Luganese

Truffa transoceanica da 20 milioni. ‘Fui il capro espiatorio’

Chiesti 6 anni di carcere ed espulsione per un avvocato che operava a Paradiso, accusato d’aver raggirato tre facoltosi clienti americani e canadesi

Vittime adescate con la promessa di laute eredità
(Ti-Press)
2 giugno 2022
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Una truffa da 20 milioni. È l’imputazione da capogiro della quale deve rispondere un avvocato italiano di 48 anni, arrestato lo scorso 11 ottobre, approdato in aula oggi davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano composta dagli assessori giurati. Operava in un tutt’uno tra studio legale e abitazione a Paradiso e uno studio a Manno. Vittime, tra il 2015 e il 2020, tre facoltosi clienti americani e canadesi, finiti nella rete "agganciati via email o telefonicamente grazie a un raffinato meccanismo di menzogne e documentazione falsa da parte di fittizi istituti fiduciari e banche che comunicavano loro di essere i beneficiari di importanti eredità", recita l’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, che ha chiesto per l’imputato 6 anni di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per 10 anni. L’avvocato di difesa, Michele Rusca, ammette eventualmente soltanto un ruolo di complice del suo assistito a partire unicamente dal luglio 2017, quando in effetti il 48enne scoprì di essere finito in un giro truffaldino e ciononostante di avervi partecipato «per reggere il gioco e perché minacciato».

Truffatore o vittima suo malgrado di un’organizzazione criminale? O, ancora, parziale complice? Sono i quesiti che dovranno sciogliere i giudici, che hanno annunciato la sentenza per martedì prossimo, 7 giugno. Incensurato, finito due volte in carcere in Italia nel 2014 e nel 2015 per procedimenti tuttora aperti, l’imputato si è detto estraneo ai raggiri. Nell’atto d’accusa – questa la particolarità del processo, che sfiora l’incredibile – compare anche un misterioso "Signor Rossi" – uno solo dei nomi con cui si sarebbe presentato nel 2013 all’imputato – latitante e ricercato e considerato correo dell’avvocato 48enne dalla pubblica accusa che gli muove lo stesso reato: truffa compiuta per mestiere. Se il "Signor Rossi", che per adescare le vittime si sarebbe fatto accompagnare da un sedicente nipote del presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, aveva avvicinato le vittime, convincendole a farsi consegnare complessivamente 20 milioni; l’imputato aveva invece quale ruolo quello di mettere a disposizione delle vittime delle sue società "dormienti", a prezzi esorbitanti – per sé ha complessivamente intascato 800mila franchi – convincendole che queste erano indispensabili per il trasferimento degli ingenti patrimoni. Cosicché le vittime, che volevano ottenere le fantomatiche eredità, nell’arco di cinque anni hanno girato complessivamente 20 milioni, effettivamente giunti a Lugano, ma l’inchiesta è riuscita anche a tracciarne la sparizione: sarebbero infatti stati spesi dall’organizzazione criminale.

Il 48enne ha contestato energicamente le imputazioni. «Ogni volta che incontravo i clienti, mi raccontavano talora di eredità, altre volte di soldi depositati in banca, altre ancora d’investimenti in nero. Erano sempre tante storie alle quali io non credevo. Intuivo che c’erano dei patti tra i clienti e il signor Rossi». Lei dunque gestiva società di cui non sapeva nulla? – ha chiesto il giudice Amos Pagnamenta. «Io ero solo un amministratore di facciata» ha risposto l’imputato. Perché continuava con veemenza a sollecitare le somme di denaro, nonostante avesse capito che dietro c’era una truffa?, ha chiesto ancora il presidente della Corte. «I clienti erano liberi di rescindere i contratti e cambiare amministratore».
Il 48enne è pure accusato – ma lui nega – di aver compiuto ripetute truffe sui crediti Covid nel 2020, raggirando l’ordinanza federale per complessivi 200mila franchi. Nei formulari di richiesta degli aiuti promossi per lo stato di crisi dovuto alla pandemia, l’imputato è sospettato di aver gonfiato le cifre d’affari e dunque di aver falsificato i documenti.

La difesa: semmai un parziale complice costretto per minacce

La procuratrice pubblica, Chiara Borelli, nella sua requisitoria ha esordito: «L’atto d’accusa, mi rendo conto, può sembrare un romanzo, ma non vincerà un premio letterario perché è una triste realtà. Più persone tra i 2015 e il 2020, si intersecano, tra cui un "Signor Rossi", personaggio inventato, dalle tinte fosche, facilitatore, un incaricato per progetti speciali. Ma l’imputato sapeva chi fosse il signor Rossi. S’inventa una storia l’imputato, ottimo affabulatore, una volta parla di fondi in nero, altre di eredità, ma è entrato in una organizzazione criminale» ha sottolineato il magistrato.

L’avvocato Andrea Gamba, rappresentante degli accusatori privati, ha illustrato il meccanismo dei contratti falsi.«Ai facoltosi clienti è stato fatto loro credere che dovevano acquistare società in Svizzera con particolari caratteristiche, in cui compiere versamenti. Società completamente vuote vendute a prezzi esorbitanti: per due di queste una delle vittime ha pagato ben 1,5 milioni, per cui gli si faceva credere un millantato "mantello giuridico"».

L’avvocato d’ufficio, Michele Rusca, ha contestato che il suo assistito, almeno fino al 2017, conoscesse la volontà truffaldina dei suoi sodali, in primis del misterioso signor Rossi, persona dalle tante identità, colui che è riuscito a ottenere il versamento dei 20 milioni. Il 48enne – ha evidenziato la difesa – gestiva le società che oltretutto erano dichiarate al fisco. «Anche il mio cliente è stato vittima della truffa e, dopo l’estate 2017, una volta saputo del raggiro, è stato costretto a continuarla». Prima di questa data, a mente della difesa, va dunque prosciolto dalla truffa e successivamente ha un ruolo unicamente di complicità e non di correità. L’imputato, al termine del processo, ha presentato un memoriale in tre faldoni per sostanziare la sua innocenza: «Sono stato un capro espiatorio. Mai ho mentito e mai ho presentato persone inesistenti».