L’uomo, domiciliato nel Sopraceneri, avrebbe fatto parte di un ‘giro di truffa carosello’ per l’ammontare di circa 16,4 milioni di franchi
Appropriazione indebita e riciclaggio di denaro ripetuto e aggravato. Sono questi i capi d’accusa che hanno portato oggi in aula, dinanzi alla Corte delle Assise criminali di Lugano, un 39enne, domiciliato nel Sopraceneri. Le cifre: secondo la prima imputazione, l’uomo si sarebbe appropriato di 516mila franchi indebitamente, mentre per la seconda avrebbe fatto parte di un ‘giro di truffa carosello’ per l’ammontare di circa 16,4 milioni di franchi, riconducibili in parti diverse a due società dell’imputato. Somme, dunque, non indifferenti. «Non ci sono prove che ci siano state transazioni illegali – ha ribattuto l’avvocato difensore Gianluigi Della Santa –. Non c’è prova di reato». Prove che invece per l’accusa esistono e sulle quali è stata formulata una richiesta di pena di ventiquattro mesi sospesi condizionalmente per due anni dal procuratore pubblico Andrea Gianini.
L’uomo in un primo momento, a marzo 2018, avrebbe eseguito da Lugano e da altre imprecisate località ticinesi, senza essere autorizzato dal proprietario del conto con il quale aveva un rapporto di fiducia, due ordini di pagamento da parte della società dell’amico. Il totale dei due versamenti ammonta a 516mila franchi a favore di conti intestati entrambi a una Sagl sia in una banca svizzera sia in una bulgara. Questa, in estrema sintesi, la presunta impalcatura del reato di appropriazione indebita. L’imputato ha ammesso, sia in sede di inchiesta che in aula, di aver effettuato quelle operazioni finanziarie, affermando però durante l’interrogatorio della giudice Francesca Verda Chiocchetti che si è trattato di azioni condizionate dalla paura. «Un giorno quando ero in ufficio, si è presentato un conoscente dicendomi che il mio amico doveva dei soldi a certe persone e che se non avessi fatto come diceva (quindi eseguendo quelle transazioni, ndr) mi sarebbe successo qualcosa di brutto. Ho dunque temuto per la mia vita, pensando di essere in pericolo». «È strano – ha però ribattuto il pp durante la requisitoria – che l’imputato non abbia chiesto subito di parlare con il proprietario del conto, chiedendogli spiegazioni. Ed è strano che con l’uomo che l’ha minacciato ha continuato ad avere rapporti, senza averne dunque effettivamente paura».
Sempre nel 2017 e fino al 2018, secondo la pubblica accusa, il 39enne, come amministratore di due società svizzere, avrebbe permesso che consistenti somme di denaro transitassero sui conti di queste società. Nel dettaglio, dei 16,4 milioni ben 15,8 sono transitati da una Sa, e una minima parte (circa 450mila franchi) sono invece passati da una Sagl. Soldi che in comune avevano la destinazione: una Srl italiana, implicata in un’inchiesta per reati finanziari in Italia. Si tratta di una società di Brescia, in mano al conoscente che secondo la difesa avrebbe minacciato l’imputato, apparentemente attiva nella compravendita di rottami ferrosi. Attività questa, ha evidenziato Gianini, della quale non ci sarebbe traccia. Il denaro oggetto dell’accusa di riciclaggio, secondo la tesi accusatoria, sarebbe poi confluito in un giro di triangolazioni che dall’Italia, via Giappone e Hong Kong, lo avrebbe riportato probabilmente in Italia. Dal transito di questi soldi delle sue società svizzere l’imputato avrebbe guadagnato somme irrisorie rispetto al presunto giro illecito: circa 45’000 franchi.
Tutto è cominciato quando l’imputato ha conosciuto, nel 2013, il proprietario del conto da cui avrebbe attinto indebitamente e che è diventato per un breve periodo socio della Sa. Il rapporto tra i due è continuato senza intoppi fino a quel fatidico marzo del 2018, quando il 39enne avrebbe eseguito le transazioni di 516mila franchi. Ed è da lì che è partita la denuncia da parte del proprietario del conto ed è stata ordinata una rogatoria per esaminare il magazzino che sarebbe stato utilizzato come deposito di tutti quei rottami. «La polizia – ha indicato Gianini –, intervenuta in loco, affermava che era dal 2017 che in quel locale non c’erano movimenti. Non c’era niente. Ed è quindi sorto il dubbio sul fatto che l’uomo avesse ordinato veramente quei materiali ferrosi». L’uomo ha dunque denunciato il 39enne, disinteressandosi però al procedimento penale.
«Non è l’imputato – ha proseguito il pp – ad aver messo in piedi la frode fiscale. È una pedina, un soldato che è stato messo in mezzo perché necessitava soldi. Non voleva rompere il giocattolo, ed è diventato goloso. Lo dimostra il fatto che abbia voluto aprire la seconda società, cercando di essere il padrone di sé stesso. Ma gli altri (gli uomini dietro le minacce, ndr) non si fidavano abbastanza da renderlo partner del giro malavitoso». Per quanto riguarda il secondo capo d’accusa, ha concluso il procuratore pubblico «non ha fatto alcuna verifica sulla provenienza del denaro che entrava nelle sue società svizzere. Perché sapeva che da quell’attività avrebbe potuto ricavarci molto. Si tratta di riciclaggio per mestiere, perché percepiva uno stipendio grazie a quelle operazioni».
«Non c’è nessuno che reclama un franco, non c’è nessun accusatore privato – ha esordito l’arringa difensiva – e non c’è nessuna richiesta di risarcimento. In aula ci vogliono i fatti e qui di fatti non ce ne sono». Riguardo al primo capo d’accusa «ritengo si possa senz’altro applicare una semplice pena pecuniaria sospesa». Mentre sul secondo, l’imputato «non poteva inventarsi sospetti che nemmeno alle banche sono venuti, questo dolo eventuale non trova nessun riscontro nell’inchiesta. Manca la prova del reato. Sì, ci sono movimenti bancari voluminosi ma non sono assolutamente prova di reato. Non ci sono triangolazioni. Da questo capo d’accusa va evidentemente assolto».
Se sarà assolto o meno, spetta alla Corte, presieduta da Verda Chiocchetti decidere. La sentenza è prevista lunedì 5 dicembre.