Grave moria di animali col nubifragio; danni ingenti alla piscicoltura di Bignasco, con la produzione ittica cancellata. L'habitat del fiume compromesso
L’alluvione che ha devastato l’alta Vallemaggia ha causato anche morte e distruzione nel regno animale. Mucche e cavalli da allevamento che non è stato possibile salvare sono morti annegati nell’acqua che ha ricoperto campi e stalle (alcune carcasse sono state addirittura recuperate nelle acque del lago, trascinati a valle per decine e decine di chilometri) e pure la fauna selvatica ha pagato un prezzo alto. Non è sicuramente andata meglio all’ecosistema fluviale, visto che i pesci, quando non scaraventati addirittura fuori dai corsi d’acqua in piena hanno dovuto fare i conti con giornate di acque torbide e il limo in grandi quantità, per le loro branchie, significa morte certa. In aggiunta a ciò, spiegano funzionari del Dipartimento del territorio, v’è da calcolare che fiumi e torrenti in piena si sono portati via automobili, trattori, macchinari da lavoro di vario genere con tutto il carburante e i liquidi in essi contenuti, accanto a rifiuti non biodegradabili di ogni genere.
Solo una settimana fa, nelle vasche della piscicoltura di Bignasco, nuotavano tranquille le trote. Ma ora, dopo il passaggio del nubifragio nell’Alta Vallemaggia, negli ‘acquari’ c’è solo il fango e le carcasse di tanti giovani pesci. «Abbiamo provato in ogni modo a salvarli, non c’è stato però purtroppo nulla da fare. La furia della corrente mista a melma e detriti li ha dapprima storditi e poi soffocati». Sono queste le prime parole che Bruno Donati, presidente della Società valmaggese di pesca, nonché gestore insieme al fratello della piscicoltura di Bignasco, rilascia a ‘laRegione’, mentre ci accompagna a vedere quel che resta della struttura. A separare lo stabilimento dal fiume Bavona (che da lì a qualche metro si congiunge con la Maggia) un muro e delle reti di ferro, che poco hanno potuto fare però per domare la furia dell’acqua in buzza. «Quel sabato sera il fiume è fuoriuscito dai propri argini nel giro di poche ore. Adesso voi vedete 40-50 centimetri di fango che si sta essiccando, ma dovete immaginare che settimana scorsa l’acqua qua arrivava a un metro e mezzo di altezza. Ha frantumato i vetri delle finestre e rotto la porta della struttura dove tenevamo gli incubatori. La stanza era completamente a soqquadro», ci spiega il nostro interlocutore. Oltre alle vasche, parzialmente distrutte anche le tubature, le pompe e il canale da cui veniva prelevata l’acqua di fiume e poi trasferita nelle piscine. Quest’ultimo in particolare è pieno, per tutta la sua lunghezza, di sabbia e legno. Non si può quindi, per il momento, immettere altra acqua – per i pesci ma anche per pulire la struttura – nello stabilimento. Le pompe, utilizzate per il deflusso delle acque, avrebbero forse potuto salvare l’allevamento ma, senza elettricità – assenza perdurata per quasi tutta la giornata di domenica – non è stato possibile attivarle.
La società è molto importante per la salvaguardia e la tutela dell’ecosistema ittico – già precario e delicato – nella regione. Infatti in Vallemaggia, a causa dei cambiamenti di clima e dello sfruttamento delle sue acque, ha visto la sua fauna compromessa. Molti degli esemplari presenti nella piscicoltura sarebbero poi serviti a ripopolare i laghetti alpini, ma questo non sarà possibile. «Nello stabilimento avevamo circa 80mila individui, suddivisi fra pesci piccoli – che si trovavano negli incubatoi –, medi e riproduttori. Di questi si sono salvati solo 400 trote circa. È stata una catastrofe. Settimana prossima arriveranno alcuni volontari del Cantone ad aiutarci a rimuovere tutto lo sporco. Ci vorrà tanto tempo prima che qui si ritorni alla normalità», afferma l’intervistato. Non se la passano meglio i pesci che vivono allo stato brado. «Mi hanno detto che a Cevio, così come in Lavizzara sono stati trovati pesci morti nei boschi. Questo succede perché quando il fiume è in piena cercano riparo nelle sue estremità. Con il ritirarsi delle acque però i pesci restano intrappolati in pozze che, prosciugandosi, li condannano – racconta Donati che prosegue –. Il volto e il corso del fiume sono completamente cambiati; c’è stato un deposito importante di inerti. Tutto ciò non è un bene per la fauna ittica. Ci vorranno anni prima che si ristabilisca e rigeneri».
È invece stato possibile evitare il peggio con l’ammoniaca utilizzata per la creazione del ghiaccio artificiale (tubazioni e serpentine che corrono sotto la pista e mantengono la temperatura) alla disastrata pista di ghiaccio di Prato Sornico. In pratica, ci è stato riferito, non vi è stata alcuna fuoriuscita e l’ammoniaca stoccata nella sala macchine dell’impianto sportivo ha potuto essere eliminata grazie all’intervento di uno specialista dalla Germania e ad apparecchiature da oltre Gottardo. I circa 3’000 kg di ammoniaca presenti, che logicamente non potevano essere portati via tramite autocisterna, sono stati – su consiglio dell’esperto – bruciati direttamente sul posto. Bruciati senza provocare ovviamente polveri inquinanti. Un lavoro che ha richiesto tre giorni e che si è concluso senza particolari intoppi.