Luganese

Quattro condanne per la truffa del vino

Le pene inflitte dalla Corte delle Assise criminali di Lugano vanno dai 16 ai 36 mesi di detenzione. C'è anche un proscioglimento

Il verdetto
(archivio Ti-Press)
23 giugno 2023
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Quattro condanne e un proscioglimento. È questa la sentenza emessa venerdì mattina dalla Corte delle Assise criminali di Lugano nei confronti dei cinque imputati a processo da martedì per la truffa del vino. La procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti ha presentato richieste di pena comprese tra i 12 mesi sospesi e i 4 anni di detenzione; le difese, rappresentate dagli avvocati Sandra Xavier, Pascal Frischkopf, Olivier Ferrari, Pierluigi Pasi e Mattia Bordignon, si sono invece battute per tre proscioglimenti e delle massicce riduzioni. Ricorsi alla Corte d'Appello e revisione penale non sono da escludere.

‘Truffa aggravata evidente’

Nel pronunciare la sentenza, il giudice Amos Pagnamenta ha ripercorso il ruolo dei singoli imputati che, tra il 2016 e il 2018, hanno venduto circa 75mila bottiglie di vino contraffatto, spacciandolo per marchi di qualità, effettuando una truffa di 1,5 milioni di franchi ai danni di enoteche, società di vendita al dettaglio e all'ingrosso e ristoranti. Il vino, «buono ma banale», come lo ha definito il proprietario di una cantina citato dalla procuratrice pubblica durante la requisitoria, era imbottigliato da enologi piemontesi e sulle bottiglie erano state apposte etichette e capsule false per spacciarlo come originale. «La vicenda – ha ricordato Pagnamenta – è iniziata nel 2016 quando il 64enne ticinese ex commerciante di vini, attraverso società a lui riconducibili, ha iniziato a commerciare Tignanello 2012 a vari rivenditori svizzeri. La realizzazione oggettiva della truffa aggravata è talmente evidente da risultare imbarazzante da esaminare: il castello di menzogne messo in atto è sofisticato». Evidenziando l'azione «per un facile guadagno», la corte ha condannato il 64enne, il fulcro dell'azione, a 36 mesi di detenzione, di cui 6 da espiare (ovvero il periodo di carcerazione preventiva che ha già scontato). Per un 69enne svizzero, azionista e gerente di una della società che commerciava il vino, la pena è stata di 16 mesi sospesi per un periodo di prova di due anni. «Non disponeva di particolari conoscenze enologiche e con ogni verosimiglianza non era consapevole che il vino fosse fasullo – ha aggiunto il giudice –. Ma giocoforza, almeno dall'ottobre 2016, lo ha saputo perché nel corso dell'attività riceveva lamentele dai clienti».

Condannato il padre, prosciolto il figlio

Il 55enne cittadino italiano domiciliato nel Luganese che ha ammesso di essersi occupato del packaging è invece stato condannato a 24 mesi, sospesi per un periodo di prova di due anni. Nei suoi confronti la Corte ha applicato il caso di rigore e non ha quindi ordinato l'espulsione dalla Svizzera. «I reati commessi non sono stati un pericolo per l'ordine pubblico, e dopo i fatti non ha più interessato la giustizia». Il figlio 29enne è invece stato prosciolto. «Ha partecipato alle riunioni in cui si è discusso di vini falsificati per cui sapeva perfettamente di cosa si parlava. Ma la sua azione non ha avuto alcun effetto tangibile nell’operazione – ha detto il giudice –. Il suo è stato un tentativo di complicità che non è punibile».

Sei mesi da espiare

Discorso diverso per l'ultimo imputato, un 69enne svizzero che ha sempre negato la sua partecipazione alla truffa. Una tesi che non ha trovato d'accordo la Corte, che lo ha condannato a 2 anni e mezzo di detenzione, di cui 6 mesi da espiare. «Il fatto che sia pienamente coinvolto emerge in modo controvertibile dalle quattro 4 chiamate di correo». Chiamate, per Pagnamenta, «coerenti e avvenute mentre gli altri imputati erano in carcere ed esenti da collusioni». L'uomo «ha agito per puro fine di lucro, è stato uno dei promotori dell'azione ma ha cercato in ogni modo di sottrarsi ed è stato l'unico a non finire in carcere». Il giudice è tornato sulla richiesta di sospensione del procedimento sulla base del principio del ne bis ne idem sollevato a inizio dibattimento dall'avvocato Pasi. «I reati del procedimento italiano non sono gli stessi, non foss'altro per il carattere territoriale – ha spiegato –. Il fatto che il giudice italiano avrebbe stabilito che non era a conoscenza che il vino fosse contraffatto sulla base di documenti e atti utilizzati nel presente procedimento non è un'argomentazione rilevante».

Il vino finirà all'asta

Le decine di migliaia di bottiglie sotto sequestro non saranno distrutte. «La Corte – ha fatto sapere il giudice – si è attivata con il Cantone, ottenendo la conferma dal Dipartimento delle istituzioni che il vino verrà stoccato, rimbottigliato e messo all’asta attraverso bottiglie generiche che ne permetteranno la vendita». Il tutto, ha concluso Pagnamenta, «per non dovere smaltire decine di litri di vino comunque buono». Il ricavato della vendita sarà a favore del Cantone.

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