Preoccupa la strategia della Clinica Varini, che prevede a medio termine la dismissione della casa medicalizzata Lispi per invalidi adulti
“Dopo quasi due anni di trasferimenti da un ospedale all’altro, qui ci siamo finalmente sentiti a casa. Nostro figlio, un giovane di 22 anni in coma irreversibile dopo un incidente sul lavoro e due arresti cardiaci, ora riesce a sorriderci. Grazie allo staff, che si è preso cura di lui con amore e dedizione, ha trovato la sua stabilità”.
“Da quanto mia sorella è stata ricoverata nel reparto foyer grandi invalidi della Clinica Varini, grazie al supporto medico, infermieristico, terapeutico e riabilitativo di tutto il personale, abbiamo potuto notare dei grandi miglioramenti rispetto a quando era ricoverata altrove”.
“Mia moglie, epilettica fin dall’adolescenza, dagli anni 90 soffre di frequenti crisi di depressione che condizionano la sua vita. Dal 2006 è in sedia a rotelle. È stata ricoverata in diverse strutture prima di entrare al foyer grandi invalidi della Clinica Varini. Il personale è molto preparato e attento alle situazioni personali di ogni ospite, buona parte dei quali necessitano di un’assistenza continua. Particolare attenzione viene data al rapporto con le famiglie, coinvolte nelle attività proposte. Questo è un luogo in cui ogni ospite trova un supporto di qualità, con competenze specifiche per ogni sua necessità”.
Non ci aveva messo molto, Sonja, mamma del ragazzo di 22 anni, a raccogliere le testimonianze sull’importanza del foyer per grandi invalidi della Clinica Varini per tutti i 10 ospiti e i loro familiari. Sono dichiarazioni che nascono dal sollievo per una condizione di stabilità raggiunta dopo molti momenti di disperazione, disorientamento, di paura per la qualità di vita dei loro cari e per il loro futuro. Futuro che con la prospettata chiusura del foyer, richiesta dalla Clinica Varini al Cantone, rinunciando allo specifico mandato di prestazione, si ammanta di incertezza e angoscia.
La volontà di rinunciare a due dei quattro mandati di prestazione assunti dalla Clinica Varini era stata anticipata a ‘laRegione’ dal presidente del Consiglio di Fondazione del nosocomio di Orselina, Giorgio Pellanda, in un’intervista apparsa il 13 marzo 2024. Pellanda traduceva i contenuti di un documento sull’orientamento strategico della Clinica, presentato alcuni mesi prima ai diversi uffici del Dss. Confermando enormi difficoltà finanziarie (perdite cumulate per 3,3 milioni di franchi), l’ex direttore generale dell’Eoc al nostro giornale aveva parlato di «fattori strutturali negativi, in particolare quelli pianificatori cantonali che hanno sconvolto l’equilibrio finanziario della Clinica». Anche a causa dell’incapacità della precedente Direzione di trovare (o anche solo cercare) soluzioni o contromisure, avevano pagato gli impiegati, licenziati a decine.
Ma non poteva bastare: considerati «gli oneri finanziari, i contributi cantonali che da tempo non coprono più i costi della Clinica», nonché i provvedimenti di riequilibrio finanziario del Cantone per il ’24 e il ’25, CdF e nuova Direzione (affidata a Martin Hilfiker) aveva iniziato a ragionare su un riorientamento del nosocomio, comunicando appunto al Cantone «l’intenzione di ridurre, nel medio termine, il numero dei mandati attualmente gestiti, con la volontà di rafforzare le attività nei settori Rami e anziani». Ne derivava in automatico la volontà di dismettere, secondo modalità ovviamente ancora da definire, il foyer per adulti grandi invalidi (o casa medicalizzata in base alla Legge sull’integrazione sociale e professionale degli invalidi, Lispi). Parliamo di un luogo comunitario, in cui i problemi di uno sono quelli di tutti, l’impegno nelle cure e nell’accudimento è condiviso, e ogni progresso – ancorché piccolo, se tale può essere definito il tenue sorriso di un ragazzo in coma irreversibile come reazione a una carezza – vissuto come un successo collettivo. Le condizioni di degenza per invalidi gravi come quelli ospitati alla Varini sono il frutto di un lavoro di adattamento che riguarda e coinvolge tutti, ospiti e familiari. In questo lavoro ci sono le reciproche frequentazioni quotidiane, la conoscenza delle esigenze di ognuno degli ospiti e delle aspettative dei loro cari, oltre alla professionalità e all’empatia dei curanti, con i servizi da loro assicurati.
Servizi che per altro, nel tempo, sono stati tagliati. Parliamo della musicoterapia, dell’ergoterapia e, soprattutto, della stimolazione basale, considerata una risorsa straordinaria sia dal personale curante, sia dai familiari degli ospiti: «Consiste nel prevenire deformazioni corporee (come spasticità) e aiuta a ricostruire la percezione del proprio corpo, quando a causa di gravi malattie o incidenti con danni neurologici essa è andata persa – dice la parente di un ospite –. Mio figlio, che non poteva neppure sedere in carrozzina a causa della sua rigidità, e che non dormiva la notte a causa dei dolori, grazie a quei trattamenti è letteralmente rinato. E altri ospiti ne hanno beneficiato in egual misura. Eppure, è stata considerata soltanto un costo e per questo eliminata».
Il foyer conta attualmente 7 infermieri (di cui diversi a tempo parziale), 1 operatrice sociosanitaria, 6 assistenti di cura e alcuni stagisti, che però finiranno il loro periodo di tirocinio a luglio. Il contingente è insufficiente, se consideriamo ad esempio che – come fatto rilevare a ‘laRegione’ da alcuni parenti degli ospiti – durante alcuni turni, in reparto è presente una sola infermiera per 10 residenti gravi. «I curanti si fanno letteralmente in quattro – spiega un altro familiare – e il loro appoggio è fondamentale. Solo noi che frequentiamo giornalmente il foyer possiamo capire fino a che punto i tagli al personale stanno mettendo sotto pressione chi è rimasto. L’idea poi che il foyer possa venire addirittura chiuso ci ha tolto il sonno. Dove andranno i nostri congiunti? Chi si prenderà cura di loro con la stessa capacità che qui è maturata nei mesi e negli anni? E come faremo noi per stare al loro fianco? Se io sto nel Locarnese posso organizzarmi e rimanere in clinica per diverse ore al giorno. Ma se vi fosse un trasferimento nel Sottoceneri, o, peggio, in Svizzera interna, sarebbe una tragedia per tutti, ospiti e familiari!».
Pur con l’impegno di un passaggio da gestire «in modo graduale, in accordo con i servizi cantonali e tenuto conto dell’esigenza di ricollocare i servizi che verrebbero dismessi e la relativa utenza», così come garantito a suo tempo dal presidente del Consiglio di Fondazione Giorgio Pellanda, la paura si è dunque abbattuta sui familiari degli ospiti, già confrontati con situazioni di grande fragilità e bisognosi, più di ogni altra cosa, di stabilità.
Della questione abbiamo parlato con la Direzione del nosocomio, che conferma innanzitutto come «l’orientamento strategico della Clinica Fondazione Varini va verso una diminuzione e semplificazione degli attuali quattro mandati».
Direttore Martin Hilfiker, in che modo i provvedimenti cantonali influiscono su questa decisione?
Il nuovo orientamento strategico non è strettamente legato ai provvedimenti di risparmio preannunciati dal Cantone. Va sottolineato che la Clinica Fondazione Varini negli ultimi anni ha generato perdite d’esercizio, legate a maggiori prestazioni e spese effettuate rispetto ai finanziamenti riconosciuti con i contratti di prestazione.
Come ci anticipava il suo presidente Pellanda, la richiesta al Cantone di rinunciare al foyer è già stata inoltrata. Qual è l’iter e quale la presumibile tempistica affinché questa intenzione diventi realtà (nella migliore e nella peggiore delle ipotesi)?
Sono in corso approfondimenti con l’Ufficio degli Invalidi, con cui si stanno valutando possibili scenari. Non sono ancora state prese delle decisioni, pertanto non è possibile stabilire delle tempistiche, che non saranno comunque brevi.
La preoccupazione fra i familiari degli ospiti è molto grande, perché Orselina è l’unico foyer del Sopraceneri attrezzato per rispondere alle esigenze dei loro cari. Sostengono che anziché cessare l’attività, essa andrebbe ampliata. Come rispondete?
La disponibilità di posti letto fa parte di una chiara pianificazione cantonale; questi vengono assegnati dal Cantone sulla base di un mandato di prestazione che stabilisce i dettagli del finanziamento. Il benessere dei nostri ospiti ci sta a cuore e siamo consapevoli delle preoccupazioni dei familiari, che sto incontrando per fornire loro le necessarie rassicurazioni. Ad oggi non sono state prese decisioni, che comunque andranno condivise con l’Ufficio Invalidi, con cui abbiamo da sempre un ottimo rapporto di collaborazione.
In che modo avete considerato queste preoccupazioni dal profilo umano? Non ritenete che un trasloco forzato per i 10 ospiti attuali possa rivelarsi oltremodo oneroso da sopportare, per molti validi motivi?
Siamo coscienti del fatto che un tale cambiamento comporterebbe un aggravio per gli ospiti e le loro famiglie. Ogni caso andrà considerato singolarmente e condiviso con le famiglie, con le migliori alternative possibili.
Il presidente Pellanda ha affermato che l’impegno della clinica è di gestire in modo graduale il passaggio verso la chiusura. Considerando che in Ticino non vi sono altri foyer che possano garantire dei posti a chi dovrà lasciare la vostra clinica, come pensate di poter anche solo lenire le sofferenze degli ospiti e le legittime preoccupazioni dei loro familiari?
Principalmente con un dialogo sempre aperto con le famiglie e i nostri partner.
Ci risulta che già oggi l’occupazione nel foyer sia insufficiente rispetto alle esigenze. L’altro giorno, ad esempio, dell’intero contingente a vostra disposizione (7 infermieri, 1 OSS, 6 assistenti di cura e alcuni stagisti) soltanto un’infermiera lavorava durante il turno giornaliero, tanto da dover saltare il pasto. Inoltre, abbiamo saputo che sono già stati tagliati servizi molto importanti come la stimolazione basale (che sarebbe all’origine di grossi miglioramenti delle qualità di vita dei residenti), l’ergoterapia e la musicoterapia. Perché sono stati tolti questi servizi? Ciò significa che già con i tagli operati in clinica negli scorsi mesi si è iniziato a indebolire anche un servizio così delicato, apprezzato e unico in Ticino per qualità delle cure?
Confermo il contingente, in linea con quanto previsto dal Contratto di prestazione. Può talvolta capitare che per esigenze di reparto del tutto imprevedibili, la collaboratrice o il collaboratore non possa fare la pausa breve. Si tratta comunque di situazioni eccezionali, e non mi sono stati riferiti casi specifici. Abbiamo deciso di non erogare più alcuni servizi, come ad esempio la stimolazione basale, che negli anni ha rappresentato un’offerta importante della nostra Clinica. Il servizio, il cui costo non è più sopportabile, veniva offerto gratuitamente agli ospiti.
Cosa è uscito dall’incontro che avete avuto di recente con il Cantone riguardo alla rinuncia del mandato di prestazione per il foyer?
Al momento non sono state prese decisioni in merito e sono in corso degli approfondimenti. Mi preme sottolineare che un’eventuale chiusura non avverrà dalla sera alla mattina perché, come detto, andranno trovate le migliori soluzioni possibili per ogni singolo caso.