Condannati i due imputati che avevano ottenuto illecitamente mezzo milione di franchi. Devono restituire tutto il denaro ricevuto
È stato confermato l’atto d’accusa allestito dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli. Amos Pagnamenta, presidente della Corte delle Assise criminali di Lugano, oggi in tarda mattinata, ha condannato entrambi gli imputati comparsi ieri in aula penale: il più anziano a 8 mesi di carcere sospesi con la condizionale per due anni, il 66enne a una pena di 16 mesi di detenzione sospesi con la condizionale per due anni. Entrambi non saranno espulsi dalla Svizzera, ma dovranno rimborsare il mezzo di milione di franchi di credito Covid ottenuto, la quota di un terzo a carico de 68enne, mentre i 2/3 della somma li deve restituire il 66enne. Prima di pronunciare la sentenza, il giudice ha spiegato che in questo procedimento, le difese hanno potuto esercitare i propri diritti, per cui non ci sono motivi per accogliere la questione formale posta dall’avvocato Luigi Mattei, che ha evocato la violazione del principio accusatorio, siccome, a suo dire, quanto riportato nell’atto d’accusa non corrisponderebbe alle imputazioni prospettate dalla procuratrice.
A incastrare i due imputati, le loro stesse dichiarazioni riportate in aula e durante l’inchiesta penale: il fatto di aver utilizzato i soldi ricevuti, sotto forma di crediti concessi a causa del Covid e del Lockdown, per sviluppare l’azienda e non per far fronte alle spese correnti. Solo questo aspetto è sufficiente per decretare un uso non conforme del denaro che, come prevede la legge e la relativa ordinanza federale, era destinato alle società in crisi di liquidità. Un uso non conforme, ha spiegato il giudice, che configura il reato di truffa, nei confronti di entrambi gli imputati. Entrambi hanno infatti ingannato l’autorità, con la semplice compilazione del formulario di richiesta del credito da parte dell’imputato più anziano che si è fatto convincere dall’altro a formulare la richiesta, siccome era una ‘conditio sine qua non’ per la cessione dell’azienda. Un credito ottenuto a condizioni nettamente migliori rispetto a quanto avrebbero ottenuto da un istituto bancario. Sarebbe invece stata una ‘semplice’ contravvenzione nel caso avessero cambiato idea su come spendere i soldi ricevuti dopo aver ottenuto il credito. La corte ha accertato che i soldi sono stati ricevuti ma sono stati spesi per sistemare una fattura rimasta in sospeso.
Il fatto che i due imputati abbiano sottaciuto le trattative in corso nella richiesta dei crediti Covid non ha decisamente favorito la loro posizione. Vero che non esiste un obbligo giuridico di segnalare la futura cessione dell’azienda nel formulario di richiesta di accesso ai crediti Covid, tuttavia la prospettata acquisizione era condizionata all’ottenimento del mezzo milione di franchi. Insomma, le obiezioni avanzate dai due avvocati difensori non hanno fatto breccia nella corte. Le operazioni ordinarie, effettuate con i soldi ottenuti, sono comprovate dalle carte e sono state messe in atto per garantire la sopravvivenza della ditta, ma questo aspetto non è bastato per giungere al proscioglimento dei due imputati come richiesto dagli avvocati Roy Bay e Luigi Mattei, che hanno invocato la conformità dell’utilizzo del mezzo milione di franchi ottenuto attraverso crediti agevolati.
Non ha nemmeno convinto la Corte il tentativo di smontare l’impostazione accusatoria, espressa dal legale dell’imputato più giovane. Anzi. Dal profilo soggettivo, il 66enne è stato ritenuto l’imputato con la colpa più grave, perché ha agito manifestando egoismo e, parlando di crediti Covid come un diritto e come un’opportunità di espansione della società, ha violato lo stretto rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, come ha messo in evidenza Pagnamenta. Un rapporto che ha consentito al Paese di uscire meglio di altri dalla pandemia e di mettere in salvo numerose attività economiche. La corte ha come detto condannato entrambi gli imputati ma ha inflitto loro condanne più miti rispetto alle richieste formulate dalla pp. Ambedue sono stati ritenuti colpevoli anche del reato di falsità in documenti.