Gli autogestiti organizzano un evento natalizio, e tramite due comunicati offrono spunti di riflessione sulla realtà ‘indipendente’ di Lugano
Come da tradizione natalizia, anche quest’anno il ‘Soa il Molino’ ha deciso di marcare presenza la sera del 25 dicembre. E ha deciso di farlo in due modi: nella forma di un Trash party che si è svolto a Trevano nella notte tra Natale e Santo Stefano (a detta della polizia senza causare particolari disagi), e tramite due comunicati, diffusi ieri sera. Quest’anno nessuna occupazione temporanea di stabili privati dunque, ma un’ampia critica alla Città di Lugano nella sua forma più ampia. Nei due lunghi comunicati vengono infatti menzionati i grandi progetti edilizi come il Matrix o il Pse, definito “enorme e profonda fossa a pochi metri dal letto del fiume Cassarate, insostenibile dal punto di vista finanziario, sociale e probabilmente anche idrogeologico”; l’assenza di accessi al lago o al fiume “che non siano già stati mercificati e securizzati”; ma anche municipali mandati “a Londra per raccattare globalisti super ricchi”, e persino la stessa scena ‘alternativa’ e culturale. A proposito di quest’ultima, viene scritto che “non bastano certo i concerti allo spazio Foce, il riesumato Mojito o le varie kermesse estive o natalizie senz’anima. Tanto meno il notevole circuito della movida chic-ciellina-alternativa (LuganoBella, Locanda Masseria, PortoBello e per fortuna ancora l’ha scampata uno dei pochi luoghi ancora vivibili e aggregativi, il Lido San Domenico)”.
Viene criticato l’atteggiamento della politica, accusandola di aver represso spazi autogestiti come il ‘Csoa il Molino’, per poi cercare di recuperare la cultura alternativa come valore da promuovere. Per gli autori, la demolizione dell’ex macello nel maggio 2021 “ha di fatto dato impulso alla nascita di ulteriori realtà variamente giovanili, anche autogestite, non conformi o indistintamente alternative”, per cui ora il Municipio deve “confrontarsi con le tante diversità della ‘cultura indipendente‘, senza peraltro ancora arrivarne a una o porsi perlomeno in una situazione di ascolto dei reali bisogni”.
L’autogestione è descritta come una pratica politica, intrinsecamente conflittuale e legata all’uso di spazi fuori dalle logiche speculative, e si accusano le istituzioni e la stampa di creare un distinguo tra una cultura alternativa ‘buona’ e una ‘cattiva’, così come tra autogestione ‘accettabile’ e ‘illegale’, che “è la dimostrazione di quanto ancora si sia capito poco o niente del processo, del significato di tale pratica”.
Infine, nel testo ci si interroga sulle implicazioni politiche di considerare femminismo, antifascismo e antirazzismo come parte della cultura alternativa: “allora il patriarcato, il fascismo e il razzismo sono la cultura egemone, n’est-ce pas?”.