Locarnese

‘Una persona malata con un piano bislacco, non un killer’

È la tesi della difesa del sangallese che nel 2021 a Solduno sparò all’ex fidanzata, che per l’uomo chiede una pena massima di 8 anni (2 già scontati)

(Ti-Press)
29 novembre 2023
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Non un killer, ma una persona malata. Non un piano diabolico, ma bislacco. È questa la tesi portata avanti dalla difesa nel processo al giovane sangallese che il 21 ottobre 2021 aveva lasciato in fin di vita, sparandole con un fucile, l’ex compagna ticinese. Reato per il quale è accusato di tentato assassinio, a cui si aggiungono, tra le altre cose, accuse quali sequestro di persona ed esposizione a pericolo della vita altrui, tanto da indurre il procuratore pubblico a chiedere per lui una pena detentiva di 17 anni. Contestando proprio l’accusa più grave (subordinatamente il tentato omicidio) e parlando quale colpa maggiore di lesioni corporali gravi, a nome dell’imputato il suo legale, Luca Guidicelli, ha invece chiesto una pena non superiore agli 8 anni (a cui vanno tolti i due già passati in carcere), da scontare in una struttura psichiatrica nella quale poter seguire una misura terapeutica stazionaria.

‘Nessun indizio porta alla conclusione che volesse ucciderla’

«Senza sminuire quanto compiuto l’imputato, si tratta di azioni di un povero malato mentale di cui la società deve prendersi cura – ha esordito Guidicelli –. Piani, idee e gesti strampalati di un giovane problematico, che è arrivato a combinare un pasticcio con conseguenze molto gravi, certo, ma nessun indizio porta alla conclusione che fosse lì per uccidere. No, per quanto possa sembrare strano alle persone sane di mente, lui era davvero convinto di andare in Ticino per parlare con la sua ex compagna. E questa è una chiara manifestazione delle gravi patologie psichiatriche di cui soffre l’imputato».

Patologie derivanti anche, ha ricordato l’avvocato, dalla «lunga, triste, difficile e malata vita» del giovane – sin da piccolo ospitato regolarmente in strutture psichiatriche e rimasto traumatizzato dal suicidio del patrigno – e confermate da due diverse perizie psichiatriche, nelle quali si parla di «grave disturbo della personalita di tipo misto, sindrome depressiva ricorrente e sindrome da disadattamento con disturbo misto delle emozioni e della condotta», tanto da riconoscergli una lieve scemata imputabilità. Per Guidicelli quindi il giovane confederato era «in parte incapace di intendere» e non si rendeva conto che «il suo piano “bislacco”, come lo ha definito persino il perito, non aveva nessuna possibilità di avere successo. Già perché è di questo che si è trattato, di un piano bislacco di un ragazzo malato e paranoico che si immaginava di poter parlare con la sua ragazza e non certo di un elaborato piano di un efferato killer».

‘Sarebbe bastato il fucile. E se davvero è un killer, perché li ha risparmiati?’

«D’altronde, se così fosse stato – ha proseguito il legale –, mi chiedo perché portarsi con lui tutto quell’arsenale, in fondo sarebbe bastato il fucile. E perché, se davvero voleva uccidere, non ha finito la vittima con un secondo colpo e non è tornato su a fare lo stesso con il ragazzo? Perché, ripeto, non è un assassino e non si è comportato come tale, ma come un ragazzo che ha capito di aver commesso un errore e non ha voluto peggiorare la situazione».

Infine, Guidicelli ha fatto notare come l'iniziale atteggiamento di chiusura del suo assistito durante gli interrogatori era legato alla non traduzione dei documenti «da parte del precedente avvocato» e che «non è vero che non ha preso coscienza delle sue azioni: si è più volte scusato, anche in quest'aula».

Scuse, alle vittime e alle loro famiglie, rinnovate in chiusura di dibattimento dal giovane sangallese («se potessi tornare indietro e cambiare quanto ho fatto lo farei»), che lunedì alle 17.30, quando è prevista la sentenza, conoscerà il suo futuro.

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