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Se scarseggiano i candidati nella Bellinzona dei quartieri

Il politologo: ‘Chi s’impegna in politica è sempre più esposto a strumentalizzazioni e attacchi. Ciò può scoraggiare chi vorrebbe mettersi a disposizione’

In sintesi:
  • Oggi taluni partiti della Bellinzona aggregata sembrano aver tirato parzialmente i remi in barca
  • Il caso di ex Comuni come Giubiasco, Camorino, Sementina, Monte Carasso e Claro
Il politologo Andrea Pilotti, docente e ricercatore all’Università di Losanna
(Ti-Press)
6 aprile 2024
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Dove un tempo non troppo lontano la sfida elettorale sul piano locale era combattuta fino all’ultima scheda, oggi taluni partiti della Bellinzona aggregata sembrano aver tirato parzialmente i remi in barca. In ex Comuni come Giubiasco, Camorino, Sementina, Monte Carasso e Claro – quelli che costituiscono la corona forte della nuova città nata nel 2017 – scarseggiano i candidati al Consiglio comunale. Basti pensare che solo l’Unità di sinistra presenta una lista completa di 60 nomi per 60 seggi disponibili a Palazzo Civico, 59 il Plr, 54 la Lega/Udc, 42 il Centro, uno in meno del redivivo Noce e solo 9 in più della nuova formazione ‘Avanti con Ticino&Lavoro e Più donne’. Atteggiamento qui e là rinunciatario passato non inosservato agli elettori che sfogliando in questi giorni il materiale di voto vogliono capire quale candidato di quale partito sostenere nel proprio quartiere. Quartieri di cui le sezioni politiche evidenziano nei loro programmi unicità, vivibilità e importanza (il Centro azzarda addirittura un ‘Bellinzona è i suoi quartieri’) in un contesto di periferia che merita un ruolo di primo piano – stando ai volantini distribuiti a tutti i fuochi – nella capitale del Ticino lanciata verso il futuro.

Qualche cifra, per cominciare

Talune cifre, riferite ai candidati al Consiglio comunale, l’organo preposto a rappresentare la popolazione tutta, parlano invece di un disimpegno localmente abbastanza marcato e anche sorprendente. Ecco alcuni esempi, partendo dalle località dove la percentuale di candidati è inferiore a quella dei domiciliati. Preonzo, periferia nord: qui prima della fusione il Municipio era monocolore con cinque esponenti Plr su cinque, oggi i candidati al Cc sono solo tre (di cui due liberali-radicali) su un totale di 330; ossia lo 0,9% mentre la popolazione domiciliata rappresenta l’1,47% dei quasi 46mila abitanti aggregati. Sottotono anche Claro che ha il 6,36% di candidati (nessuno del Centro) e il 7,19% di domiciliati.

A Monte Carasso, dove il Ppd/Centro dominava e tutt’oggi primeggia ma corre con solo quattro nomi, i candidati al Cc sono 14 ma potrebbero essere una ventina visto che le due percentuali sono rispettivamente il 4,25 e il 6,7 (in teoria manca all’appello un terzo di candidati). Anche a Sementina la proporzione candidati/popolazione parla di 6,4% contro 7,5%; Sementina di marcata fede Plr dove però l’Unità di sinistra scavalca i liberali-radicali con sei candidati contro cinque. Idem a Gorduno, dove Centro e Sinistra con i loro tre candidati ciascuno superano il Plr rimasto a uno. Sinistra che a Gudo, pur avendo avuto l’ultimo sindaco socialista seppure in un Municipio privo di suddivisioni partitiche, non presenta oggi alcun candidato; idem il Centro pur avendo dominato in passato con un sindacato durato parecchie legislature.

Sull’altra sponda del fiume Ticino, nel già azzurro Camorino (anche qui percentuale di candidati del 4,85% inferiore al quella dei domiciliati pari al 6,1%) il Centro presenta solo tre candidati, tanti quanti il Plr e Avanti con Ticino&Lavoro e Più donne; zero la sinistra. Nella roccaforte liberale-radicale di Giubiasco (18,5% contro il 20,4%) gli undici candidati Plr sono gli stessi del Centro e addirittura meno dei tredici di Lega/Udc. Stessa situazione nel liberale Pianezzo dove si conta un solo candidato Plr e ben tre Lega/Udc. Un’ultima anomalia riguarda la vecchia Bellinzona che con 154 candidati fa la parte del leone (46,7% contro il 42,7% di popolazione) ma il Noce con 25 candidati supera il Plr fermo a 22 e Lega/Udc con 18. Abbiamo sottoposto il quadro generale al politologo Andrea Pilotti, docente e ricercatore all’Università di Losanna.

Professor Pilotti, quale impressione le suscitano di primo acchito queste cifre?

Si tratta solo in parte di cifre sorprendenti. Il dato più rilevante è sicuramente quello che certifica l’incapacità di quasi tutti i principali partiti a completare le liste per il Consiglio comunale. Stupisce in particolare il Centro, con un numero di candidature particolarmente al di sotto delle 60 previste. Questa difficoltà, comunque, la si osserva in tutte le città ticinesi. Quanto alla rappresentatività delle candidature in relazione al loro quartiere di domicilio, la situazione solleva qualche interrogativo soprattutto per i quartieri di Monte Carasso e Giubiasco. In questi ultimi, lo ‘scarto’ tra il loro peso demografico e la presenza di candidati originari dei medesimi quartieri appare più significativo. Per quanto riguarda invece gli altri quartieri, una differenza attorno o inferiore al punto percentuale può ritenersi fisiologicamente accettabile. Bisogna infatti considerare che, pur essendo un obiettivo da perseguire idealmente, una rappresentatività perfetta non può esistere. Personalmente, presterei altrettanta attenzione anche al profilo socioprofessionale delle candidature dove spesso la differenza in termini di rappresentatività risulta molto più importante e problematica.

Condivide l’opinione, abbastanza diffusa, secondo cui l’aggregazione finisce per diminuire, sul piano locale, l’interesse per la cosa pubblica in un contesto allargato?

Può apparire una spiegazione plausibile, ma un semplice riscontro permette di relativizzarla. Infatti la difficoltà di completare delle liste la si trova anche in due realtà cittadine che, a differenza di Lugano, Mendrisio e Bellinzona, non hanno conosciuto aggregazioni. A Locarno, a non presentare una lista completa per il Consiglio comunale sono stati Plr, Centro e Lega/Udc, mentre a Chiasso a non esservi riuscite sono state addirittura tutte le principali forze politiche. È importante comunque precisare che la spiegazione di un accresciuto disinteresse per la cosa pubblica è piuttosto riconducibile a un insieme di fattori che esulano dall’aggregazione. Infatti, da diversi anni assistiamo in Ticino, come in altre realtà cantonali, a un problema crescente nel reclutamento del personale politico cosiddetto di ‘milizia’.

Un esempio Gudo, dove l’ultima legislatura nel 2012 combaciò con l’elezione tacita di Municipio e Consiglio comunale monoblocco privi di gruppi politici, talmente grande era la difficoltà delle sezioni locali a coinvolgere persone disposte a candidarsi sotto una bandiera politica. Ma questa è solo una parte del problema, giusto?

In effetti l’Associazione svizzera dei comuni aveva dichiarato il 2019 come l’anno del lavoro di milizia, allo scopo di rafforzare e svilupparne le basi. Questa presa di consapevolezza avvenne anche in un contesto caratterizzato da centinaia di dimissioni di eletti ed elette, soprattutto nei municipi, di numerosi comuni elvetici. Tra le principali ragioni addotte, due emersero in modo particolare. Da un lato, la difficoltà vieppiù crescente di conciliare impegno politico con impegni professionali e familiari, anche perché i dossier da discutere e approvare diventano più tecnici e complessi. Dall’altro, un sempre più diffuso mancato riconoscimento da parte della cittadinanza del lavoro, molto spesso logorante, profuso da chi siede nei diversi consessi elettivi. In altre parole, chi si impegna in politica è sempre più esposto ad attacchi e strumentalizzazioni. Ciò può quindi scoraggiare più di una persona a presentare la propria candidatura. È uno degli effetti più deleteri dell’antipolitica in cui spesso si perde la capacità di un dialogo sano e costruttivo, dando invece troppo spazio alla provocazione e a una comunicazione non di rado offensiva. Rispetto a queste due evoluzioni, il Ticino non fa eccezione e questo, a mio parere, contribuisce a fornire una spiegazione un po’ più esauriente di un minore interesse a impegnarsi per la gestione della cosa pubblica.

Eppure candidati e sezioni, a parole, è proprio sui quartieri che puntano nelle loro campagne elettorali. Questo non dovrebbe incentivare gli abitanti dei quartieri a sentirsi coinvolti e interessati?

È vero che sembra talvolta esserci una dissonanza tra taluni proclami e la realtà. Nel caso di Bellinzona vi è tuttavia un ulteriore aspetto, direttamente riconducibile all’aggregazione, che potrebbe spiegare la difficoltà nel reclutare le candidature anche in maniera perfettamente rappresentativa del peso demografico dei quartieri. I dati statistici evidenziano infatti che, in termini di mobilità residenziale, la nuova Bellinzona, vanta un’attrattiva importante che ha portato e sta portando una quota di nuovi abitanti. Possiamo quindi ipotizzare che questi ultimi, dato il loro recente insediamento nella nuova realtà cittadina, tendano a dimostrarsi più riluttanti a candidarsi per le elezioni di una città e un territorio che devono ancora imparare a conoscere.

Tornando all’opinione secondo cui nella nuova Bellinzona vi sarebbe un minore interesse per la politica comunale, può dirci se questa idea è presente anche in altre realtà che hanno affrontato un processo aggregativo simile? Oppure vi sono altre tendenze, o esempi cui ispirarsi?

Nelle due altre realtà urbane che hanno conosciuto ben prima di Bellinzona uno o più processi aggregativi, ovverosia Lugano e Mendrisio, ritroviamo per certi aspetti delle critiche simili. Da politologo devo però riconoscere che non disponiamo d’informazioni davvero esaustive e aggiornate per poterlo stabilire con certezza. Si tratta di giudizi ancora troppo soggettivi, seppure possano avere un loro fondamento. Allo stesso tempo, giova ricordare i risultati di due studi condotti dall’Osservatorio della vita politica regionale nel 2009 e nel 2012 sulla città di Lugano: emergeva come la quota di cittadini che si dichiaravano abbastanza o molto interessati alla politica comunale fosse rimasta stabile e piuttosto elevata rispetto al periodo precedente le aggregazioni.

Che peso ha la lista senza intestazione in questo processo di disaffezione di taluni partiti verso i loro territori di ‘dominio storico’?

Il ricorso crescente alla lista senza intestazione è per certi aspetti la cartina di tornasole della difficoltà dei partiti storici (Plr, Ppd/Centro, Ps) a fidelizzare i rispettivi elettorati. Questa difficoltà la si riscontra più in generale nell’insieme dei paesi occidentali ed è riconducibile alla cosiddetta crisi delle ideologie. Quest’ultima si traduce, in particolare, nell’indebolimento dell’elettorato d’appartenenza e nella crescita di quello d’opinione, meno propenso a identificarsi in maniera duratura con un partito. Da questo punto di vista la realtà ticinese non fa eccezione. A questo dato, si aggiunga anche l’accresciuta mobilità degli individui che rappresenta una sfida ulteriore per i partiti. Infatti, nel passato non di rado le persone nascevano, vivevano e talvolta lavoravano nello stesso comune, ciò che facilitava l’espressione di un voto comunitario che si traduceva spesso nella presenza di veri e propri bastioni elettorali.

In definitiva, quale scenario preconizza fra dieci o vent’anni nella capitale del Ticino che sta mutando pelle?

In diversi contesti, politica compresa, abbiamo imparato che i mutamenti possono talvolta essere repentini e molto imprevedibili anche nel breve termine. Anticipare quindi possibili scenari fra dieci o più anni risulta un esercizio impegnativo. In ogni caso, sulla base di quanto osservato in altre realtà urbane svizzere, credo che taluni progetti della Città di Bellinzona, ad esempio in relazione allo sviluppo del polo biomedico e del nuovo quartiere Officine, potranno favorire l’arrivo di nuovi cittadini con profili ed esigenze diverse. Questo rappresenterà una nuova sfida per la politica comunale che sarà chiamata a dare risposte anche in termini di politiche pubbliche.