Luganese

‘Troppo tempo alla Farera, violata Convenzione diritti umani’

La difesa si appella prevalentemente a principi umanitari per chiedere una riduzione di pena nel processo in Appello all’accoltellatrice della Manor

Una donna lievemente ferita e una in maniera più pesante: il bilancio della duplice aggressione
(Ti-Press)
12 luglio 2023
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Deve essere assolta dal reato di violazione della Legge federale che vieta i gruppi al-Qaida e Isis, nonché le organizzazioni associate, e le deve essere riconosciuta una diminuzione della pena in virtù del lungo periodo trascorso alla Farera, in condizioni di carcere duro. Queste, in estrema sintesi, le tesi degli avvocati difensori della 30enne responsabile del duplice accoltellamento del 24 novembre 2020 alla Manor di Lugano. Tesi che, anticipate dalla ‘Regione’, non hanno voluto ridiscutere i fatti, che anzi gli avvocati Simone Creazzo e Daniele Iuliucci hanno «accettato così per come sono stati accertati dalla Corte di primo grado – ha detto quest’ultimo –: la sentenza è ottima, non presta il fianco a critiche di rilievo, e non si discosta dalla richiesta formulata dalla difesa (otto anni, invece dei nove inflitti, ndr)».

‘Non esiste nessuna bomba, nessun complice’

«L’appello adesivo presentato dalla difesa è una conseguenza del ricorso presentato dall’accusa» ha ricordato Iuliucci, liquidando velocemente la novità del presunto attentato bomba, che avrebbe dovuto concretizzarsi ‘a supporto’ dell’accoltellamento, emersa stamattina in aula: «È frutto del mondo di fantasia dell’imputata. Non esiste nessuna bomba, nessun complice, nessuno dei 3’000 contatti di terroristi su ‘Facebook’. Dei due contatti stabili che diceva di avere, uno non è un terrorista e l’altro non esiste. È agli atti del processo in prima istanza. La sua motivazione a uccidere non è giunta da queste due persone, ma dalla malattia (un disturbo affine alla schizofrenia e un ritardo mentale lieve, ndr). Il Ministero pubblico della Confederazione ha tentato di trovare una connessione fra l’imputata e lo Stato islamico, ma questa non solo non è stata dimostrata ma anzi è stata smentita».

‘Pena più bassa per media scemata imputabilità’

Prima di passare la parola a Creazzo, Iuliucci ha brevemente replicato a Tizzoni: «Non basta citare altre sentenze per reati di assassinio, quando non sappiamo fatti, personalità di questi criminali e altri aspetti dei casi. In questo caso, invece, sappiamo che la media scemata imputabilità ha contribuito ad abbassare la pena finale pronunciata dalla Corte. Oggi siamo qui a fare discorsi ininfluenti, filosofia del diritto sull’applicazione delle norme, in quanto la misura terapeutica stazionaria pronunciata l’anno scorso è a tempo indeterminato. Le chance di recupero dell’imputata non sono molto elevate e in caso di fallimento terapeutico, la misura potrebbe anche tramutarsi in un internamento».

‘Non si attui una doppia aggravante’

Creazzo, dal canto suo, ha chiesto il proscioglimento dal reato che vieta i gruppi al-Qaida e Isis perché «nel caso in esame, lei non aveva alcun legame con le associazioni vietate. L’unico comportamento dubbio, è il presunto invio di denaro (circa 18’000 franchi, prevalentemente provento di prostituzione, ndr), del quale però non è emerso con sufficiente chiarezza se e a chi abbia effettivamente trasmesso questi soldi». La Corte di primo grado, ha ricordato l’avvocato, ha condannato la 30enne unicamente per sei messaggi (tre scritti e altrettante immagini) inviate a un giovane siriano che tuttavia sarebbe stato oltretutto estraneo al jihadismo. «Questi messaggi però sono stati inviati tramite l’applicazione Messenger di Facebook, quindi erano privati e diretti a un’unica persona. Non costituiscono dunque una propaganda. In ogni caso – ha concluso Creazzo –, l’assassinio è già una forma qualificata di omicidio, condannarla anche per la violazione della Legge federale che vieta i gruppi al-Qaida e Isis, nonché le organizzazioni associate (norma entrata in vigore nel 2015 e nel frattempo abrogata nel 2022, ndr), equivarrebbe di fatto a una doppia aggravante».

Quasi tre anni di ‘carcere duro’

La difesa ha speso invece più tempo a mettere in evidenza il «regime di carcere duro al quale l’imputata è sottoposta da quasi tre anni – ha detto Iuliucci –: la Farera è un carcere giudiziario, una struttura deputata non all’esecuzione delle pene ma a mantenere il detenuto il più isolato possibile. Non vi sono spazi comuni, spazi verdi, nulla. L’unica ora libera al giorno si svolge in un corridoio di cemento con le sbarre, per vedere il cielo bisogna sporgersi. I contatti con l’esterno sono limitati. La cella è di otto metri quadrati di dimensione. C’è appena spazio per muoversi, con una piccola finestrella con le sbarre e una pesante porta in ferro. D’estate fa terribilmente caldo, in quanto non c’è l’aria condizionata». Un regime carcerario, questo, «in contrasto con le principali convenzioni internazionali sottoscritte dalla Svizzera e anche con le fondamentali norme nazionali».

‘Violate norme nazionali e internazionali’

Il riferimento di Iuliucci è, ad esempio, agli articoli 7 e 8 della Costituzione, ma anche con l’articolo della 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. «La Farera è adatta alla detenzione delle donne per un paio di mesi, dopo il terzo a nostro avviso diventa violazione di questo articolo. E qui siamo ampiamente sopra» ha detto il legale chiedendo alla Corte presieduta da Albisetti Bernasconi di riconoscere la violazione del suddetto articolo e conseguentemente di tenerne conto riducendo la pena di sei mesi.

‘Situazione desolante, bisogna cambiare le cose’

L’avvocato ha precisato che in ogni caso qualsiasi sia poi la decisione, la sua portata pratica sarà limitata. «Riteniamo sia necessario mandare un forte messaggio politico atto si spera a modificare lo stato di cose. Spetta ai tribunali, che sono il potere giudiziario, farlo. Per noi è stato uno shock constatare che per curare adeguatamente l’imputata esistono unicamente cinque posti in tutta la Svizzera, oltretutto in una struttura privata (il Curabilis di Ginevra, dove verrà trasferita entro fine anno, ndr). Non ci sono posti in strutture pubbliche. È desolante, considerato l’aumento di reati criminali dovuti a problematiche psichiatriche. Non va bene». Pur ammettendo che in prima istanza la difesa ha «perso un po’ di vista» le questioni legate alla carcerazione della deputata e alla sua terapia, Iuliucci si dice determinato ad andare fino alle istanze superiori sul tema: «Questo è uno dei casi più gravi in Svizzera degli ultimi anni. Andremo al Tribunale federale e se necessario a Strasburgo (alla Cedu, ndr) per dimostrare la violazione dei principi».

La sentenza verrà comunicata alle parti in forma scritta nelle prossime settimane, ha detto in chiusura di procedimento il presidente della Corte, non prima di lasciare la parola alla procuratrice federale Elisabetta Tizzoni per una breve replica principalmente su due aspetti: «Il nostro obiettivo non è certamente fare filosofia del diritto, ma ci teniamo ad avere sentenze eque. Inoltre, la questione della doppia aggravante non c’entra, in quanto per noi si tratta di un concorso di reati». Ultima parola alla Corte.