La Corte – che ha criticato l'inchiesta – ha riconosciuto l'imputato colpevole di aver spacciato mezzo chilo: 30 mesi di pena, di cui 18 sospesi
Sì, ha spacciato cocaina e no, non ne ha smerciata così tanta come ipotizzato dall'accusa. Si è concluso con una condanna il processo al 30enne accusato di aver venduto importanti quantità di polvere bianca a un paio di consumatori – e rivenditori al dettaglio – locali, tutti già precedentemente condannati. Trattandosi di un processo indiziario, la Corte delle Assise criminali, presieduta da Marco Villa, ha dovuto ponderare gli elementi messi a confronto fra le parti, giungendo alla conclusione che le testimonianze rilasciate dagli ex acquirenti sono sufficientemente credibili per ritenere l'imputato colpevole. Perciò, è stato condannato a trenta mesi, diciotto dei quali sospesi condizionalmente per due anni.
Testimone chiave è stata ritenuta la 43enne presunta ex amante dell'uomo – un serbo residente nel Luganese –, che è stata «categorica e lineare» nel dire che lui è stato il suo fornitore. «È vero che gli altri due accusatori (il 31enne compagno della 43enne e un'amica comune, ndr) inizialmente hanno parlato di fornitori – ha ammesso il presidente –, ma alla fine si sono entrambi associati alle posizioni della 43enne». Non sono per contro stati riconosciuti i quantitativi – 1,9 chili – dichiarati dai tre e ipotizzati dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri.
Villa a tal proposito ha infatti criticato il pp: «In una situazione (di dubbio, ndr) come questa, si sarebbe dovuto fare un verbale di confronto sulle quantità davanti al pp e non solo in polizia, a maggior ragione se le risposte date all'avvocato della difesa (Nadir Guglielmoni, che ha sollevato la problematica, ndr) da parte della donna sono state insufficienti. La Corte non condivide questo modo di procedere». L'accusatrice principale è stata ritenuta poco credibile per i quantitativi, che sono stati così ridotti da 1,9 a mezzo chilo. Il giudice ha tuttavia stigmatizzato anche l'atteggiamento processuale dell'imputato: «Il diritto di non rispondere è sacrosanto, ma se lo si utilizza e se in più si cambiano più volte le proprie versioni, non si può pretendere di risultare credibili».
Una volta terminata la carcerazione – il 30enne si trova dietro le sbarre da ottobre 2019 –, il condannato sarà anche espulso. Non per dieci anni come chiedeva l'accusa, ma per sette. «Secondo la Corte non si tratta di un caso di rigore (che avrebbe permesso ai giudici di consentirgli di restare in Svizzera, ndr). È vero che qui vivono sua moglie e sua figlia (di 5 anni, ndr), ma prevale l'interesse pubblico di allontanare uno spacciatore rispetto ai legami privati».