La Ssic giudica la proposta messa in consultazione dal Dt troppo complicata, esigente e vincolante
Troppo complicata, troppo esigente dal profilo ambientale, troppo vincolante nelle disposizioni e nelle richieste in materia di sfruttamento, programma di gestione, garanzie finanziarie richieste al gestore, sistemazione finale, analisi preventive da eseguire, rapporti annuali da allestire e aggiudicazione delle concessioni. Sono diverse le criticità espresse dalla sezione ticinese della Società svizzera impresari costruttori (Ssic) verso il progetto di legge cantonale sulle cave posto in consultazione dal Dipartimento del territorio. Parere che si aggiunge al coro di ‘no’ salito dal Comune di Riviera, dai patriziati direttamente toccati, dall’Alleanza patriziale e, singolarmente, dalle ditte del ramo grandi e meno grandi.
“Stiamo parlando – scrive il direttore della Ssic Nicola Bagnovini – di una delle poche materie prime che si riesce a sfruttare bene in Ticino e che denota caratteristiche estetiche e costruttive di indubbio pregio e durevolezza”. A tal proposito, gli impresari costruttori accolgono favorevolmente il principio sancito nell’articolo 14 volto a promuovere da parte del Cantone e dei Comuni l’utilizzo del materiale estratto dalle cave cantonali nelle procedure sottoposte alla legislazione in materia di commesse pubbliche, “sebbene spesso la scelta sia di tipo architettonico e dunque sarebbe importante sensibilizzare in tal senso i progettisti sull’uso dei nostri materiali”. In questo contesto “un bell’aiuto è comunque già offerto dalla Legge cantonale sulle commesse pubbliche che prevede di principio delibere a ditte con sede in Svizzera; inoltre la questione può essere regolamentata a livello di bandi di concorso”. L’articolo 14 dunque piace ma tutto il resto molto meno, se si vuole leggere il progetto di Legge “con un occhio di riguardo rivolto alla salvaguardia a medio e lungo termine di questa importante, quanto fragile, nicchia di attività economica locale”.
Nonostante il nobile intento di meglio regolamentare un settore così particolare – annota Bagnovini – in queste situazioni “è importante cercare di immaginare tutte le conseguenze pratiche che una nuova legge come quella proposta comporterebbe agli addetti ai lavori in un contesto normativo già molto complesso e nel quale la burocrazia sta crescendo un po’ ovunque, imbavagliando di fatto l’iniziativa imprenditoriale”. E anche perché l’indotto economico per i Patriziati e quello occupazionale per le valli “non sono trascurabili”, il settore “va assolutamente tutelato”. Infatti il vero pericolo per la gestione delle cave “consiste nella malaugurata ipotesi di abbandono dell’attività, lasciando di fatto solo ferite aperte sul territorio, difficilmente sanabili soprattutto dai Patriziati, che generalmente dispongono di risorse finanziarie assai limitate”. Da qui la richiesta affinché si eviti che la nuova legge divenga un ostacolo insormontabile per gli imprenditori, “definendo meglio come considerare i contratti in essere e tuttora validi, introducendo delle deroghe temporali all’introduzione della legge medesima o delle disposizioni transitorie che considerino le situazioni esistenti, formatesi in seguito a decenni di attività sul territorio”.
Uno dei rischi considerati dalla Ssic tocca gli aspetti pianificatori locali: per esempio se i Comuni non modificassero o non riuscissero a modificare il loro Piani regolatori (magari a causa di ricorsi o dei noti tempi lunghi per le modifiche pianificatorie) in funzione della nuova legge sulle cave, “il rischio concreto è di bloccare l’attività dei cavisti per lunghi periodi, togliendo di fatto l’indispensabile continuità operativa”. Detto in altre parole il timore in casa Ssic è che la nuova legge “sia talmente esigente dal profilo delle normative ambientali e impegnativa per quanto riguarda le garanzie richieste per la sistemazione finale, da precludere l’attività a diversi piccoli e medi imprenditori del ramo. Solo le grosse aziende avrebbero le capacità economiche e organizzative per far fronte al nuovo ordinamento e questo aspetto potrebbe influenzare negativamente il mercato ticinese della fornitura della pietra naturale”. Il rischio di un monopolio non sarebbe insomma da escludere.
Peraltro, prosegue la Ssic, già talune attuali norme sarebbero sufficienti a gestire meglio il settore: “Visto che l’attività di estrazione e lavorazione della pietra d’opera è ammessa solo dopo l’ottenimento della licenza edilizia in base alla Scheda V8 del Piano direttore cantonale, i Comuni interessati e il Cantone possono già ora mettere i paletti necessari (valutazione aspetti ambientali e di proporzionalità degli investimenti economici richiesti al gestore) prima di rilasciare una concessione di estrazione, lavorazione e gestione del materiale”. In defînitiva, conclude il direttore Bagnovini, la nuova Legge non sembra indispensabile “e presenta risvolti poco chiari che meritano di essere approfonditi ascoltando tutte le parti in causa per evitare di mettere ulteriormente in difficoltà l’intera filiera”. Da qui l’auspicio della Ssic che il Dipartimento del territorio consideri e analizzi le varie problematiche sollevate in questa fase.