Luganese

Oltre 19 chili di eroina, 10 anni e mezzo di prigione

Processato a Rivera un componente della banda albanese che riforniva all'ingrosso la Svizzera

Ti-press
29 maggio 2020
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Le auto imbottite di 'panetti' di eroina correvano in autostrada senza limiti nè frontiere, viaggi incessanti fra Albania,  Italia, Austria, Germania e infine la Svizzera. Dove continua a esserci un florido mercato di consumatori tossicodipendenti. La banda degli albanesi ha imperversato sulle strade d'Europa con qualche passo falso, uno dei quali, nel 2017 a Muzzano. Un fermo, e il sequestro di 5 chili di ero. Quella che segue è una storia al microscopio, degna di 'Csi': tracce di Dna che spuntano ovunque, su pacchetti di droga, banconote, fascette. Dati che si incrociano. Emergono chiare le tracce di un 41enne albanese, infine fermato a Vienna. È  lui l'uomo processato oggi dalle Assise criminali di Lugano, presiedute dal giudice Amos Pagnamenta, che lo hanno condannato a 10 anni e 6 mesi di carcere e a un'espulsione per 15 anni dalla Svizzera. L'atto d'accusa della procuratrice pubblica Pamela Pedretti è stato confermato integralmente.

L'imputato è stato ritenuto un membro della banda che ha trafficato almeno 19 chili di ero, quantitativo che raramente si incontra nei processi ticinesi, ha ricordato la pp. Il Ticino come crocevia, in realtà, dal momento che la distribuzione al dettaglio della droga si è svolta essenzialmente nelle città della Svizzera interna, partendo da un deposito mimetizzato in una officina a St.Gallenkapell, nei pressi di San Gallo.

Il 41enne ha negato fino all'ultimo. Si dice residente tra Germania e Albania Di professione, si definisce 'manager'. Di cosa? La gestione di un albergo di famiglia, ma anche corriere di pizze, titolare di un'officina di personalizzazioni di moto. A insospettire il giudice Amos Pagnamento, fin dalle prime battute dell'udienza (svoltasi presso la PCi di Rivera a causa delle norme anti-covid19) alcune discrepanze riguardo il reddito che l'imputato e sua moglie avrebbero percepito grazie alle diverse atività, ovvero la differenza tra quanto dichiarato in sede d'inchiesta e quanto invece affermato in aula. Altre incongruenze sono state registrate nel racconto riguardante i familiari; la figlia ad esempio non si troverebbe in Germania ma in Albania.

In mancanza della 'pistola fumante' il destino del 42enne si è giocato sulla pista di tracce che ha lasciato. Un gioco di incastri, da cui ha cercato di tirarsi fuori. "Non so come sia potuto arrivare il mio Dna sui questi pacchetti. Non ho la minima idea di come sia stato possibile". Già condannato a due riprese per vicende simili, ha detto:  "Ho cambiato completamente la mia vita, non ho più avuto niente a che fare con la droga. È stato un caso se mi sono trovato due volte in macchina con delle persone".

La procuratrice pubblica Pamela Pedretti nella sua requisitoria ha elencato i gravi indizi a carico, indizi soprattutto trovati al laboratorio siccome nessuno degli altri membri di questa banda ha mai fatto il suo nome. Nome che però non era nuovo alla giustizia lucernese, dove nel 2017 era stato assolto dall'accusa di traffico di stupefacenti ma condannato per riciclaggio di denaro e possesso illegale di armi. Collegamenti diretti e indiretti emblematici insomma. Nel 2010 in Italia per 5 chili di eroina trovati in auto era invece condannato 4 anni. Precedenti che hanno chiaramente pesato sulla valutazione degli indizi, peraltro assai concreti "Solo chi ha confezionato l'eroina può aver lasciato il Dna sui panetti, anche sul lato interno del nastro adesivo". ha detto la pp chiedendo una pena di 12 anni, parzialmente aggiuntiva alla parte della condanna lucernese che non era stata espiata.

La teoria di una possibile contaminazione casuale da Dna è stata la linea difensiva dell'avvocato Michele Barchi, che per il suo assistito ha chiesto l'assoluzione. "Vi sono pubblicazioni scientifiche secondo cui la percezione che la prova del Dna sia infallibile, è semplicemente un mito. Basta una cellula o una squama di forfora perché sia possibile trovare la traccia biologica di una persona (innocente) sulla scena del crimine". Un Dna 'volatile' e trasmissibile che non necessariamente può comprovare l'effettivo contatto di una persona con un oggetto. L'imputato sarebbe stato inchiodato da queste 'tracce miste', magari trasportate di mano in mano, insufficienti cioè, secondo il l legale, a provare l'effettivo 'maneggio' di soldi e droga.

Tuttavia secondo la Corte l'insieme degli indizi, la scarsa credibilità dell'imputato che non ha saputo dare spiegazioni vagamente plausibili riguardo alle tracce lasciate su tre panetti di 'ero, forniscono una convinzione di colpevolezza che va oltre ogni ragionevole dubbio.  All'imputato, in cella dallo scorso 25 novembre, resta la carta di un possibile ricorso in appello.