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La più grande truffa Covid in Ticino ritorna in aula

Un 63enne e un 50enne in prima istanza sono stati ritenuti colpevoli di truffa e falsità in documenti, per essersi intascati un milione e mezzo

Per la quarta volta in aula
(Ti-Press)
27 agosto 2024
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Uno dei più grossi casi in Svizzera, nonché il più grosso in Ticino, di truffa legata ai crediti Covid torna in aula. Dopo un primo procedimento alla Corte di appello e di revisione penale (Carp) nel dicembre 2021 e un successivo rinvio avvenuto il mese scorso, causa assenza dei due imputati, questa volta di fronte alla Carp presieduta da Giovanna Roggero Will, si è presentato solo il 63enne considerato, dal procuratore pubblico Daniele Galliano «la mente del raggiro». L’imprenditore 50enne, ha presentato tramite il suo avvocato Costantino Castelli un certificato medico che lo ha esentato dal presentarsi quest’oggi a Giubiasco.

In prima istanza di fronte alla Corte delle Assise criminali di Lugano, i due uomini, entrambi italiani residenti uno nel Luganese e l’altro nel Mendrisiotto all’epoca dei fatti, erano stati condannati per ripetuta truffa e falsità in documenti a una pena di 3 anni e 4 mesi a carico del 50enne e, rispettivamente, 4 anni per il 63enne. In primo grado erano stati ambedue espulsi, ma successivamente questa decisione è stata revocata nei confronti del più giovane. Durante il periodo pandemico i due imputati avevano ingannato lo Stato incassando, attraverso le loro società luganesi, 1,5 milioni di franchi nell’ambito della richiesta di crediti previsti dalla Confederazione per la pandemia.

Un imputato ha ancora legami con la Svizzera

Il 63enne ha dichiarato che si trova in Calabria dove intende lavorare fino alla sua pensione: «Sono cosciente che la pena a mio carico potrebbe essere maggiore rispetto a quella in prima istanza. Se così fosse rischio di perdere il lavoro, di non potermi più reinserire nel mondo del lavoro data l’età e di non poter beneficiare della pensione in Italia nei prossimi anni». Castelli, riguardo alla situazione del suo assistito, ha sottolineato che ha lasciato il Ticino, ma risiede comunque in Svizzera: «Ha un permesso B, ma il Dss però gli impedisce di praticare la sua professione nel nostro territorio, dunque ora lavora in Italia».

‘Una situazione non limpida e chiara’

Per il pp la situazione presentata dai due imputati «ancora oggi appare non limpida. L’impressione è che non abbiano dato un taglio netto con il passato». I fatti «sono da considerare gravissimi perché nel periodo pandemico gli imputati hanno agito egoisticamente e con abilità in maniera ripetuta mentre lo Stato era in difficoltà». Per questi motivi il pp ha chiesto che la pena nei confronti del 63enne sia di 5 anni «per permettere una giurisprudenza» e 4 anni per il 50enne a cui va aggiunta l’espulsione dalla Svizzera per 8 anni dato che «Non ha esitato un attimo ad allestire delle fatture folli per giustificare i soldi usciti». In prima istanza era emersa una fattura da 200mila franchi per un intervento dentario al ‘socio’ 63enne.

‘Non c’è il rischio di recidiva’

Le disposizioni a seguito della pandemia non sono più in vigore. Un fattore importante per l’avvocato del 63enne Davide Fagetti: «La pandemia è finita e dunque non ci sarebbe più il rischio di recidiva». Inoltre, il suo difeso «quando è uscito dal carcere ha subito cercato di reinserirsi professionalmente. Bisogna anche tenere in considerazione che nei mesi in carcere si è comportato in maniera ineccepibile. Se la Corte dovesse valutare una pena maggiore, si chiede dunque che sia convertita in una pena sospesa perché altrimenti rischierebbe di perdere il lavoro».

Neanche per Castelli un prolungamento della pena porterebbe dei vantaggi nei confronti del suo assistito: «Sarebbe deleterio il suo ritorno in prigione dato che sta cercando di uscire da questa situazione che lo ha pesantemente aggravato». Riguardo all’espulsione paventata dal pp, l’avvocato ha invece affermato che «è da tenere in considerazione che il credito Covid non era una prestazione sociale nel quale in quest’ambito rientra il caso dell’espulsione obbligatoria. Questi crediti vanno rimborsati e dunque va valutata l’espulsione facoltativa. Il mio assistito non è un pericolo per la sicurezza pubblica». Pertanto anche lui chiede che non venga prolungata la pena già scontata e pronunciata l’espulsione anche perché per il legale non ci sarebbe il reato di truffa perché «il credito in questione non è mai stato utilizzato». La sentenza verrà inviata alle parti nelle prossime settimane.

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