Giovane curdo-iracheno, autore di un'aggressione a Locarno, ha scontato il carcere e racconta la sua rinascita, in attesa della decisione del Tf
Come una goccia di pioggia che si ferma per aria, che non riesce a cadere a terra come tutte le altre. La sua è una vita in sospensione in attesa che qualcosa si smuova. Non ha più il permesso di soggiorno come rifugiato; un permesso che aveva dal 2009, da quando era arrivato in Ticino dall’Iraq con la sua famiglia di etnia curda, in fuga dalla guerra. L’unico suo documento è una sorta di “lasciapassare”: un semplice foglio di carta che limita i suoi spostamenti e che non gli permette di aprire un conto corrente e neppure di ottenere un abbonamento del telefono.
Una situazione all’interno della quale cerca di districarsi come meglio può e aiutato dalla forza di volontà dei suoi 21 anni. Ha un impiego nell’amministrazione di una struttura sanitaria e vive nel suo appartamento di due locali. Frequenta i suoi amici di una vita e da alcuni mesi porta avanti una relazione affettiva con una ragazza.
Un’esistenza che pare normale vista da fuori, ma che non lo è. Su di lui pende una spada di Damocle. Nel 2022 era stato condannato, assieme a suo fratello, per aggressione e lesioni semplici nei confronti di un 18enne. Un episodio avvenuto nella Rotonda di Locarno, che aveva suscitato clamore. La pena: 26 mesi di carcere (più altri 4 mesi per un precedente reato, commesso quando ancora era minorenne). Il giudice di allora aveva anche sentenziato l’espulsione per dieci anni dal suolo svizzero e da quello europeo. Un’espulsione impugnata di fronte alla Corte d’appello e reclami penali (Carp) che l’aveva confermata, dimezzando tuttavia il periodo a cinque anni. Il giovane, con la sua avvocata Immacolata Iglio Rezzonico, ha infine deciso di rivolgersi al Tribunale federale per far valere i suoi diritti. Quest’ultima istanza non si è ancora pronunciata.
«Sono in Ticino da quando avevo sei anni. Ho commesso degli errori e ho scontato il carcere. Sto seguendo una terapia che mi aiuta a gestire la mia vita e a reagire in modo corretto agli ostacoli che mi si presentano davanti. In Iraq, invece, non c’è nulla per me: non parlo l’arabo e verrei discriminato e perseguitato sia dagli iracheni sia dai turchi perché sono di etnia curda. Vorrei davvero poter restare qui, dove c’è la mia ragazza, dove ci sono i miei amici e dove lavoro e vivo». L’impiego in ufficio, nel settore dell’amministrazione, è un praticantato che gli permette di avanzare dal punto di vista della formazione: «Ho un buon rapporto con colleghi e superiori: mi hanno già lasciato intendere che alla fine del tirocinio verrò assunto e ciò, evidentemente, non può che farmi piacere e darmi speranza».
Abbiamo incontrato il 21enne a Bellinzona. È posato e tranquillo, ma non rassegnato. Nel suo sguardo si legge la sincerità di chi non ha intenzione di mentire nemmeno a se stesso. È schietto nel raccontarsi. Come già aveva fatto di fronte alla Carp, parla della sua infanzia, della fuga dalla guerra con i genitori, del suo arrivo in Ticino quando aveva cinque anni e delle botte che riceveva in casa dal padre. A 13 anni è stato tolto dalla sua famiglia, passando in diversi istituti, a Mendrisio, Bellinzona e poi in un foyer a Lugano. È in quel periodo adolescenziale che ha iniziato a cucirsi addosso una corazza difensiva, con reazioni in alcuni casi eccessive. «Un istinto che ho imparato a controllare grazie a un lungo percorso psicoterapeutico, che sto ancora seguendo. Ho imparato ad avere pazienza e a gestire in modo corretto le situazioni problematiche. L’aggressività è sempre una risposta sbagliata».
Lo scorso mese di giugno è uscito dal carcere. Due mesi dopo alcuni media hanno gridato allo scandalo, poiché il giovane e suo fratello erano stati visti in un bar nonostante l’ipotesi “espulsione”. Un sensazionalismo cavalcato dal consigliere agli Stati Udc Marco Chiesa. Il suo messaggio: due persone che devono lasciare la Svizzera non possono essere in giro a ballare e a fare festa per Bellinzona. E ancora: “Mi chiedo quanti altri delinquenti ci siano in Svizzera in questo limbo. Non lascerò cadere il caso”.
Esternazioni alle quali controbatte l’avvocata Iglio Rezzonico specificando che una volta uscite dal carcere, perché espiata la pena, «le persone non sono più, e nemmeno devono essere più, considerate delinquenti. L’espulsione è una pena in più che gli stranieri devono subire per il solo fatto di essere stranieri, anche se cresciuti nel nostro Paese. Ciò in spregio alla nostra Costituzione e in particolare all’articolo 8 che disciplina l’uguaglianza giuridica, cioè l’essere uguali davanti alla legge, indipendentemente dalle proprie origini. Costituzione e norme che il consigliere agli Stati dovrebbe conoscere».
La stessa avvocata spiega la situazione del suo assistito e punta sulla cancellazione di un’espulsione ritenuta non proporzionata, «in quanto il percorso di riabilitazione è stato svolto con successo. Non vi è quindi pericolo di recidiva e il mio assistito è maggiormente radicato nel nostro territorio, che non in Iraq dove andrebbe a vivere una vita non dignitosa e pericolosa».
Iglio Rezzonico, specialista della migrazione, si esprime pure su un volo speciale, partito recentemente dall’aeroporto di Zurigo in direzione Baghdad, per estradare alcune persone dalla Svizzera. Tra di loro anche il fratello minore del giovane intervistato. Pubblichiamo in questa stessa edizione l'intervento dell'avvocata.