Il Ministero pubblico della Confederazione si tiene aperta la possibilità di dichiarare l’appello una volta ricevuta la sentenza motivata scritta
Non è ancora definitivamente chiuso il caso dell’accoltellamento alla Manor di Lugano del 24 novembre 2020. Forse. Il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) ha infatti presentato annuncio ufficiale d’appello, entro i termini di legge che scadevano venerdì scorso. Non si tratta, al momento, di una dichiarazione d’appello. Quest’ultima riaprirebbe sostanzialmente il caso portandolo al secondo grado, ossia alla Corte d’appello del Tribunale penale federale (Tpf) di Bellinzona. L’annuncio invece permette, per il momento, di mantenere aperta questa possibilità.
La notizia ci è stata confermata quest’oggi sia dall’Mpc sia dal Tpf, che ha precisato che l’annuncio di appello è stato presentato solo dalla pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice federale Elisabetta Tizzoni. Non si è avvalsa di questa facoltà invece la difesa, ossia gli avvocati Daniele Iuliucci e Simone Creazzo. Affinché si arrivi eventualmente al processo di secondo grado, in ogni caso, devono passare ancora diversi mesi. La Corte di primo grado del Tpf – composta dai giudici Fiorenza Bergomi (presidente), Roy Garré e Monica Galliker – ha infatti tre mesi di tempo per inoltrare alle parti la sentenza motivata scritta. Quella orale è stata pronunciata il 19 settembre scorso, c’è quindi tempo fino a metà dicembre circa. Una volta ricevuta la sentenza motivata, l’Mpc avrà altri venti giorni per decidere se trasformare l’annuncio in dichiarazione, motivando anche le ragioni del proprio appello. La palla passerebbe poi nel campo della difesa, che avrebbe poi a sua volta la possibilità in ulteriori venti giorni di dichiarare il cosiddetto appello adesivo. Si andrebbe, dunque, in tutti i casi al 2023. A meno che la sentenza motivata non arrivi in tempi particolarmente brevi, cosa che sembrerebbe non molto probabile vista la complessità del caso e la durata stessa del processo in primo grado.
L’imputata, ricordiamo, è stata condannata a nove anni di detenzione e a una multa di 2’000 franchi per ripetuto tentato assassinio, violazione della Legge federale che vieta i gruppi ‘al-Qaida’ e ‘Stato Islamico’ nonché le organizzazioni associate, come pure per ripetuto esercizio illecito della prostituzione. La sua colpa principale è dovuta a quanto ha compiuto al quinto piano dei grandi magazzini cittadini quasi due anni fa, quando ha intenzionalmente tentato di uccidere con un coltello da cucina acquistato poco prima due donne. Lo scopo era decapitarle, inneggiando all’Isis. Fortunatamente la donna non è riuscita nel suo intento, ferendo tuttavia in maniera seria una delle vittime. Il caso, che dalla sera stessa è stato definito dalle autorità cantonali e federali di polizia come sospetto atto di terrorismo, ha fatto il giro del mondo. E anche la Corte presieduta da Bergomi enunciando la sentenza ha definito i fatti «duplice tentato assassinio a sfondo jihadista».
Durante il procedimento sono emersi per contro i gravi problemi psichiatrici che affliggono la 29enne accoltellatrice, al punto che le è stata diagnosticata una scemata imputabilità di grado medio. La difesa si è appellata in maniera importante alle turbe della donna, chiedendo una condanna di otto anni per ripetuto tentato omicidio intenzionale e non assassinio, come poi effettivamente stabilito dai giudici. L’accusa aveva invece chiesto quattordici anni di detenzione, sostenendo che i disturbi psichiatrici non impediscono di considerare l’aggressione un atto terroristico, tesi poi confermata dalla Corte. Per via dei suoi disturbi, l’imputata è stata anche condannata a un trattamento stazionario da eseguirsi in struttura chiusa, nonché al pagamento del torto morale stabilito in 30’000 franchi alla vittima principale.