «ostinato stupore per il fatto di essere stata arrestata. Una cecità quasi patologica, il bisogno di mantenere il suo statuto sociale era qualcosa di irrinunciabile. Finendo per condannarsi alla morte sociale proprio nell'ambiente in cui tentava di rimanere da protagonista»

Nel merito, la difesa ha contestato puntualmente alcuni capitoli della vicenda e le relative qualifiche giuridiche. Ad esempio, per quanto riguarda il finanziamento de La Variante di Lünenburg, la difesa ha chiesto il proscioglimento siccome il contratto non era fasullo, anche se il film per ora non è stato prodotto. «È pur vero che c’è stata una attività, e l'imputata aveva veramente finanziato la sceneggiatura, che è esistente. Non siamo oggi in grado di dimostrare che nel 2013 quella vendita fosse truffaldina». Anche certi prestiti ottenuti, come quello per la compravendita di Rolex o delle borsette Hermes, erano chiaramente da intendersi ’a rischio', anche alla luce delle voci sulle sue difficoltà finanziarie che iniziavano a circolare nell'elitario ambiente frequentato dall'imputata.

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