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‘Le Ferrovie chiedano già ora il certificato antimafia’

Inchiesta Ceneri, ’ndrangheta e Gruppo Rossi: l’agire delle Ffs ‘soddisfa abbastanza’ il consigliere nazionale Romano, che però si attende ‘più coraggio’

Il deputato del Centro si batte affinché vengano stretti i bulloni nei confronti delle imprese estere sospettate di legami con le organizzazioni criminali
(Ti-Press)
15 marzo 2023
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«Noto con piacere che le Ffs stanno prendendo un po’ di coraggio. Ma sarebbe opportuno che facessero già adesso, autonomamente, un passo in più». È abbastanza soddisfatto il consigliere nazionale Marco Romano nel leggere (cfr. ‘laRegione’ del 3 marzo) che le Ferrovie federali svizzere hanno alzato le antenne sul Gruppo Rossi di Roma. I cui due fratelli ai vertici – uno dei quali è titolare a Bellinzona di una succursale della controllata Generale Costruzioni Ferroviarie Spa – sono indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano nell’ambito di una vasta inchiesta su subappalti in odor di ’ndrangheta per la manutenzione della rete ferroviaria nel nord Italia. Gruppo Rossi che in Svizzera deve fare i conti anche con l’inchiesta penale ticinese partita dalle denunce presentate nel 2019 da dodici operai impiegati dal consorzio Mons Ceneris (di cui la Gcf faceva parte) nella posa della tecnica ferroviaria dentro il tunnel ferroviario del Ceneri. A Milano come a Lugano sullo sfondo vi sono, fra le altre, accuse di sfruttamento della manodopera. Gcf che a sua volta nel 2015 – e qui arriviamo al punto – in vista della conclusione del grande cantiere del Ceneri aveva ottenuto dalle Ffs un contratto quadro per lavori di manutenzione. Commessa pubblica decennale di due milioni l’anno dal 2016 a fine 2025.

Il postulato anticorruzione

Dal canto suo, il consigliere nazionale dell’Alleanza di Centro l’anno scorso ha presentato a Berna un postulato volto a incrementare la lotta contro la corruzione negli appalti pubblici. Postulato che in presenza di gare d’appalto di una certa rilevanza gestite da Confederazione, Cantoni e aziende del parastato come le Ffs, chiede alle imprese con sede in Italia, o società sorelle in Svizzera, qualora interessate a ottenere gli ambiti incarichi elvetici, di presentare il certificato antimafia rilasciato dalle prefetture della Penisola. Lo stesso certificato che lo Stato italiano e le sue aziende parastatali esigono per poter ammettere quelle medesime ditte alle gare d’appalto.

‘Offerenti escluse se condannate e se danneggiano le Ffs’

A interpellare ancora recentemente il Consiglio federale è stato l’altro consigliere nazionale ticinese del Centro, Fabio Regazzi, che partendo dalle due inchieste penali ha chiesto cosa intenda fare Berna per evitare che nell’ambito delle grandi opere pubbliche elvetiche si attribuiscano appalti a imprese estere di dubbia reputazione, sebbene non ancora condannate. Il Consiglio federale lunedì ha risposto dichiarando di "aspettarsi che le Ffs esercitino un elevato grado di diligenza nell’aggiudicare i lavori. Quanto agli offerenti, le Ffs escludono dalle procedure di aggiudicazione le aziende che sono state condannate per reati o infrazioni a danno delle Ffs. L’esclusione di un offerente è sufficiente se non è un partner contrattuale affidabile o degno di fiducia".

La posizione delle Ferrovie federali

Due settimane fa abbiamo appunto sottoposto la questione alle Ffs chiedendo loro se l’inchiesta ticinese e le conclusioni dell’Antimafia, ancorché in assenza di un giudizio quanto meno di primo grado, non debbano indurle a troncare sin d’ora i rapporti col gruppo italiano. "Le Ffs – rispondeva il responsabile della comunicazione per il Ticino, Patrick Walser – sono a conoscenza delle gravi accuse e dei procedimenti penali a carico di Gcf in Svizzera e in Italia. Le Ffs non possono intrattenere rapporti contrattuali con un’azienda associata a un’organizzazione criminale. Le Ffs sono in contatto con Gcf e seguono da vicino la situazione in Svizzera e in Italia. Le Ffs si riservano espressamente il diritto di prendere ulteriori provvedimenti in relazione alle attività in corso o a quelle nuove".

‘La prima risposta non mi aveva convinto’

Dichiarazioni, come detto, che Marco Romano accoglie abbastanza positivamente, sebbene inizialmente non abbia intravisto fra i vertici delle Ffs una chiara presa di coscienza del problema quando gliel’ha sottoposto: «Quando la scorsa primavera la trasmissione Falò della Rsi ha mandato in onda un secondo servizio sul cantiere del Ceneri dopo quello del 2019, e quando in estate ho letto le conclusioni cui è giunta l’Antimafia di Milano nel rinviare a giudizio una quarantina di persone fra cui i due fratelli Rossi, ho sottoposto i miei dubbi alla Direzione generale delle Ffs e ai vertici del Dipartimento federale ambiente, trasporti, energia e comunicazioni. L’ho fatto rimarcando il fatto che sono le stesse persone cui le Ffs hanno affidato l’incarico di manutenzione decennale per complessivi 20 milioni di franchi. L’espressione iniziale dei vertici interpellati e degli alti funzionari federali mi è parsa sorpresa e preoccupata. Sono seguiti loro approfondimenti giuridici che in un primo tempo hanno però indotto le Ffs a distinguere il Gruppo Rossi dalla succursale ticinese della Gcf. Ritenendole due entità ben distinte, a loro avviso non vi erano in quel momento motivi validi per rescindere il contratto a fronte delle tesi accusatorie. Una risposta che non mi ha per nulla convinto. Gliel’ho fatto presente, confidando in un approccio diverso visto anche l’interesse mediatico suscitato dal tema. Ho poi saputo che le Ffs finalmente si sono attivate verso il Gruppo Rossi sollecitando una presa di posizione. L’atteggiamento è insomma cambiato e le recenti dichiarazioni rilasciatevi indicano infine una certa presa di coscienza».

A Berna proseguono gli approfondimenti

Risale poi al 15 giugno scorso il postulato con cui Marco Romano ha sollecitato il Consiglio federale a introdurre su suolo elvetico la richiesta del certificato antimafia rilasciato in Italia. Governo che ha reagito positivamente, ritenendo il postulato l’occasione giusta per esaminare l’opportunità, la fattibilità giuridica e i possibili effetti in Svizzera di tale misura. Di qui l’invito al Consiglio nazionale di accoglierlo; cosa avvenuta a fine settembre. Sono quindi iniziati gli approfondimenti a livello federale che considerano anche gli Accordi bilaterali. Inoltre la politica si è mossa pure in Ticino, dove la granconsigliera del Centro Maddalena Ermotti-Lepori in autunno tramite un’interrogazione ha chiesto al Consiglio di Stato se il certificato in questione possa essere preso in considerazione nel quadro degli appalti pubblici cantonali e parastatali. Risposta del CdS: "Prima di esaminare la proposta contestualmente alla Legge cantonale sulle commesse pubbliche riteniamo necessario attendere l’esito della verifica avviata a Berna in merito alla conciliabilità con le disposizioni federali (Legge sugli appalti pubblici) e intercantonali (Concordato sugli appalti pubblici) sulle commesse pubbliche".

‘Sarebbe un segnale molto importante’

E qui torniamo alla dichiarazione iniziale di Marco Romano, secondo cui "sarebbe opportuno che le Ffs facessero già adesso, autonomamente, un passo in più". Cosa intende dire? «Ritengo che potrebbero già ora introdurre autonomamente la richiesta del certificato antimafia, in attesa che lo facciano Confederazione e Cantoni. Sarebbe una decisione coraggiosa e un segnale molto importante per tutto il settore pubblico nella lotta a un fenomeno che troppo spesso viene ritenuto marginale. Peraltro noto con piacere che in Ticino anche la Società impresari costruttori spinge affinché si applichi tale misura, nella convinzione che agendo sul piano della prevenzione si possa contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici. Occorre aprire gli occhi, la realtà è molto preoccupante». Secondo gli intendimenti del Consiglio federale, la norma potrebbe avere questo tenore: "Non devono essere ammessi alla procedura di aggiudicazione di una commessa pubblica gli offerenti che sono stati condannati per aver commesso un crimine (ad esempio riciclaggio di denaro), che hanno fatto ricorso a pratiche corruttive o hanno sottoscritto accordi illeciti in materia di concorrenza". Dettaglio: fino a prova contraria, i fratelli titolari del Gruppo Rossi e della succursale bellinzonese sono innocenti, sia in Italia sia in Svizzera. Domanda: basta il sospetto per escluderli dagli appalti elvetici? «Beh… se veramente sono in possesso della certificazione antimafia italiana, che la mettano sul tavolo in vista del nuovo appalto decennale per la manutenzione ferroviaria in Ticino», risponde il consigliere nazionale: «Certo, qualcuno il certificato dovrebbe però chiederglielo. E le Ffs, o altre realtà statali e parastatali che danno mandati milionari a società italiane, a mio avviso potrebbero appunto farlo già adesso».

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