laR+ Vallemaggia

‘Qui c'erano 80mila trote, ora ne restano meno di 400’

Grave moria di animali col nubifragio; danni ingenti alla piscicoltura di Bignasco, con la produzione ittica cancellata. L'habitat del fiume compromesso

In sintesi:
  • La furia delle acque è stata così imponente da aver portato diverse carcasse di mucche e cavalli fino al Lago Maggiore
  • Il recupero dell'ammoniaca della pista di ghiaccio di Prato Sornico ha scongiurato la catastrofe ambientale
Dove c’erano le vasche ora... solo fango
(laRegione )
11 luglio 2024
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L’alluvione che ha devastato l’alta Vallemaggia ha causato anche morte e distruzione nel regno animale. Mucche e cavalli da allevamento che non è stato possibile salvare sono morti annegati nell’acqua che ha ricoperto campi e stalle (alcune carcasse sono state addirittura recuperate nelle acque del lago, trascinati a valle per decine e decine di chilometri) e pure la fauna selvatica ha pagato un prezzo alto. Non è sicuramente andata meglio all’ecosistema fluviale, visto che i pesci, quando non scaraventati addirittura fuori dai corsi d’acqua in piena hanno dovuto fare i conti con giornate di acque torbide e il limo in grandi quantità, per le loro branchie, significa morte certa. In aggiunta a ciò, spiegano funzionari del Dipartimento del territorio, v’è da calcolare che fiumi e torrenti in piena si sono portati via automobili, trattori, macchinari da lavoro di vario genere con tutto il carburante e i liquidi in essi contenuti, accanto a rifiuti non biodegradabili di ogni genere.

‘Fango e piena hanno ucciso quasi tutti i pesci’

Solo una settimana fa, nelle vasche della piscicoltura di Bignasco, nuotavano tranquille le trote. Ma ora, dopo il passaggio del nubifragio nell’Alta Vallemaggia, negli ‘acquari’ c’è solo il fango e le carcasse di tanti giovani pesci. «Abbiamo provato in ogni modo a salvarli, non c’è stato però purtroppo nulla da fare. La furia della corrente mista a melma e detriti li ha dapprima storditi e poi soffocati». Sono queste le prime parole che Bruno Donati, presidente della Società valmaggese di pesca, nonché gestore insieme al fratello della piscicoltura di Bignasco, rilascia a ‘laRegione’, mentre ci accompagna a vedere quel che resta della struttura. A separare lo stabilimento dal fiume Bavona (che da lì a qualche metro si congiunge con la Maggia) un muro e delle reti di ferro, che poco hanno potuto fare però per domare la furia dell’acqua in buzza. «Quel sabato sera il fiume è fuoriuscito dai propri argini nel giro di poche ore. Adesso voi vedete 40-50 centimetri di fango che si sta essiccando, ma dovete immaginare che settimana scorsa l’acqua qua arrivava a un metro e mezzo di altezza. Ha frantumato i vetri delle finestre e rotto la porta della struttura dove tenevamo gli incubatori. La stanza era completamente a soqquadro», ci spiega il nostro interlocutore. Oltre alle vasche, parzialmente distrutte anche le tubature, le pompe e il canale da cui veniva prelevata l’acqua di fiume e poi trasferita nelle piscine. Quest’ultimo in particolare è pieno, per tutta la sua lunghezza, di sabbia e legno. Non si può quindi, per il momento, immettere altra acqua – per i pesci ma anche per pulire la struttura – nello stabilimento. Le pompe, utilizzate per il deflusso delle acque, avrebbero forse potuto salvare l’allevamento ma, senza elettricità – assenza perdurata per quasi tutta la giornata di domenica – non è stato possibile attivarle.

La società è molto importante per la salvaguardia e la tutela dell’ecosistema ittico – già precario e delicato – nella regione. Infatti in Vallemaggia, a causa dei cambiamenti di clima e dello sfruttamento delle sue acque, ha visto la sua fauna compromessa. Molti degli esemplari presenti nella piscicoltura sarebbero poi serviti a ripopolare i laghetti alpini, ma questo non sarà possibile. «Nello stabilimento avevamo circa 80mila individui, suddivisi fra pesci piccoli – che si trovavano negli incubatoi –, medi e riproduttori. Di questi si sono salvati solo 400 trote circa. È stata una catastrofe. Settimana prossima arriveranno alcuni volontari del Cantone ad aiutarci a rimuovere tutto lo sporco. Ci vorrà tanto tempo prima che qui si ritorni alla normalità», afferma l’intervistato. Non se la passano meglio i pesci che vivono allo stato brado. «Mi hanno detto che a Cevio, così come in Lavizzara sono stati trovati pesci morti nei boschi. Questo succede perché quando il fiume è in piena cercano riparo nelle sue estremità. Con il ritirarsi delle acque però i pesci restano intrappolati in pozze che, prosciugandosi, li condannano – racconta Donati che prosegue –. Il volto e il corso del fiume sono completamente cambiati; c’è stato un deposito importante di inerti. Tutto ciò non è un bene per la fauna ittica. Ci vorranno anni prima che si ristabilisca e rigeneri».

Il recupero dell’ammoniaca della pista

È invece stato possibile evitare il peggio con l’ammoniaca utilizzata per la creazione del ghiaccio artificiale (tubazioni e serpentine che corrono sotto la pista e mantengono la temperatura) alla disastrata pista di ghiaccio di Prato Sornico. In pratica, ci è stato riferito, non vi è stata alcuna fuoriuscita e l’ammoniaca stoccata nella sala macchine dell’impianto sportivo ha potuto essere eliminata grazie all’intervento di uno specialista dalla Germania e ad apparecchiature da oltre Gottardo. I circa 3’000 kg di ammoniaca presenti, che logicamente non potevano essere portati via tramite autocisterna, sono stati – su consiglio dell’esperto – bruciati direttamente sul posto. Bruciati senza provocare ovviamente polveri inquinanti. Un lavoro che ha richiesto tre giorni e che si è concluso senza particolari intoppi.