Nel terzo giorno del processo per il fatto di sangue del 2021 hanno parlato gli accusatori privati che hanno evocato il femminicidio avvenuto in Veneto
«Parlare della colpa dell’accusato significa parlare anche della sofferenza delle vittime».
A prendere la parola per primo nel terzo giorno di processo al giovane sangallese che il 21 ottobre 2021 aveva lasciato in fin di vita, sparandole con un fucile, l’ex compagna ticinese – reato per il quale è accusato di tentato assassinio, a cui si aggiungono, tra le altre cose, accuse quali sequestro di persona ed esposizione a pericolo della vita altrui, tanto da indurre il procuratore pubblico a chiedere 17 anni di detenzione –, è stato l’avvocato Carlo Borradori, patrocinatore dell’allora (e attuale) compagno della ticinese, pure lui vittima delle scellerate azioni dell’imputato.
«Siamo di fronte a una storia gonfia di odio, manipolazione e totale mancanza di empatia verso chi si ha di fronte, ma siamo di fronte anche a uno spiraglio di luce – ha dichiarato Borradori –. Ce la danno le vittime, il mio assistito e la sua compagna, due persone che sono riuscite a non farsi schiacciare da un assurdo quanto comprensibile senso di colpa reciproco. Invece, si sono sorretti l’un l’altra e hanno saputo reagire».
Tornando a quanto capitato la sera del fatto di sangue, l’avvocato si è detto d’accordo con il procuratore pubblico che «il punto di rottura è stato quando la ragazza ha spruzzato lo spray al pepe in faccia all’imputato ed è scappata, ma anche a quel punto lui non si è fermato e ha portato avanti il suo piano maledetto, nel quale suo malgrado anche il mio assistito era un protagonista e non una semplice comparsa. Ha temuto di perdere la propria vita e quella della sua compagna e soffre ancora oggi per questo».
Riguardo al 23enne ticinese – per il quale ha chiesto un risarcimento per torto morale di 10mila franchi –, l’avvocato ha sottolineato come «era combattuto, non sapeva se presenziare o meno in aula durante il processo, ma dando prova di coraggio e dignità ha deciso di esserci. Per elaborare quanto capitato guardando negli occhi colui che ha fatto tanto male a lui e alla sua compagna, ma anche quale gesto di protezione nei confronti di quest’ultima. Prima di quel giorno, era un giovane lavoratore pieno di vita, ora tutto è più complicato, ma a differenza dell’accusato, lui è pronto a farsi aiutare per andare avanti».
Sull’imputato, ha invece affermato che «tutto ciò che ha detto dopo il suo arresto, è stato solo a sua discolpa, per cui non è possibile credere a quello che lui dice, come che era andato lì solo per parlare, che il colpo è partito per sbaglio, che ha pensato a chiamare i soccorsi. I fatti parlano da soli: si è trattato di una spedizione punitiva, basta guardare la preparazione e gli oggetti che aveva con sé per capirlo (oltre al fucile, caricato a pallettoni, manette, un coltello, nastro adesivo, soda caustica e molto altro, ndr). Tutto ciò che aveva nel suo borsone era per fare male, anzi per uccidere e per cancellare in seguito le tracce dei suoi misfatti. Anche in seguito, durante il processo, si è dimostrato freddo, calcolatore. E per i suoi problemi, da narcisista quale è, non ha la minima intenzione di farsi curare».
A parlare è poi stata Manuela Fertile, rappresentante legale della ticinese, oggi 24enne… «La mia assistita non chiede vendetta, ma giustizia, che significa condannare l’imputato alla massima pena prevista per i reati che ha commesso, in primis il tentato assassinio – ha dichiarato l’avvocata –. È scampata per un soffio alla morte per mano di un uomo che non ha accettato che lei mettesse fine a una relazione tossica e che ritrovasse la sua libertà. E ha voluto ucciderla. Sotto le spoglie del finto innamorato, ha avuto un comportamento che è stato un miscuglio di cinismo e crudeltà, non l’amava, voleva dominarla. Un copione purtroppo noto, lo stesso di tutti i femminicidi, non da ultimo quello di Giulia Cecchettin. L’ha umiliata per sottometterla al suo volere e ha annientato la sua capacità di prendere qualsiasi decisione, l’ha isolata e ha usato violenza, fino a farle perdere ogni rispetto di se stessa. L’imputato è un manipolatore sadico e violento, di una violenza che prima ti uccide dentro e poi fuori».
Una «dinamica perversa» dalla quale la ticinese ha provato a uscire con l’aiuto della famiglia, grazie alla quale ha iniziato un percorso per tornare a vedere la luce. Percorso interrotto bruscamente la sera del 21 ottobre… «Quando l’imputato ha capito che l’aveva persa, si è scatenata l’ira dello stesso, come d’altronde lei e la sua famiglia si aspettavano. È un uomo intelligente, ma di un’intelligenza criminale che gli ha permesso di programmare il suo piano per ammazzarla, mettendolo poi in pratica con lucidità e freddezza. Non ha mai confessato di volerlo fare, ma non abbiamo bisogno che lo faccia, è già tutto molto chiaro. Al suo posto hanno confessato gli oggetti ritrovati, le prove raccolte, le testimonianze di tutte le persone sentite. Non ci sono dubbi, attenuanti o giustificazioni: è sempre stato e sarà anche in futuro un uomo pericoloso».
Tornando alla sua assistita, Fertile ha sottolineato come «ha subito indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, è scampata alla morte per un soffio, ha cicatrici che non spariranno facilmente e soffre di stress post-traumatico per il quale sarà in cura ancora a lungo», chiedendo per lei un risarcimento, tra torto materiale e morale, di 69mila franchi.