Temendo conseguenze finanziarie nefaste, il Comune e i patriziati della regione la ritengono ‘non gradita, difficilmente applicabile e accentratrice’
“Si potrebbe fare meglio già con le norme vigenti, ma non con la nuova legge da voi proposta che genera burocrazia, costi aggiuntivi, complicazioni e incertezza, e che accentra le competenze sul Cantone riducendo i margini di manovra e apprezzamento di Comuni e Patriziati”. Fronte compatto in Riviera, dove opera il maggior numero di cave del Ticino, contro l’idea di creare condizioni uniformi come già fatto qui e là Oltralpe. “Negativo” viene considerato il risultato raggiunto col disegno di Legge sulle cave, e relativo Regolamento di applicazione, elaborati dal Dipartimento del territorio e posti in consultazione sino a fine ottobre. Comune e patriziati della regione li rispediscono al mittente criticando l’intenzione di cantonalizzare gestione e vigilanza. Una legge ritenuta “non gradita, non indispensabile, difficilmente applicabile, non priva d’insidie e in netto contrasto con la necessità di semplificare l’apparato legislativo cantonale e ridurre le risorse impiegate nella sua gestione”. Il muro di granito contro il tentativo cantonale di scardinare un ‘modus operandi’ consolidato da generazioni, seppur perfettibile, poggia sul testo elaborato dal Municipio di Riviera in collaborazione col Patriziato di Lodrino. Testo poi condiviso e sottoscritto dai patriziati rivieraschi di Cresciano, Iragna e Biasca (non da quello di Osogna, quartiere privo cave), da quelli bassoleventinesi di Personico, Pollegio, Giornico e Bodio, come pure da quelli di Claro, Arzo e Peccia (più il sostegno di Monte Carasso e Gorduno non consultati dal Dt). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la stragrande maggioranza delle ditte del ramo.
Tutto parte dall’iniziativa parlamentare presentata nel dicembre 2019 dall’allora granconsigliera leghista luganese Amanda Rückert che mirava a risolvere la “mancanza di un approccio cantonale globale finalizzato a una maggiore regolamentazione dell’ambito, senza ostacolarne le attività ma anzi facilitandole”. ‘Mirava’ declinato al passato poiché, una volta lasciato Rückert il parlamento cantonale, nessun altro deputato ne ha ripreso il testo. Che è stato quindi stralciato ma successivamente recuperato dal dipartimento del consigliere di Stato leghista Claudio Zali elaborando, come detto, un disegno di legge che sviluppa l’idea di fondo affinandola dopo una prima presa di posizione inviata dal Municipio di Riviera.
Prima di elencare gli scopi prefissati dal Dt, è opportuno elencare gli aspetti che lo stesso ha verificato nel lontano 2009 avviando la revisione del Piano direttore cantonale. Emergeva anzitutto – si legge nel Rapporto esplicativo del disegno di legge – la mancanza di regole pianificatorie tramite Pr in circa la metà dei comparti estrattivi ticinesi, ciò che poneva il settore di fronte a importanti difficoltà: “Anzitutto l’insicurezza in materia d’investimenti dovuta sia all’impossibilità di ottenere autorizzazioni edilizie e sostegni pubblici, sia alla difficoltà di accedere a crediti bancari”. Successivamente, elaborando la scheda V8 del Piano direttore destinata al settore estrattivo ed entrata in vigore nel 2016, indagini condotte in tutti i comparti hanno permesso al Dt di conoscere meglio la situazione dal punto di vista economico, geologico, territoriale e ambientale. “Il settore – prosegue il Rapporto esplicativo – si trova globalmente in difficoltà da diversi anni, con una tendenza alla diminuzione dei posti di lavoro; non di meno, per le valli e le zone periferiche interessate le attività delle cave rappresentano un indotto non trascurabile e che merita di essere mantenuto; questo nonostante generino rilevanti impatti ambientali (principalmente degrado del paesaggio, rumore, polvere, inquinamento del suolo e dell’acqua) e in alcuni casi problemi di convivenza con il vicinato; la maggior parte dei comparti si trova su fondi di proprietà dei Patriziati; le concessioni per lo sfruttamento e la lavorazione della pietra, codificate mediante contratti d’affitto, sono rilasciate o rinnovate in assenza di chiare regole pianificatorie e ambientali; l’assenza di Pr in numerosi comparti impedisce il rilascio di licenze edilizie per nuovi fronti estrattivi e per migliorie. Questa situazione rende difficoltoso l’accesso a crediti bancari e favorisce la tendenza alla stipulazione di contratti di breve durata, che generano insicurezza e instabilità, a sfavore di investimenti sul medio-lungo termine”.
Sei, quindi, gli scopi fissati dal Dt col disegno di legge: dotarsi di una base legale che chiarisca le competenze e le procedure in ambito di autorizzazioni di sfruttamento e di sorveglianza delle attività; fornire più garanzie e sicurezza per gli investimenti; favorire una migliore protezione dei diritti dei lavoratori (rispetto del contratto collettivo di lavoro); favorire una migliore protezione dell’ambiente durante e alla conclusione dello sfruttamento delle cave; permettere un migliore monitoraggio e tutela delle attività di estrazione e lavorazione della pietra; sostenere finanziariamente, col 50% della spesa, i Comuni nel processo di adattamento dei loro piani regolatori. Una legge specifica sulle cave, sostiene ancora il Dt, “permetterebbe d’introdurre un’autorizzazione cantonale d’esercizio come già avviene nel settore delle discariche”. Si tratterebbe di un’autorizzazione “tecnica, separata dalla licenza edilizia (e aggiuntiva), non pubblicata e non soggetta a rimedi giuridici nei confronti di terzi, vertente non sulle condizioni per autorizzare l’opera, ma sulle condizioni di dettaglio da osservare durante l’esercizio e relative alla gestione delle cave”. Al posto degli attuali contratti d’affitto di natura privata – ed è questo uno dei nodi maggiormente contestati da Comune di Riviera e patriziati – il disegno di legge prevede delle concessioni di lunga durata (oltre i dieci anni) di sfruttamento sottoposte a procedura amministrativa e a vigilanza cantonale. In entrambi i casi lo sfruttamento delle cave andrebbe comunque messo a concorso, con la differenza che attualmente i concorsi previsti dalla Legge organica patriziale per i beni di proprietà pubblica non vengono organizzati perché il contratto d’affitto è rinnovabile di anno in anno se non viene disdetto da una delle parti; per contro, l’iter della concessione a scadenza definita prevede che certamente ogni tot anni la gestione della cava sia messa a concorso.
Forti di due pareri giuridici chiesti rispettivamente agli avvocati Raffaello Balerna e Mattia Ferrari, secondo cui le norme esistenti appaiono sufficienti per regolare adeguatamente il settore, Comune di Riviera e patriziati chiedono nella loro presa di posizione se il Cantone intenda veramente facilitare – come riportato nel Rapporto esplicativo – l’industria del granito, quando semmai le novità ipotizzate “rischiano di creare gravi problemi e preoccupanti impatti finanziati”, considerando che è prevista una serie di condizioni per ottenere la licenza d’esercizio “che implica costi importanti a causa degli studi di cui esige la presentazione”. Sostituire poi, come indica l’articolo 13, i contratti d’affitto con delle concessioni “è una proposta che sorprende e che respingiamo anche perché priva di motivazione e di giustificati interessi per proprietari e affittuari”. La storia e la realtà attuale “dovrebbero permettere di capire che buona parte dei pochi comparti estrattivi rimasti in Ticino sono stati gestiti in modo continuativo da più generazioni delle stesse famiglie, in qualche caso per oltre un secolo”. Imprese familiari – avverte l’avvocato Ferrari – che con la nuova legge si ridurrebbero di numero a scapito della diversità e della libera concorrenza; legge che “agevolerebbe piuttosto chi potrà permettersi d’investire dapprima nella procedura, in particolare quella onerosa e complessa per entrare in possesso dell’autorizzazione d’esercizio, con tanto di piano di gestione, oltretutto senza garanzia di poi poter lavorare”.
Il presidente del Patriziato di Lodrino, Elvio Bernardi (Ti-Press)
«Proviamo solo a immaginare – evidenziano il sindaco Alberto Pellanda e il presidente patriziale Elvio Bernardi, interpellati dalla ‘Regione’ – cosa potrebbe succedere se una ditta locale, che per decenni ha estratto la pietra e realizzato importanti infrastrutture di lavorazione vicino alla cava gestita con regolare contratto d’affitto, fosse un giorno costretta a lasciare improvvisamente il posto a un’altra ditta, magari proveniente da Oltralpe, aggiudicatasi la concessione per una manciata di franchi in più. Verrebbero a mancare le ricadute che ben conosciamo sul territorio, s’innescherebbe una lunga vertenza giuridica fatta di ricorsi e controricorsi che impedirebbe al patriziato d’incassare regolarmente l’affitto e obbligherebbe la ditta esclusa, o sfrattata, non solo a sistemare a spese sue il terreno da sgomberare, ma anche a partecipare ad altri concorsi con la speranza di avere successo, pena il fallimento e la cessazione dell’attività con licenziamenti degli operai e quant’altro. Insomma, conseguenze a catena nefaste per le nostre realtà, senza considerare che nella regione non sono previste aperture di altre cave». Secondo Comune e Patriziato la prassi non va dunque modificata, tanto meno in assenza di norme transitorie per i gestori attuali e considerando il forte rischio di annose vertenze sin dall’inizio dell’entrata in vigore della legge. Ergo: “Affitto con trattative private per chi è già attivo e intende proseguire; affitto tramite pubblico concorso nel caso di rinuncia dei gestori”. Da qui la convinzione che la Legge organica patriziale sia “ampiamente sufficiente per regolare la problematica”.
Dal profilo ambientale inoltre l’articolo 9 del disegno di legge indica che “al termine dell’attività di estrazione il gestore è tenuto a sistemare la cava, di principio entro due anni. Il progetto di sistemazione finale dev’essere approvato dal Dipartimento. L’approvazione è subordinata al conseguimento della licenza edilizia. Una sistemazione parziale può essere richiesta dopo ogni fase di sfruttamento”. Ma anche qui, Comune e Patriziato si mettono di traverso: “Tentativo lodevole, ma qual è il momento corretto per stabilire che un’estrazione è terminata? Di certo quel momento non coincide mai con la scadenza dei contratti. E anche in un regime di concessione ad esempio ventennale, mal si vedrebbe obbligare la ditta che termina il ventennio sistemare un sedime che verrebbe poi ripreso e sfruttato dalla stessa azienda o da un’altra con progetti tutti da ideare”. Non da ultimo l’ipotesi secondo cui il dipartimento potrebbe ordinare il ripristino a spese del proprietario, “porrebbe i patriziati in una situazione di grave rischio potenziale tale da minarne la sopravvivenza. Un altro bell’esempio di come il Cantone desideri facilitare il settore delle cave”.
Il muro di contestazioni non è tuttavia sinonimo di chiusura totale. Comune e patriziati ribadiscono la loro disponibilità “a collaborare nella ricerca di soluzioni” ai problemi esistenti. In particolare sulla durata dei contratti d’affitto e sulle modalità di attribuzione dei sedimi estrattivi “segnaliamo la necessità di poter disporre di contratti di lunga durata con vantaggi sia per i Patriziati (entrate regolare, pianificazione investimenti, minori rischi, ecc.) sia per gli imprenditori con garanzia di continuità, sostenibilità degli investimenti e possibilità di ottenere finanziamenti” che difficilmente vengono concessi dalle banche in presenza di contratti rinnovabili solo annualmente. In definitiva “non è più immaginabile proseguire con delle proroghe di cinque anni per la durata dei contratti, come imposto dal Dt negli ultimi quindici anni, in attesa della pianificazione del settore prima a livello cantonale e poi locale”.